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L’Italia che resiste

Maurizio Ricci
Luglio26/ 2021

In un lunedì qualsiasi di luglio, sul percorso fra Genova e Roma, un’auto su quattro ha una targa straniera: svizzeri, cechi, qualche tedesco. In centro, a Roma, si sono materializzate nuovamente le truppe di turisti al seguito di una guida: per lo più parlano spagnolo, oppure una lingua scandinava o dell’Est. Insomma, latitano francesi, inglesi, americani, la ripresa è a singhiozzo e ineguale. Però, i turisti – intesi come categoria, scomparsi da un anno – sono tornati. Mancano ancora dati, riscontri, conferme, ma il pessimismo del governo che, ad aprile, nel Documento di programmazione finanziaria, rinviava al ’22 il riemergere di una voce, come il turismo, che, da sola, vale un sesto dell’economia nazionale, sembra smentito. Ecco un altro mattone per consolidare lo scenario che già ha consentito, nei giorni scorsi, alla Banca d’Italia, nel suo Bollettino trimestrale, di raddrizzare bruscamente in su le previsioni per il Pil di quest’anno: non poco oltre il 4 per cento, come ancora stimavano a primavera a Via Nazionale, ma quasi un punto in più, il 5,1 per cento, con un robusto ricasco al 4,4 per cento nel 2022. A primavera ci contavano solo pochi ottimisti.

Se la variante Delta non azzererà nuovamente tutto, dunque, il paese è ripartito. E la fiducia che testimonia il ritmo – più sostenuto del previsto, registra Bankitalia nel suo Bollettino – degli investimenti pare aver smussato anche i timori di un Armageddon di licenziamenti in contemporanea con la fine, il 30 giugno, del blocco. Troppo presto per avere un’idea chiara: la fuga di alcune multinazionali, già pronte da tempo a fare le valige o l’affiorare di crisi che il blocco aveva semplicemente congelato sembrano, però, ancora casi singoli, per quanto gravi, piuttosto che il delinearsi di una tendenza. Per ora, insomma, il crollo della diga non c’è stato. Per quel che vale un dato che viene da una delle Regioni più dinamiche, come il Veneto, ancora a giugno ci sono state più assunzioni che licenziamenti: nei primi sei mesi del 2021 il saldo è positivo, con 67 mila persone al lavoro in più.

Naturalmente, le cicatrici della pandemia sono molto più profonde. L’Ocse, l’organizzazione che raccoglie i paesi industrializzati, valuta che il numero di occupati, rispetto alla forza lavoro potenziale, tornerà in Italia ai livelli del 2019 solo fra più di un anno, nel terzo trimestre del 2022. La Francia non farà meglio. La fotografia mondiale della crisi, del resto, vede a maggio, nel mondo industrializzato, 8 milioni di disoccupati in più, a cui bisogna aggiungere 3 milioni di Neet, i giovani che non studiano e non lavorano. Tuttavia, nel nostro paese, i 18 mesi di crisi e di blocco non hanno visto una implosione del mercato del lavoro. Un dato su tutti: fra giugno 2019 e giugno 2021, gli occupati in Italia, dice l’Istat, non sono diminuiti, ma sono cresciuti complessivamente di 344 mila unità.

E’ il risultato di una spettacolare inversione a U. Fra giugno 2019 e giugno 2020, l’Italia ha perso 224 mila occupati. Altri 151 mila sono svaniti negli ultimi mesi del 2020. A volatilizzarsi soprattutto i lavori precari, part time, temporanei: 460 mila in meno, secondo gli ultimi dati Istat. Poi la vertiginosa risalita: nei primi sei mesi di quest’anno le assunzioni hanno superato i licenziamenti: 719 mila persone in più con un posto di lavoro, a conferma che quello veneto non è un caso isolato. C’è stata una vigorosa ripresa dei lavori a tempo determinato, anche se non sufficiente a colmare il buco del 2020 (ma faremo i conti alla fine dell stagione turistica). Tuttavia, se il saldo sul 2019 è positivo per 344 mila unità è soprattutto grazie ai contratti a tempo indeterminato, mezzo milione in più rispetto a due anni fa.

Purtroppo, sono cifre scritte sull’acqua: c’è ancora il macigno della cassa integrazione da smaltire. Qui, muoversi fra i dati è ancora impossibile. I dati Istat sul saldo assunzioni licenziamenti arrivano fino al mese scorso. Quelli Inps sulla Cig sono fermi a febbraio. Allora, la situazione non era più quella della paralisi da lockdown che, ad aprile 2020, aveva congelato in cassa integrazione 5,4 milioni di lavoratori, di cui 2,4 milioni a zero ore. Ma, ancora nello scorso febbraio, i lavoratori sospesi erano 1,5 milioni, di cui 100 mila a zero ore e altri 400 mila quasi. Il resto – un milione circa – aveva sacrificato solo un quinto dell’orario normale.

Probabile che questo milione di minicassintegrati torni a lavorare senza problemi. I dubbi e i timori riguardano quel mezzo milione di lavoratori, di fatto già fuori dall’azienda. Quel mezzo milione, però, è stato contato a febbraio, un’era fa, per quello che abbiamo visto del mercato del lavoro italiano in questa prima metà del 2021.

Il vigoroso vento di ripresa che, da febbraio a oggi, ha portato a 719 mila assunti in più, rispetto ai licenziati, investirà anche loro? Sarà sufficiente ad assorbirli, mantenendo il posto attuale o trovandogliene un altro? Sarebbe il momento delle politiche attive per il lavoro, ma, in Italia (dove meno del 30 per cento dei lavoratori cerca un posto rivolgendosi ad un centro per l’impiego, contro una media Ocse del 66 per cento) oggi è ancora impossibile contarci. A meno che la ripresa sia davvero tanto vigorosa da trascinare comunque un po’ tutti.

Perché l’Italia, quella delle imprese di punta, sta marciando davvero forte, conquistando posizioni su posizioni sul mercato globale, dice una ricerca appena pubblicata dalla Fondazione Edison. C’è un limite: l’Italia è praticamente assente in settori cruciali come l’elettronica, i cellulari, di fatto anche l’automobile. Ma, se li escludiamo, l’industria manifatturiera italiana è più vitale di quella tedesca.

I comparti in cui eccelliamo sono la moda (abiti, scarpe, gioielli, occhiali), l’arredamento, l’industria alimentare, le superauto (oltre i 3 mila di cilindrata, come le Ferrari), i macchinari, i prodotti in metallo, la farmaceutica e la nautica da diporto. Prendete solo quelli e l’Italia 2020 ha un surplus commerciale di 134 miliardi di dollari, contro i 112 miliardi delle analoghe aziende tedesche. Ancora nel primo trimestre di quest’anno, questi settori hanno registrato un surplus di oltre 36 miliardi di dollari, secondi solo ai cinesi. Chissà se anche questa, per De Gregori, sarebbe “Viva l’Italia, l’Italia che resiste”.

Maurizio Ricci

Maurizio Ricci

Giornalista