La stagione contrattuale è partita. Sono state messe a punto le piattaforme rivendicative, in alcuni casi sono già state avviate le trattative, per lo più per un primo incontro, dandosi poi appuntamento a settembre. Non era scontato e per questo va salutato come un fatto positivo. In piena crisi, come non la vedevamo da decenni, onorare l’impegno dei rinnovi rappresenta un fatto importante che testimonia il senso di responsabilità delle parti sociali.
E’ circolata l’ipotesi di una moratoria, un rinvio di uno o anche due anni, con la somministrazione di una somma ai lavoratori, magari detassata dal governo. Ma non sembra avere fortuna. Nelle interviste che ci hanno rilasciato i responsabili della contrattazione delle grandi organizzazioni sindacali e della Confindustria hanno espresso il loro disinteresse per questa ipotesi.
Sarebbe stato un grave errore cedere a questa lusinga, che avrebbe eliminato alcuni problemi, ma avrebbe sancito una volta per tutte l’incapacità dei vertici del sindacato a svolgere il loro lavoro. In una situazione di crisi le relazioni industriali, tanto più quindi il rinnovo dei grandi contratti dell’industria, rappresentano, devono rappresentare uno strumento utile per creare i presupposti della ripresa. Se il problema è la competitività delle aziende, soprattutto di quelle che esportano, le parti sociali possono intervenire proprio con i nuovi contratti eliminando le cause dei ritardi che la produzione del nostro paese ha nei confronti della concorrenza. I contratti possono individuare i problemi e risolverli, rinunciare non sarebbe servito a nulla, ma certamente avrebbe aggravato la crisi di identità del sindacato e della sua controparte imprenditoriale.
Il primo atto di contrattazione dopo il ventennio fascista avvenne a Biella, nel 1943, quando, la città era ancora occupata dai tedeschi. Sindacati e imprenditori si trattarono e poi firmarono il primo contratto di lavoro. Si incontravano nei boschi e i partigiani pattugliavano la zona per diofenderli da eventuali attacchi nazisti. Nessuno li obbligava a farlo, era molto pericoloso, ma loro sapevano che solo in questo modo, sancendo la loro presenza, avrebbero posto le basi per una crescita dell’intero paese.
Come poi andrà a finire questa stagione contrattuale è difficile dirlo, proprio perché non sono nemmeno partite le trattative. Ma dalle intenzioni dichiarate sembra che ci siano le premesse per qualcosa di utile. Il sindacato sa benissimo che questi rinnovi devono essere segnati da un forte trade off, che gli aumenti salariali e quanto ancora possa essere richiesto e ottenuto deve trovare un corrispettivo che aiuti le aziende. E i rappresentanti dei lavoratori sono pronti a farlo, salvo poi decidere se sia più utile decidere certe cose al livello nazionale o non a quello decentrato, perché sanno che dalla salute delle aziende dipende la stabilità dei posti di lavoro e il futuro industriale del nostro paese.
C erto, avrebbe aiutato se in questo anno fossero state decise le regole di applicazione dell’accordo interconfederale del giugno 2011, quello che stabilì utili norme per contabilizzare la rappresentatività dei sindacati e per lo svolgimento delle trattative contrattuali. Tutti i responsabili, interrogati in merito, hanno portato a giustificazione di questo vuoto le difficoltà di questi dodici mesi. Nei quali effettivamente è successo di tutto, anche se forse uno sforzo in tal senso andava fatto. Tra l’altro sarebbe stato forse possibile risolvere il nodo della Fiom, che non è presente alla trattativa del rinnovo del contratto dei metalmeccanici. Se fosse stato accertato in base ai calcoli tra numero degli iscritti e voti per le elezioni delle Rsu che la Fiom rappresentava più del 5% dei lavoratori interessati al rinnovo, e sarebbe stato difficile provare il contrario, questa avrebbe potuto partecipare a quelle trattative.
Un altro problema potrà essere rappresentato dalla variazione dell’indice Ipca calcolato dall’Istat. Sollecitato dal ministero dell’Economia, prima anomalia, l’istituto di statistica ha variato, seconda anomalia, i parametri che aveva indicato a maggio perché è stato almeno rinviato l’aumento delle aliquote iva. I sindacati affermano che i parametri non si cambiano in corsa, la Confindustria ricorda che non è escluso un ricalcolo, almeno dalle istruzioni date all’Istat dalle parti sociali. La speranza è che le trattative non si incartino su questo, ma ancora una volta la fantasia delle parti sociali aiutino a superare un problema che è solo tecnico.
Massimo Mascini