Cresce il divario dell’Italia con il resto dell’Ue nei livelli di istruzione. Nel nostro Paese, solo il 20,1% della popolazione (di 25-64 anni) possiede una laurea contro il 32,8% nell’Ue. Le quote di laureati sono più alte al Nord (21,3%) e al Centro (24,2%) rispetto al Mezzogiorno (16,2%) ma comunque lontane dai valori europei. E’ quanto emerge dal report dell’Istat relativo ai livelli di istruzione e partecipazione alla formazione nel 2020.
La quota di popolazione di età compresa tra i 25 e i 64 anni in possesso di almeno un titolo di studio secondario superiore è il principale indicatore del livello di istruzione di un Paese. Il diploma è considerato, infatti, il livello di formazione indispensabile per una partecipazione al mercato del lavoro con potenziale di crescita individuale.
In Italia, nel 2020, tale quota è pari a 62,9% (+0,7 punti rispetto al 2019), un valore decisamente inferiore a quello medio europeo (79,0% nell’Ue27) e a quello di alcuni tra i più grandi paesi dell’Unione.
Il dato 2020 conferma come la crescita della popolazione laureata in Italia sia più lenta rispetto agli altri paesi dell’Unione: l’incremento è di soli 0,5 punti nell’ultimo anno, meno della metà della media Ue27 (+1,2 punti) e decisamente più basso rispetto a quanto registrato in Francia (+1,7 punti), Spagna (+1,1) e Germania (+1,4).
Nel 2020, la crescita dei livelli di istruzione delle donne è simile a quella maschile: +0,6 contro +0,7 punti, per la quota di popolazione con almeno un diploma; +0,6 contro +0,4 punti, per la popolazione laureata. Pertanto, si interrompe la dinamica di maggiore crescita che negli anni precedenti aveva caratterizzato l’istruzione femminile.
Il livello di istruzione delle donne rimane sensibilmente più elevato di quello maschile: le donne con almeno il diploma sono il 65,1% e gli uomini il 60,5%, una differenza ben più alta di quella osservata nella media Ue27, pari a circa un punto percentuale. Le donne laureate sono il 23,0% e gli uomini il 17,2%; il vantaggio femminile, ancora una volta più marcato rispetto alla media Ue, non si traduce però in analogo vantaggio in ambito lavorativo .
Anche le donne straniere hanno un livello di istruzione più elevato rispetto alla componente maschile: cinque straniere su dieci possiedono almeno il diploma contro quattro uomini su dieci, il 14,3% di queste è laureato contro l’8,3% degli uomini.
In particolare, l’Istat ha rilevato che in Italia nel 2020 la quota di giovani che hanno abbandonato gli studi precocemente è pari al 13,1%, per un totale di circa 543 mila giovani, in leggero calo rispetto all’anno precedente.
Nonostante l’Italia abbia registrato notevoli progressi sul fronte degli abbandoni scolastici, la quota di (formazione (Early Leavers from Education and Training), resta tra le più alte dell’Ue. Nell’anno di chiusura della Strategia decennale dell’Unione la percentuale è scesa infatti al 9,9% in media Ue27 (valore addirittura lievemente più basso del target prefissato), alla luce del fatto che la Francia ha raggiunto il valore target già da diversi anni e la Germania lo ha praticamente raggiunto nel corso del 2020. L’abbandono scolastico caratterizza i ragazzi (15,6%) più delle ragazze (10,4%) e per queste ultime si registra una diminuzione anche nell’ultimo anno (-1,1 punti).
I divari territoriali sono molto ampi e persistenti. Nel 2020, l’abbandono degli studi prima del completamento del sistema secondario superiore o della formazione professionale riguarda il 16,3% dei giovani nel Mezzogiorno, l’11,0% al Nord e l’11,5% nel Centro. Il divario territoriale tra Nord e Mezzogiorno si è ridotto a 5,3 punti nel 2020, grazie al calo registrato nel Mezzogiorno, dopo la sostanziale stabilità che aveva caratterizzato il quinquennio precedente (7,7 punti nel 2019).
Tra i giovani con cittadinanza non italiana, il tasso di abbandono precoce degli studi è più di tre volte superiore a quello degli italiani: 35,4% contro 11,0%. Peraltro, mentre tra il 2008 e il 2014 si era registrato anche tra gli stranieri un significativo calo degli abbandoni precoci, negli ultimi sei anni la riduzione coinvolge solo cittadini italiani.
E.G.