Esattamente un anno fa, a elezioni già consumate ma governo non ancora insediato, il presidente di Confindustria non era stato ottimista: quasi vedesse già i guai che si profilavano per il paese dopo la vittoria gialloverde, nella sua relazione all’assemblea annuale Vincenzo Boccia aveva smontato, pezzo per pezzo, il ‘’contratto di governo’’ firmato da Salvini e Di Maio. Una critica che si sintetizzava in una frase: se le politiche economiche del nuovo governo saranno quelle delineate dal Contratto, aveva scandito il presidente degli industriali, “rischiamo un’Italia povera e agricola, da primo dopoguerra”. Dalla sua relazione era arrivata una bocciatura puntuale per tutta la serie di provvedimenti contenuti nel ‘’Contratto’’ e della nuova maggioranza: no alla contro riforma delle pensioni, no al reddito di cittadinanza, no al blocco delle opere pubbliche, no alla chiusura dell’Ilva. E ancora: no al populismo, no alle promesse elettorali campate in aria, no a chi ha ‘’un orizzonte corto, e vive nella condizione di una perenne campagna elettorale’’, no al dilettantismo degli incompetenti. Si, invece, alla conferma della collocazione in Europa del nostro paese: perché “l’Italia vince e avanza con l’Europa e dentro l’Europa, la nostra casa comune’’.
In sintesi, già un anno fa, alla sola lettura del ‘’Contratto’’, Boccia paventava “la condanna del paese, dei cittadini e delle imprese a una posizione di marginalità e isolamento”. Oggi si può dire che il leader degli industriali aveva visto giusto. La maggioranza giallo verde ha fatto esattamente tutto quello che la Confindustria aveva sconsigliato e il risultato è che, oggi, tutti gli indicatori economici volgono verso il basso, mentre puntano verso l’alto lo spread, il debito, il deficit. E non solo: l’Italia è isolata in politica estera e rischia di essere isolata completamente anche in Europa; all’orizzonte si profila una manovra economica terribile, che nessuno nel governo sembra in grado perfino di immaginare, figuriamoci di portare a compimento. La coppia gialloverde alla guida del paese è ormai scoppiata, Salvini e Di Maio si parlano solo per rivolgersi accuse e insulti, forieri di sanguinose rese dei conti post 26 maggio e di sicura instabilità politica. Quanto all’opposizione, sta ancora raccogliendo i cocci della sconfitta di un anno fa e non sembra avere voce in capitolo.
E dunque, cosa dirà Boccia nella sua relazione di mercoledì 22, la sua ultima da presidente, non dovrebbe essere difficile da immaginare: potrebbe cavarsela anche solo con un ‘’io vi avevo avvertito’’. Persona al carattere calmo, le cose che ci sono da dire, però, le dice senza timidezze. E dunque, è certo che ribadirà il punto sull’Europa, tanto più a una manciata di giorni dalle elezioni più importanti degli ultimi anni. Lo ha ripetuto anche in questi giorni: “Bisogna stare attenti a con chi ci alleiamo in Europa. La leggerezza delle alleanze non è coerente con i fini dell’Italia. Su questo dobbiamo stare attenti – ha aggiunto – sia in chiave di governo che in chiave di partiti che hanno un’idea totalmente diversa dall’Europa riformista che dovremmo invece avere tutti noi italiani”.
Anche l’analisi sulla situazione italiana non potrà essere granché diversa da dodici mesi fa, anzi: più che mai critica, alla luce delle intemperanze del vicepremier leghista sulle regole Ue, causa di un pericoloso balzo dello spread che Boccia, in questi giorni, non ha mancato di stigmatizzare duramente. Ad ascoltarlo, nella platea dell’Auditorium Parco della Musica, siederà mercoledi la gran parte del governo, a partire dal ministro più diretto interlocutore degli industriali, Luigi Di Maio, del quale e’ molto atteso l’intervento di rito: e sarà interessante osservare come sarà accolto, se con lo stesso entusiasmo che aveva riscosso in aprile all’Assolombarda, o meno. In platea ci sarà anche, e soprattutto, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che si presume condivida parecchi punti di vista con la Confindustria, relativamente alle preoccupazioni per l’andamento dell’economia, certo, ma non solo.
Per Boccia quella di mercoledi, oltre che la sua ultima relazione, potrebbe essere anche l’occasione per tracciare una sorta di bilancio del suo mandato di presidente degli industriali italiani. Eletto nel 2016 – un’altra éra geologica- da una Confindustria spaccata tra lui e Alberto Vacchi (il candidato sostenuto in particolare da Assolombarda) e con una percentuale di voti non proprio plebiscitaria, ha potuto tuttavia godere di un momento politico molto positivo, con una ripresa economica debole ma presente, anche grazie a un governo, a guida Matteo Renzi, molto attento alle esigenze delle imprese.
Boccia, inoltre, è riuscito – a differenza dei suoi predecessori- a entrare subito in sintonia con i sindacati, con i quali ha portato a termine accordi importanti sulla contrattazione e la rappresentanza. Che poi questi accordi siano restati lettera morta, è un altro discorso. Volendo trovare uno scivolone nella sua presidenza, gli si può forse rimproverare l’eccesso di ‘’sponsorizzazione’’ nei confronti delle riforme costituzionali: vero che si trattava di un tema che l’associazione degli industriali cavalcava, peraltro giustamente, da parecchi anni; ma forse un maggiore distacco rispetto al referendum, segnato poi dalla sconfitta del 6 dicembre 2016 che in qualche modo ha toccato anche la Confindustria, sarebbe stato più prudente.
