“Il Governo con la prossima legge di Bilancio deve bloccare l’attuale meccanismo di adeguamento dell’età della pensione di vecchiaia e anticipata all’aspettativa di vita.” È la richiesta congiunta che arriva da Cesare Damiano (Pd) e Maurizio Sacconi (Epi), due ex ministri del Lavoro e attualmente presidenti, rispettivamente, delle Commissioni Lavoro di Camera e Senato facendosi interpreti anche di sollecitazioni giunte dal mondo sindacale.
In base agli scenari demografici Istat a gennaio 2019 l’età per la pensione di vecchiaia salirebbe da 66 anni e 7 mesi a 67 anni. Poi si andrebbe a 67 anni e 3 mesi nel 2021, 68 anni e un mese nel 2031, 68 anni e 11 mesi nel 2041, 69 anni e 9 mesi nel 2051. La proposta dei presidenti è invece per “un rinvio strutturale dell’adeguamento dell’età di pensione all’aspettativa di vita”, spiega Damiano. Far scattare l’aumento sarebbe “inconcepibile”, ha aggiunto Damiano.
Pertanto, la proposta è di inserire nella manovra, con la relativa copertura, una norma per allungare l’adeguamento o evitare lo scatto nel 2019.
“Abbiamo opinioni diverse per molte cose – ha aggiunto Sacconi -, ma questa situazione emergenziale ci ha spinto ad agire insieme per dire che quando è troppo è troppo”. In Europa, hanno fatto notare Sacconi e Damiano, non ci sono casi comparabili a quello italiano: in Austria l’età per la pensione è di 65 anni per gli uomini e 60 per le donne; in Belgio e in Danimarca 65 anni per tutti; nel Regno Unito 65 anni; in Germania si arriverà a 67 anni solo nel 2029.
Secondo Damiano, è necessario “affrontare tempestivamente in termini unitari questo argomento molto caldo, che riguarda la vita dei cittadini”, anche perché “è estremamente contraddittorio” che si sia fatta una battaglia per la flessibilità con l’introduzione dell’Ape e insieme ci sia un innalzamento automatico dell’età della pensione .