Le certezze di una volta non ci sono più e i corpi intermedi decadono sempre più. Giuseppe Roma, direttore generale del Censis, pensa che alla base di questo declino ci sia la frantumazione degli interessi rappresentati, il fatto che ormai i processi decisionali sono molto diversi, non bastano più i piccoli o grandi accordi, e la verticalizzazione dei processi decisionali che hanno tolto di mezzo tanti interlocutori. Servirebbero nuovi valori e invece sindacati e associazioni imprenditoriali sono restii all’innovazione, procedono per cooptazioni, si sclerotizzano. E così cade la partecipazione democratica.
Roma, cosa è accaduto ai corpi intermedi?
Sono in crisi, perché non funzionano più le rappresentanze di interessi.
In che senso non funzionano?
In Italia i corpi intermedi erano importanti perché erano rappresentanze di interessi precisi, con confini molto ben definiti. La Confindustria era fatta da grandi imprese, la Fiat, prima gli armatori, ma erano sempre quelli, Costa, poi Agnelli e Pirelli, poi sono cresciuti i medi imprenditori, gli Abete, i Merloni.
E gli altri imprenditori?
Artigiani e commercianti, le piccole imprese in generale, contavano poco. Per un certo periodo è sembrato che avessero una loro forza, ma questa teoria non è andata lontana. Fanno parte dell’economia marginale.
E i sindacati?
Valevano perché portavano avanti i diritti dei lavoratori che nei primi anni del dopoguerra, ai tempi del boom erano stati trascurati per esigenze superiori. Poi qualcosa è cambiato. Le confederazioni hanno iniziato a discutere di congiuntura, degli effetti inflazionistici, l’interlocuzione è stata sempre più legata all’andamento dell’economia, hanno perso identità.
Così nasce la loro crisi?
Le difficoltà cominciano a divenire reali all’inizio degli anni 90, per diverse ragioni. La prima è che si sono frantumati gli interessi. Il sindacato ha visto crescere il peso dei pensionati, che sono più del 50% degli iscritti. Nelle rappresentanze di interessi ci sono troppe realtà disomogenee. Le forze dovrebbero coagularsi per avere potere, e invece accade il contrario. Forse l’unico processo che tenta di ricostruire una rappresentanza su basi nuove è l’Alleanza delle cooperative, perché sono pezzi diversi che però possono unirsi e perché hanno valori comuni.
Il sindacato non ha valori comuni?
Sono troppo divisi e diversi tra loro, spinti da esigenze differenti. C’è chi non si interessa se l’azienda vada bene o male, pensa che comunque i lavoratori debbano ricevere il loro salario e poter lavorare. E c’è invece chi pensa al contrario che non si possa non tener conto delle esigenze delle imprese, anche a costo di svilire il lavoro. Manca un valore aggregante, che una volta c’era ed era molto forte.
Quindi la decadenza dei corpi intermedi è da riportare a cause a loro interne?
Non solo. Una volta questi corpi intermedi vivevano in una società chiusa, dove non era difficile trovare accordi che combinassero gli interessi di parte. Adesso è tutto cambiato, noi non comandiamo più tutto, le variabili di cui tener conto sono tante, il recinto si è fatto più grande. Di qui la decadenza, la perdita di potere.
Sono cambiati i meccanismi di potere?
Questa è la terza ragione di questo declino. Una volta c’era la famosa cinghia di trasmissione, una linea precisa che andava dalle forze sociali alla politica, al potere. E questo dava ruolo politico ai corpi intermedi. I meccanismi di potere oggi sono tutti diversi. C’è una forte personalizzazione del leader, una verticalizzazione che escluse automaticamente i corpi intermedi. La concertazione non serve più, si decide senza discutere o, se si discute, non si decide. C’è da dire anche che queste strutture sono per lo più poco sensibili al rinnovamento, non attraggono i soggetti più innovativi, si rinnovano solo per cooptazione, quindi non si rinnovano, si sclerotizzano. Tutti, Confindustria, sindacati.
Ma se va avanti così cosa accade?
Questi sono segnali precisi della caduta della partecipazione democratica del paese. C’è una progressiva sostituzione di problemi reali con problemi virtuali. Nessuno interpreta la realtà del paese, si trascurano i problemi dei rappresentati per infilarsi nel dibattito politico generale. Questo porta disaffezione tra i rappresentati e snatura il ruolo delle rappresentanze che diventano organi di pressione, un’altra cosa rispetto al passato. Un’anomalia, tanto più forte se si pensa che nel dibattito politico generale non hanno peso.
Cosa servirebbe per invertire questo processo?
Bisognerebbe trovare chiavi differenti delle rappresentanze di interessi, diventare rappresentanze di valori. Il sindacato non dovrebbe tanto difendere il salario, quanto il benessere diffuso, dovrebbe combattere il disagio sociale. Le imprese non dovrebbero praticare il lobbismo parlamentare, ma premere per avere un mercato più trasparente, una burocrazia meno corrotta. Tutti dovrebbero elaborare un pensiero più nuovo. La spinta ad associarsi ha portato alla democrazia, oggi stiamo regredendo, se ci si vuole riprendere bisogna trovare nuove spinte, nuove chiavi, conseguenti con i problemi di oggi. Il mondo cambia, bisogna cambiare.
Massimo Mascini