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Home - Approfondimenti - Analisi - Partecipazione: da utopia a realtà

Partecipazione: da utopia a realtà

10 Aprile 2001
in Analisi

Michele Figurati

 Parlare di partecipazione e non solo da un punto di vista culturale, ma nell’ottica di concretizzare e rendere operativo su vasta scala questo modello di rapporti sociali, può sembrare, in questo momento storico del nostro paese, anacronistico se non velleitario. Infatti il sistema delle relazioni industriali sta toccando in questi mesi un punto molto basso. Abbiamo assistito all’esaurirsi di quel fenomeno di ‘concertazione’ nato nei primi anni novanta. I meccanismi contrattuali definiti a supporto del raggiungimento degli obiettivi dell’accordo interconfederale del luglio ’93, hanno ormai dato i loro frutti, in gran parte positivi all’inizio ed ora sono più di danno che di utilità al sistema. Il susseguirsi di vicende contrattuali( due nazionali nei quattro anni più la contrattazione aziendale), ha creato un sistema di contrattazione continua che, se da un lato non da certezza di costi alle aziende, dall’altro svuota di interesse il momento contrattuale per gli stessi lavoratori; per non parlare dell’opinione pubblica confusa dal susseguirsi delle vicende ed infastidita dalle agitazioni nei servizi che, a torto o a ragione, finiscono per rivolgersi contro il movimento sindacale. Una prova evidente è il disinteresse della stampa per vicende quali il contratto dei metalmeccanici o la trattativa per il contratto integrativo Fiat, che fino a pochissimi anni fa avrebbero trovato ampi spazi nei quotidiani e nei telegiornali. Eppure le relazioni sociali continuano e devono continuare. Se le regole ed i sistemi tradizionali si sono esauriti e gli stessi organismi di rappresentanza possono a volte mostrarsi obsoleti, bisogna trovarne altre più attuali e più efficaci e consone ai mutamenti intervenuti nella società, nel modo di gestire le imprese, nei rapporti sociali. E’ certamente difficile, cambiare, per strutture consolidate che hanno tratto negli anni passati lustro e potere dalla gestione dei rapporti politico/sociali. Tanto più che il sistema formale dà ancora molto credito e ruolo alle tradizionali parti sociali. Ma questo non può durare all’infinito se non verrà recuperato un effettivo collegamento di interessi e d’azione con la base associativa. Bisogna poi porsi il problema del rapporto fra accentramento (accordi interconfederali e contratti nazionali) e decentramento (contrattazione aziendale, ma anche rapporti territoriali). Oggi si cerca di tenere tutto; ma il sistema produttivo non può reggere una situazione di pancontrattazione che poi può anche risolversi in nessuna reale contrattazione. D’altra parte questi ultimi venti anni hanno mostrato almeno due elementi che mi sembra nessuno oggi contesti:
a) esistono aree di comune interesse tra ‘impresa’ e ‘lavoro’ e quindi possono individuarsi obiettivi comuni e condivisi. Il più semplice ed il più banale è lo sviluppo ed il miglioramento di competitività dell’impresa in cui si lavora.Se l’impresa non produce ricchezza nulla ci sarà da ripartire. Se l’impresa muore il problema è di tutti coloro che di essa vivono.

b) L’impresa nel nuovo sistema competitivo ha bisogno di una collaborazione attiva ed intelligente di chi vi lavora a tutti i livelli. La prescrittività delle procedure ed una pedissequa esecuzione non è più sufficiente.


Da questo non discende ovviamente la fine della contrattazione e dell’eventuale conflitto che saranno sempre ,per quello che almeno oggi ci è dato di vedere, elementi essenziali in un libero svolgersi dei rapporti sociali. Ma sia l’uno sia l’altro debbono essere collocati in tempi e modi definiti per lasciare spazio a modelli di rapporti ‘ cooperativi’ diversi. Da norme giuridiche sostanziali a procedure.


Partendo da questi assunti, da circa due anni un piccolo gruppo di persone di provenienza culturale e professionale molto diversa, ma unite dalla convinzione che fosse necessario rivitalizzare e rinnovare i rapporti sociali, si sono riunite per confrontare con molta libertà opinioni, esperienze e prospettive, per cercare di fornire al mondo del lavoro spunti e strumenti che possano diventare facilmente operativi e che spingano verso il superamento della crisi. (*)


Risultato di questo lavoro , almeno fino ad ora ,è stato un documento contenente una valutazione politica, una definizione delle forme di partecipazione ritenute applicabili nel nostro paese e con le nostre tradizioni e una serie di proposte operative che si è ritenuto possano stimolare gli attori all’uso degli strumenti partecipativi.


Non è questo il luogo ove riassumere quanto contenuto nel documento, che tra l’altro è stato oggetto di un interessante convegno-dibattito tenutosi al Cnel e i contenuti del quale sono di prossima pubblicazione(**). Vorrei qui solo delineare alcuni fondamenti:


– un sistema partecipativo non può che fondarsi sulla esplicita volontà delle parti, che deve esprimersi con accordi;


– il livello tipico dei sistemi di partecipazione non può che essere l’azienda , ed ogni azienda secondo il grado e l’intensità che ritiene essere, concordemente con i lavoratori,più opportuno;


– gli attori sono comunque le rappresentanze sindacali non essendoci, secondo noi, contraddizione tra il ‘partecipare’ ed il contrattare;


– supporti legislativi potrebbero essere necessari laddove la vigente legislazione non sia attuale o vada completata: è il caso della partecipazione economica e della partecipazione finanziaria.