Tramontato Renzi, comunque, la buona convivenza con Palazzo Chigi è proseguita anche con Paolo Gentiloni. Le difficoltà vere, per Boccia, sono iniziate con l’avvento dei gialloverdi. Più che per incompatibilità, per, diciamo, incomunicabilità. Dall’estate scorsa l’associazione degli industriali si è trovata di colpo a corto d’interlocutori, soprattutto in ministeri chiave come Sviluppo, Lavoro, Infrastrutture, mentre i dioscuri del governo, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, sembravano i soli autorizzati a parlare e decidere; ma ognuno in base alle proprie tendenze e ai desiderata delle rispettive basi elettorali, e spesso, dunque, in aperta contraddizione tra loro. La Confindustria ha quindi oscillato, un po’ verso l’uno e un po’ verso l’altro.
E se in un primo momento Boccia si era spinto a dire che riponeva fiducia nella Lega (anche perché, c’è da dire, le imprese del nord sono tutt’altro che scontente degli amministratori verdi, che da Zaia a Fedriga considerano eccellenti interlocutori), negli ultimi tempi si e’ trovato invece più vicino a Di Maio: ‘’parla proprio come uno di noi’’, e’ stata la chiosa a un intervento che il vicepremier ha tenuto il mese scorso in Assolombarda, risultato particolarmente gradito alle orecchie delle imprese. Poi, ovviamente, gli industriali sanno bene che tra il dire e il fare c’e’ di mezzo il solito mare, e non si fanno troppe illusioni sulla capacità del vicepremier grillino, pur nella nuova versione ‘’responsabile’’, di passare dalle frasi a effetto ai fatti concreti.
C’e’ anche da dire che, da parte di Confindustria, nel corso di questo anno non sono mancate le prese di posizioni insolitamente forti: come la manifestazione torinese di dicembre, a favore della Tav e, più in generale, dei ‘’cantieri’’, che ha mostrato plasticamente come la capacità di portare in piazza migliaia di persone non sia appannaggio dei soli sindacati. Da quella prova di forza in poi, è un po’ cambiato il clima dei rapporti tra viale dell’Astronomia e i palazzi del governo, quanto meno, appunto, sul lato Di Maio. Dal braccio di ferro si è passati al dialogo, dando credito al vicepremier grillino e cercando, almeno, di salvare il salvabile.
Qualcosa in effetti si è ottenuto, a partire dal superammortamento, provvedimento chiave per le imprese, prima cancellato e poi ripristinato dal Governo anche grazie al pressing degli imprenditori. E tuttavia, a un provvedimento gradito seguiva poi, magari, qualcosa di ostile, come la class action o le trivelle. Insomma, tutto un fare e disfare, un ottovolante continuo, a cui Boccia ha opposto una sorta di olimpica pazienza, o forse rassegnazione, chissà. D’altra parte, il governo è questo, la maggioranza è questa, e la Confindustria ‘antigovernativa’ non lo è mai stata nella sua storia.
Migliori interlocutori, rispetto alla politica, si sono rivelati i sindacati. Forse uniti anche dalla identica difficoltà di confrontarsi con un governo che, malgrado le frequenti dichiarazioni di interesse e attenzione, sembra in realtà non sapere cosa farsene delle parti sociali, Cgil, Cisl, Uil e Confindustria hanno continuato in tutto questo anno difficile a lavorare assieme, producendo anche un importante documento in vista delle Europee: un appello con cui si esortano i cittadini ad andare a votare “per sostenere la propria idea di futuro e difendere la democrazia, i valori europei, la crescita economica sostenibile e la giustizia sociale”, mettendo in guardia, per contro, da coloro “che intendono mettere in discussione il Progetto europeo, vogliono tornare all’isolamento degli Stati nazionali, alle barriere commerciali, ai dumping fiscali, alle guerre valutarie, richiamando in vita gli inquietanti fantasmi del Novecento”. Tanto perché sia chiaro da che parte stanno sia le confederazioni sindacali sia quelle imprenditoriali.
Più specificamente sul piano delle relazioni industriali, Confindustria e i sindacati sono da tempo al lavoro anche per mettere a punto il secondo step di quel ‘’patto della fabbrica’’ fortemente voluto da Boccia e firmato giusto a ridosso delle elezioni del 2018. Una nuova intesa dovrebbe arrivare entro l’estate, tanto che per i primi di giugno è già in programma un incontro di vertice. Per il presidente di Viale dell’Astronomia è forse l’ultimo trofeo possibile da portare a casa: un accordo che metta dei punti fermi alla contrattazione, che dia una svolta seria alla rappresentanza, e che svolga, infine, anche un ruolo di argine rispetto ai danni che potrebbero derivare da una visione errata della legge sul salario minimo legale: altra iniziativa abbastanza improvvida del governo, che pende come una spada di Damocle sia sulle imprese sia sui sindacati.
Nunzia Penelope