Un gruppo di lavoratori della Telecom Italia di Trieste, prestava l’attività all’esterno come tecnici “on field” (sul campo); questi tecnici effettuavano interventi di manutenzione, installazione e riparazione dei guasti agli impianti presso le abitazioni e i locali industriali e commerciali dei clienti. I lavoratori nel ricorso al Tribunale esponevano che fino al 27 marzo 2013 il loro orario settimanale di lavoro era di 38,10 ore distribuite su cinque giorni, con un orario giornaliero di 7,38 ore; in questo orario erano inclusi i tempi di spostamento dalla sede della datrice di lavoro al luogo di primo intervento e lo spostamento dal luogo dell’ultimo intervento alla sede dell’azienda. Presso la sede aziendale i lavoratori timbravano l’orologio di controllo, ricevevano indicazioni degli interventi da effettuare, prelevavano il mezzo aziendale e le attrezzature per recarsi presso il luogo del primo intervento.
Nel 2013 questa attività è stata rivista con l’introduzione di un nuovo modello organizzativo previsto in un accordo sindacale aziendale; in esecuzione di questo nuovo accordo, l’azienda trasmetteva giornalmente ai lavoratori l’elenco dei luoghi di intervento e gli orari degli appuntamenti con i clienti, con il telefono cellulare aziendale in dotazione. Con questo nuovo modello organizzativo l’inizio della prestazione lavorativa giornaliera coincideva con l’arrivo presso la prima “work request”; la timbratura dell’orario e la trasmissione dei dati relativi all’intervento avveniva tramite telefono cellulare. Analogamente, la fine dell’orario lavorativo giornaliero avveniva presso l’ultima “work request”, decorse 7 ore e 38 minuti dalla prima “timbratura”. I lavoratori potevano, quindi, scegliere se ricoverare l’autovettura aziendale e le attrezzature presso la sede aziendale più vicina ovvero presso il loro domicilio privato. “Sul punto l’accordo collettivo prevedeva (non dovendo più recarsi prima in azienda) una franchigia (non retribuita) di trenta minuti per recarsi sul luogo del primo intervento a carico dei lavoratori che decidevano di ricoverare l’autovettura aziendale presso il loro domicilio. Per coloro che, al contrario, prelevavano il mezzo dalla sede aziendale, la franchigia era di 15 minuti, fermo restando che se i tempi per recarsi dal cliente superavano questa durata, la società era tenuta a retribuire il dipendente per l’eccedenza. Lo stesso meccanismo si applicava anche al termine della giornata lavorativa, al rientro del lavoratore”.
I lavoratori ricorrendo in Tribunale hanno lamentato che con questo nuovo modello organizzativo il loro orario di lavoro era aumentato a 8 ore e 8 minuti, per complessive 40 ore e 40 minuti settimanali e che i tempi di spostamento da e per le work requests, non erano retribuiti a causa della franchigia.
Per i lavoratori l’accordo sindacale aziendale, con l’introduzione del nuovo modello organizzativo, era illegittimo perché “contrario all’art.2 lett. a) d. Igs. n.66\03, alla disciplina comunitaria in materia (direttiva 93\104\CE e 2000\34\CE), all’art.2103 c.c. e all’art. 2113 c.c., in quanto mancava un espresso mandato dei lavoratori all’associazione sindacale firmataria dell’accordo volta alla rinuncia di parte della retribuzione”.
L’azienda, costituendosi nella causa, sosteneva la piena legittimità dell’accordo collettivo aziendale e l’insussistenza di una qualsiasi violazione di legge. In particolare, sosteneva “che il tempo necessario ai tecnici “on field” per gli spostamenti non rientrava nell’orario di lavoro ai sensi dell’art. 1 d. Igs. n. 66\03 e delle direttive comunitarie, in quanto durante gli spostamenti i tecnici on field non erano sottoposti all’eterodirezione della società Telecom. Evidenziava, inoltre, che i lavoratori potevano scegliere liberamente se ricoverare l’autovettura presso il loro domicilio o presso la sede aziendale”.