Si è dato quindi il massimo rilievo alla libera contrattazione delle parti, cercando altresì una continuità con i consolidati sistemi di rappresentanza collettiva. Il ‘doppio canale’, cioè l’individuazione del soggetto che contratta distinto dal rappresentare che partecipa, almeno nel nostro paese, è parso foriero di danno per le organizzazioni sindacali e di confusione e rischio di frantumazione dei rapporti per le imprese.


Si è tuttavia pensato che , se è vero che i modelli partecipativi giovano al sistema economico generale in quanto forieri di sviluppo, sarebbe possibile ed anzi auspicabile ipotizzare un intervento legislativo incentivante, non per imporre, ma per favorire l’adozione di queste pratiche virtuose aiutando a riportare alla necessaria attualità i rapporti sociali.


Solo un breve cenno alle forme di partecipazioni individuate ed al sistema di incentivazione proposto. I modelli analizzati vanno oltre la cosiddetta partecipazione diretta che riguarda in modo esclusivo i rapporti tra l’impresa ed il proprio dipendente in quanto singolo e che non ha quindi di per sé bisogno di supporti collettivi.


Partecipazione finanziaria: l’accesso mirato dei lavoratori al capitale dell’impresa. E’ forse l’aspetto più conosciuto in dottrina e per favorire il quale (anche in attuazione dell’art.46 della Costituzione) sono stati presentati in Parlamento numerosi progetti di legge provenienti da diversi schieramenti politici.


Vi sono, come ovvio,ipotesi e valutazioni difformi tra le forze politiche e sindacali e una buona dose di scetticismo nel sistema delle imprese.


In che modo e quanto si debba eventualmente favorire il lavoratore azionista rispetto ai normali azionisti, piccoli o grandi che siano; se e fino a che punto le organizzazioni sindacali possano essere rappresentanti dei lavoratori azionisti; che limite deve essere fissato alla quota di proprietà azionaria specificatamente devoluta ai dipendenti per non turbare gli assetti proprietari; come i lavoratori azionisti possano influire sulle scelte strategiche dell’impresa; se l’attribuzione di azioni possa derivare da forme contrattuali essendo eventualmente sostitutiva di tradizionali accordi retributivi. Questi sono soltanto alcuni dei problemi sul tappeto. D’altro canto, questo è l’ambito in cui è comunque necessario un intervento legislativo che consideri con grande equilibrio, da un punto di vista societario, il rapporto fra proprietà e lavoro, tra interessi specifici ed interessi generali dell’impresa.


Partecipazione economica :se ed in quale misura, al di là delle normali erogazioni salariali costituenti il sinallagma del contratto di lavoro, è possibile che il lavoro partecipi alla redditività dell’impresa una volta fatti gli ammortamenti e compensato il capitale.


Possono essere esaminate forme di partecipazione economica non retributive con regimi fiscali analoghi a quelli applicati ai redditi di capitale e senza aggravi, contributivi, non essendo appunto erogazioni salariali. L’interessement francese può essere utile riferimento.


Partecipazione organizzativa :strumentazione di origine contrattuale fondata su reciproca cessione di potere tra imprese e sindacati, che consenta, al di là delle singole norme contrattuali di affrontare congiuntamente problemi produttivi ed organizzativi nell’intento condiviso di superarli, con il contributo di tutti, evitando il conflitto. E’ un modello già sperimentato e presente in diversi accordi aziendali ed è forse la strada più naturale per inserire nel sistema produttivo la cultura partecipativa.


La legge di incentivazione: nel presupposto, come già sopra affermato, della necessità del consenso per attuare forme partecipative è però possibile immaginare una legge che premi con incentivi fiscali, contributivi e normativi (ad esempio in tema di flessibilità) quei sistemi aziendali che abbiano attuato modelli partecipativi, con maggior o minor peso dell’intervento incentivante in funzione del maggior o minor ambito di forme partecipative attuate.


La scelta non è semplice, ed ancor meno la valutazione; per la qual cosa è possibile immaginare un arbitro imparziale (chi meglio del Cnel?) che possa con obiettività valutare e decidere.


Sono provocazioni, fantasie o atteggiamenti realistici? Chi scrive è convinto che su questa strada sia necessario procedere. Critiche ed obiezioni sono indispensabili, ma bisogna essere capaci di costruire e non solo di demolire.


(*) Il gruppo di base che si è autodefinito, con non troppa originalità, ‘caminetto’ era composto dai professori Baglioni e Napoli dal dottor Baretta (segretario Cisl), dal dottor Castro, (Zanussi), dal dottor Paparella (Cesos), oltre che da chi scrive. Contributi importanti, anche fortemente critici sono stati forniti da significative figure del mondo delle relazioni industriali. Tra essi voglio ricordare il dottor Mellissari (Assolombarda), e il dottor Marcenaro (Cgil).


(**)Il documento di base è disponibile, per chi fosse interessato, sul sito internet www.ildiariodellavoro.it


La partecipazione dei lavoratori nell’impresa: idee e proposte


www.ildiariodellavoro.it

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