di Cesare Fumagalli, segretario generale Confartigianato
E’ un dibattito quanto mai opportuno quello avviato da ‘Il diario del lavoro’ sul futuro del sindacato perché consente di riflettere sulle opportunità di cambiamento che possono nascere dalla crisi e che necessariamente non possono non riguardare anche le relazioni sindacali del nostro Paese.
Dico questo perché l’artigianato, sul terreno delle politiche del lavoro e della modernizzazione delle relazioni sindacali, vanta una leadership culturale e di comportamenti. Da tempo abbiamo compreso la necessità di riformare le regole dei rinnovi contrattuali e da tempo stiamo lottando per cambiarle.
La bassa crescita delle retribuzioni dei lavoratori italiani del settore privato, la perdita della produttività del lavoro e della competitività delle nostre imprese, lo stallo dei rinnovi contrattuali, il crescente divario fra il nord ed il sud del Paese, la diffusa fuga dalla contrattazione collettiva, il lavoro sommerso, la crisi del sistema del welfare, l’affermarsi del federalismo hanno reso non più differibile la riforma del modello contrattuale.
L’artigianato, spinto dalla nostra Confederazione, è l’unico settore in Italia ad avere prodotto significative novità nel panorama delle relazioni industriali dal 1993 ad oggi, avviando a superamento il dogma della centralità del contratto collettivo nazionale di lavoro. Non è stato facile. Il cammino è stato lungo e faticoso. Abbiamo dovuto superare le forti resistenze conservatrici di chi si ostinava ad ignorare i cambiamenti nell’economia e nella società italiana e le nuove esigenze degli imprenditori e dei lavoratori.
Attraverso gli accordi interconfederali sottoscritti tra Confartigianato Imprese, Cna, Casartigiani, Claai e Cgil, Cisl e Uil il 17 marzo 2004 e il 14 febbraio 2006, l’artigianato è stato il primo comparto a realizzare una riforma degli assetti contrattuali in senso federalista.
Gli accordi interconfederali sul sistema delle relazioni sindacali e degli assetti contrattuali nell’artigianato del 2004 e del 2006 hanno determinato, per primi in Italia, il superamento del Protocollo sulla politica dei redditi del 1993 a favore di un modello che punta a migliorare i fattori di produttività e competitività delle imprese ed i salari dei lavoratori.
La nostra scelta è stata dettata dalla convinzione che il contratto ‘a taglia unica’ non è più adatto per un Paese così diversificato e, di fatto, frena lo sviluppo territoriale, tanto al Nord quanto al Sud.
Il decentramento contrattuale permette, invece, di fornire risposte mirate alle diverse realtà imprenditoriali e territoriali del Paese, considerato anche il fondamentale ruolo del comparto artigiano nel contesto economico-sociale per il volume del valore prodotto, per la qualità e quantità dell’occupazione assicurata, per la capillare diffusione nel territorio e per lo sviluppo delle economie territoriali.
Noi crediamo in un modello di relazioni sindacali e di contrattazione ispirato ai principi della sussidiarietà territoriale, del federalismo, della bilateralità e della partecipazione. Un modello che aiuta lo sviluppo, migliora le condizioni dei lavoratori all’interno ed all’esterno dei luoghi di lavoro, aumenta la competitività delle imprese artigiane e delle piccole imprese, favorisce l’innovazione ed una formazione di qualità nell’arco dell’intera vita lavorativa ed è in grado di fornire risposte adeguate alla questione salariale.
Il 21 novembre 2008 le Confederazioni dell’artigianato e delle piccole imprese hanno sottoscritto con Cisl e Uil un nuovo accordo di riforma del modello contrattuale dell’artigianato, basato su un forte decentramento teso alla valorizzazione della contrattazione territoriale ed alla piena diffusione della bilateralità.
La ripresa della produttività e la relativa distribuzione del reddito sono affidate dunque pienamente al territorio, in un rinnovato quadro di regole, che dovranno necessariamente essere anche legislative, al fine di evitare che il fisco, sempre vorace, si mangi per intero anche la produttività ridistribuita.
Oggi abbiamo nelle riforme avviate dal Governo, in particolare dal Ministro del Welfare Maurizio Sacconi una grande occasione per sfruttare le esperienze nate e consolidatesi proprio in un’Organizzazione come Confartigianato.
Infatti, i contenuti innovativi del nostro accordo di novembre 2008 sono gli stessi che caratterizzano la riforma del sistema contrattuale siglata lo scorso 22 gennaio dal Governo e dalle parti sociali.
Spiace tuttavia dover rilevare che, per la prima volta nella ormai lunga storia delle relazioni sindacali nell’artigianato, la Cgil non abbia sottoscritto un accordo sulle regole del sistema. E non riusciamo ancora a comprendere realmente le motivazioni di tale rifiuto. Auspichiamo che il più grande sindacato italiano esca dalla scelta dell’isolamento in cui si sta confinando.
Noi siamo certi dell’utilità della riforma contrattuale dell’artigianato come strumento per reagire alla crisi. E siamo convinti che la strada per dare risposte efficaci alle imprese e ai lavoratori consiste nella semplificazione. Non è un caso che, con l’accordo di novembre 2008, abbiamo portato da 17 a 9 i contratti di lavoro artigiani, in quanto l’80% dei 17 contratti di lavoro dell’artigianato è parte comune e soltanto il 20 per cento varia tra un settore e l’altro.
Penso che la strada della semplificazione del numero dei contratti dovrebbe essere percorsa da tutti con maggiore convinzione. Non sarebbe più utile cogliere i fattori comuni dei singoli contratti piuttosto che insistere in un’anacronistica frammentazione in nicchie merceologiche?
Un rinnovato e moderno sistema di relazioni sindacali e di assetti contrattuali può offrire un contributo determinante per fronteggiare la difficile congiuntura economica, la caduta della produttività, la scarsa crescita, la precarietà del lavoro, e, soprattutto, per ricostruire un clima di fiducia tra le parti, necessaria precondizione per la crescita dell’economia, dell’occupazione e dei salari.