Il Tribunale di Trieste ha dato torto ai lavoratori respingendo la loro domanda; la Corte di Appello, però, dichiarava la nullità dell’accordo sindacale nella parte in cui poneva “a carico del lavoratore il tempo di trasferimento, all’inizio del turno di lavoro, dal luogo di ricovero del mezzo aziendale a quello del primo intervento (e viceversa) alla fine di ogni turno, in misura pari a 30 minuti al giorno, sottraendoli al computo dell’orario di lavoro” conseguentemente “dichiarava il diritto dei lavoratori ad essere retribuiti per il suddetto tempo di lavoro, pari a 30 minuti al giorno”.
L’Azienda ha proposto ricorso in Cassazione affermando che “può considerarsi orario di lavoro solo il tempo in cui il lavoratore è a disposizione del datore di lavoro, e ciò non si verifica allorquando, ad esempio, l’azienda comunichi al dipendente in viaggio un mutamento del luogo di intervento, tanto più che i lavoratori erano liberi di lasciare l’auto aziendale a casa oppure presso la sede Telecom, e non erano soggetti a direttive aziendali durante il periodo di franchigia (da considerarsi tempi di spostamento da e verso il domicilio del dipendente o la sede Telecom)”.
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’azienda con la motivazione che riportiamo di seguito:
“Partendo comunque dalla pur corretta tesi Telecom secondo cui è tempo di lavoro solo quello in cui il lavoratore è a disposizione del datore di lavoro, e che (in linea di massima, cfr. Cass. n.5496\06) non è retribuibile il tempo necessario per recarsi al lavoro o per ritornare nel proprio domicilio, nella specie la Corte di merito ha accertato che, in base alla nuova organizzazione scaturante dai menzionati accordi collettivi, l’auto aziendale è utilizzabile solo per recarsi presso il richiesto luogo dell’intervento (o tornare da esso alla loro abitazione) e che compete alla società stabilire (o modificare) il luogo del primo e dell’ultimo intervento, sicché non si comprenderebbe perché tale tempo non debba essere considerato tempo di lavoro. La società, come evidenziato dalla sentenza impugnata, ha acquisito il vantaggio (rispetto alla precedente organizzazione secondo cui i dipendenti si recavano dapprima in Telecom per timbrare il cartellino orario e poi uscivano per recarsi sui luoghi degli interventi così come rientravano in Telecom alla fine di questi ultimi per timbrare nuovamente il cartellino), di disporre di lavoratori che si recano direttamente sul luogo dell’intervento e non si vede perché questo tempo non debba essere considerato di lavoro così come era (pacificamente) considerato quello impiegato per raggiungere il luogo dell’intervento dopo aver timbrato il cartellino in azienda.
In sostanza, a ben vedere, il mutamento in pejus per i lavoratori è dato dalla franchigia di 15 o 30 minuti previsti dagli accordi sindacali: mentre col precedente sistema i tecnici on field lavoravano 7 ore e 38 minuti, compreso il tempo impiegato per recarsi dalla sede Telecom al luogo dell’intervento (e viceversa), col nuovo sistema lavorano invece 7 ore e 38 minuti effettivi, e cioè al netto degli spostamenti, non essendo essi retribuiti, almeno nei limiti della franchigia. La Corte ha inoltre accertato che i lavoratori in auto sono muniti di terminale aziendale (FAS) con cui visualizzano i luoghi degli interventi stabiliti dall’azienda, “timbrano” l’orario di inizio del lavoro (geolocalizzazione a parte) e ricevono le disposizioni della Telecom: ciò rafforza il concetto che in tali tempi sono etero diretti dall’azienda.
Deve d’altro canto precisarsi che per pacifica giurisprudenza di legittimità i tempi preparatori della prestazione (ad es. quello impiegato per indossare la tuta o divisa aziendale, v. Cass. n.20714\13, nn. 1819-1841\12) rientrano nell’orario di lavoro se svoltisi sotto la direzione ed il controllo del datore di lavoro”.
Cassazione Civile Sent. Sez. lavoro Num. 37286 Anno 2021 Presidente: Raimondi Relatore: Balestrieri; Data pubblicazione: 29/11/2021.
Biagio Cartillone