di Valeria Fedeli, segretaria generale Filtea Cgil
Globalizzazione, società aperta, mercati internazionali, cambiamenti del modo di lavorare e vivere nei diversi territori, bisogno di sicurezza, di legalità, di responsabilità e di una solidarietà non prevaricatrice dei diritti di ciascuno, nel diversi contesti sociali, al Nord come al Sud del Paese, hanno visto nell’offerta politica del centrodestra, le risposte più convincenti. Questi processi economici, sociali che modificano la vita quotidiana delle persone, anche nei termini con cui la singola persona, oltre che la collettività, dispone ed esercita i suoi diritti fondamentali di libertà, di creazione del reddito non hanno avuto dal centrosinistra l’ascolto e la vicinanza che i cittadini si aspettavano.
Ascoltare e governare i cambiamenti, stare nei processi dove questi si determinano, è il primo punto da cui ripartire anche per l’analisi e per l’aggiornamento delle politiche, delle priorità e per il rilancio ed estensione del ruolo del sindacalismo confederale, della sua rappresentanza e rappresentatività. Serve un’ ‘analisi seria, rigorosa, non frettolosa e autoconsolatoria. Viviamo un’emergenza economica e geopolitica, quella che chiamiamo comunemente crisi internazionale, che nasce dalla frattura dei vecchi assetti del mondo, degli equilibri storici legati alle visioni ideologiche, da una parte, e ai percorsi di sviluppo, dall’altra, con particolare attenzione, oggi, sia al possesso delle materie prime e delle fonti energetiche, sia alla regole degli scambi internazionali. Ma questi cambiamenti li viviamo anche nel micro, nell’esperienza quotidiana del lavoro.
Un lavoro frammentato, che non unifica più le esperienze e i valori, che vede la linearità del percorso scuola-lavoro-pensioni definitivamente spezzata. Un lavoro che non è più elemento identitario centrale come nel passato nella vita delle persone, che non chiede una stessa univoca rappresentanza. Un lavoro flessibile per opportunità, in qualche caso, e precario per necessità, in molti altri. Un lavoro che non è più declinato come valore astratto e collettivo, ma vissuto nella quotidianità di ciascuno, in quel posto di lavoro, in quel territorio dove si vive, in quel contesto culturale e istituzionale che decide e risponde ai diversi bisogni della persona, delle donne, dei giovani, dei cittadini. Territorio, condizioni di vita e di lavoro non separabili, persone non “divisibili” tra dentro e fuori le mura dei luoghi di lavoro.
Quindi la qualità e la quantità della contrattazione nei luoghi di lavoro e nei territori, sono il nuovo terreno su cui c’è un ritardo serio, vero, dell’innovazione delle relazioni industriali. Diciamo come stanno le cose. Noi abbiamo due livelli contrattuali, ma, in realtà, viviamo di corrette relazioni, quando ci sono, per i rinnovi dei contratti nazionali, ma non c’è una estesa e qualificata contrattazione di secondo livello. Anzi, negli ultimi anni, come dimostrano i dati presentati dal Cnel a dicembre 2007, la contrattazione aziendale è fortemente diminuita per numero di lavoratori coinvolti e per qualità e rappresentanza; mi riferisco alla scarsa presenza di relazioni industriali nelle piccole e medie imprese, nei settori produttivi, nell’industria e nei servizi privati.
Nelle professionalità diverse che contribuiscono alla conoscenza ed all’intervento nell’insieme dei cicli produttivi e distributivi, nelle realtà della ricerca e dell’internazionalizzazione. Essendo gli effetti della globalizzazione e dell’internazionalizzazione dell’economia pervasivi dell’insieme delle relazioni che coinvolgono il ruolo e la rappresentanza delle istituzioni sopranazionali, nazionali, locali, arrivano al cuore delle persone, della loro vita concreta, incidendo sulle condizioni di cittadinanza, l’assenza di relazioni industriali innovative, partecipative, di governo condiviso e contrattato dei processi di cambiamento dell’impresa e del lavoro, costituisce oggettivamente una difficoltà di questa fase politica e sociale. Qui c’è la sfida a sindacato e alla rappresentanza delle imprese. Sfida per avere una rappresentanza dei lavori, innanzitutto da estendere a chi oggi non è coinvolto dal secondo livello di contrattazione, o a chi non si sente rappresentato: l’insieme dei nuovi lavori, flessibili, precari, ma anche le qualità professionali, le competenze che troppo spesso si trovano appiattite o non considerate nelle loro differenze di apporti al ciclo di conoscenze e competenze.
