Quando si parla di classe operaia, partendo dagli anni del boom economico, passando per l’autunno caldo del ’69 fino alle proteste più recenti, si pensa sempre alla categoria dei metalmeccanici. Invece la storia della classe operaia è fatta anche di esperienze minori, chiamate così se si pensa al numero dei lavoratori coinvolti, ma non per questo meno importanti. Una di queste è quella raccontata nel libro di Aris Accornero “Quando c’era la classe operaia” presentato ieri in Cgil nazionale. La storia è quella della difficile lotta delle lavoratrici e dei lavoratori del cotonificio Valle Susa negli anni ’50, della quale si è persa la memoria seppellita dalla “mitologia costruita intorno alla Fiat”.
Professori, sindacalisti, ricercatori e rappresentanti del mondo del lavoro si sono ritrovati ieri a discutere insieme, prendendo spunto dal libro di Accornero, di classe, condizione e cultura operaia, di lotte contro le discriminazioni e per l’affermazione dei diritti e della dignità personale, di differenze di genere.
La missione del libro infatti è quella di far rivivere una vicenda importante nella storia delle lotte operaie della quale non c’è traccia nella memoria sindacale, per non dimenticare cosa è accaduto dentro le fabbriche. Non è una storia minore perché è una lotta di massa, parliamo infatti di circa 10 mila dipendenti, l’80% donne, e di una decina di stabilimenti. Una vertenza durata per mesi che si colloca negli anni della riscossa operaia, una lotta durissima, fatta di occupazioni, picchetti, sgomberi, che si chiude con un esito basso, se si pensa al rapporto tra lotta e risultato, fatto di pochi soldi recuperati sul salario e il riconoscimento di un premio di produzione.
E’ una storia fatta di donne, ben diversa da quella dei metalmeccanici Fiat. E Accornero coglie bene questo aspetto, trascurato dai sui colleghi miopi dell’epoca, e riesce a farlo scattando una fotografia della condizione operaia, scovandola lì dove vive, all’interno delle case, restituendone la sostanza attraverso l’atmosfera e le persone fisiche nella loro totalità. Infatti nel libro ogni storia di vita è preceduta da una breve descrizione dell’ambiente in cui vive il lavoratore che riesce a restituire la cultura materiale della condizione operaia. Una lettura nuova, originale perché, come si è sottolineato nel corso del convegno, “voci, facce, interni domestici non li aveva raccontati nessuno”.
Il libro inoltre induce a riflettere anche su un quadro più ampio, su come vada collocata quell’esperienza rispetto al mondo del lavoro. La classe operaia non è solo quella “metallurgica”, c’erano “classi”, “mondi” differenziati. In questo caso ad esempio protagonista è il settore tessile. E la maggior parte dei lavoratori sono donne con una storia differente di classe operaia.
Il libro infatti mette in evidenza la cultura del lavoro femminile, si intravede la doppia lotta che si consuma a lavoro con i “padroni” per difendere i propri diritti e a casa con i mariti che chiedono di badare alla famiglia. Emerge proprio il cambiamento del rapporto tra moglie e marito, ora operaia e operaio. Quindi una forte differenza tra la categoria dei tessili, a maggioranza femminile, e quella dei metalmeccanici fatta soprattutto di uomini. La cultura operaia delle donne appare meno ideologica, si distingue per tenacia e capacità di creare alleanze esterne. E il libro restituisce un passaggio per niente scontato, quello di concepire le lotte operaie come momento di emancipazione, autonomia per affermare la propria esistenza come operaie in fabbrica e madri a casa. Esiste infatti una qualità differente dei rapporti di lavoro, che vede gli uomini più disponibili a fare straordinari per cercare di guadagnare di più per la famiglia e le donne interessate a conciliare i tempi professionali con quelli di vita.
Durante il convegno si è discusso anche dell’attualità del termine “classe operaia”: nonostante siano cambiati i tempi, ci sia meno coscienza di classe e si sia ridotto notevolmente il numero dei lavoratori, di operai si continua a parlare perché continua ad esistere il lavoro manuale in fabbrica, specializzato, competente, spesso di altissima artigianalità.
Francesca Romana Nesci