La sentenza della Corte di giustizia europea sulla direttiva sul salario minimo e contrattazione collettiva conferma la validità di gran parte della direttiva relativa ai salari minimi adeguati nell’Unione europea. Tuttavia, annulla la disposizione che elenca i criteri che gli Stati membri in cui sono previsti salari minimi legali devono obbligatoriamente prendere in considerazione al momento della determinazione e dell’aggiornamento di tali salari, nonché la norma che ne impedisce la riduzione quando tali salari sono soggetti a indicizzazione automatica.
La sentenza, per il segretario confederale della Cgil, Francesca Re David, “riafferma i principi di giustizia sociale e valorizza il ruolo della contrattazione collettiva”.
La dirigente sindacale sottolinea che sono stati riaffermati tre principi fondamentali: “Il primo è che, per costruire un’Europa giusta e solidale, bisogna creare in tutto il continente condizioni di diritto sempre più uguali per i lavoratori. Il secondo è che il salario minimo, ottenuto e stabilito anche attraverso la contrattazione collettiva e, dunque, con il pieno coinvolgimento dei sindacati, rappresenta uno di questi diritti.
Il terzo è che l’Unione europea può esistere solo se rafforza la propria dimensione sociale, tratto distintivo dell’Europa rispetto a ogni altra area mondiale”.
Secondo la Cgil “il Governo italiano non ha più scuse: smetta di nascondersi dietro artifici burocratici interpretativi della direttiva e faccia ciò che va fatto: avvii immediatamente un tavolo con le parti sociali per realizzare finalmente anche in Italia il salario minimo”.


