Nella crisi salariale sempre più forte, si rischia una visione impropria dell’uguaglianza, declinata come assenza di merito, di pari condizioni concrete, di differenze da valorizzare e non appiattire o negare.
Dobbiamo rapidamente trovare una mediazione unitaria sulla riforma del modello contrattuale, della democrazia sindacale, del pluralismo e delle regole del sindacato unitario dei lavoratori, quale necessità e utilità per innovare le relazioni industriali in Italia. Dobbiamo rilanciare e rinnovare la cultura sindacale, del sindacato per questo nuovo secolo, per stare al passo con la società aperta, dentro la nuova dimensione delle realtà di lavoro e di vita, per continuare a svolgere una funzione storica e pedagogica, per rendere le persone più informate e consapevoli dei propri diritti, per essere parte insostituibile, come sindacato confederale, perché i lavoratori anche con noi ottengano strumenti e percorsi di opportunità contrattuale e di vita, per il rafforzamento delle loro conoscenze, competenze, capacità di analisi e di autonoma criticità.
Basta rileggere la conferenza di programma di Bruno Trentin e gli altri suoi scritti, oltre che la sua straordinaria esperienza di vita e direzione sindacale, per sapere quanto queste linee sono ancora forti e attuali, moderne: unità e differenze, unità e riconoscimento delle differenze!
Questo aiuta ad essere forti, rappresentativi e responsabili, adeguati al governo del cambiamento, parte determinante delle relazioni industriali. Rappresentativi dei lavoratori, dei loro bisogni, interessi e aspirazioni, la dove si svolgono i processi concreti di cambiamento, nelle imprese, nelle filiere locali, europee e internazionali, nei distretti industriali, nelle piccole e medie imprese, che non possono più essere considerate con “sufficienza e fastidio”, perché sono l’ossatura di quella parte del Paese che ha innovato e si è internazionalizzata e che, dobbiamo scegliere per investire sui lavoratori che vi operano, e che necessitano di stare dentro i processi di relazione industriale, di costruzione del sistema per competere e stare nella dimensione locale-globale.
Cultura, etica, responsabilità, concretezza: qui, secondo me, sta la vera sfida anche al sistema di rappresentanza delle imprese. La velocità , l’efficacia e l’efficienza delle relazioni industriali, richieste dal nuovo corso di Confindustria sono certamente un terreno necessario, ma insieme anche la qualità e l’estensione della rappresentanza collettiva, confederale del lavoro, attraverso la valorizzazione della funzione della contrattazione e del ruolo della rappresentanza sociale quale elemento positivo, partecipativo, per una corretta ed efficace regolazione dei rapporti di lavoro, sono altrettanto importanti per stare nel cambiamento, nel mondo globale, per coglierne le opportunità e non farsi travolgere dalle contraddizioni e rischi negativi.
E’ una fase certamente nuova e, secondo me, inedita quella del dopo voto. Le relazioni industriali devono misurarsi con i cambiamenti della società che sono netti e chiari. Puntare su pregiudiziali o conflitti preventivi, sarebbe un errore grave. E’ la qualità e il metodo del confronto tra proposte, ciò che è necessario oltre che utile; la ricerca di soluzioni condivise, per affrontare i problemi reali del Paese, è la scelta da compiere da parte di tutti i soggetti sociali e istituzionali. Qui si gioca il futuro delle relazioni industriali e del ruolo della contrattazione, della funzione della rappresentanza e rappresentatività del lavoro e delle imprese agli occhi degli associati certo, ma anche del Paese.