Dal 1° gennaio 2024 terminerà lo smart working per i lavoratori della pubblica amministrazione. Al momento nessuna proroga dunque. Storia diversa per il settore privato dove, grazie al cosiddetto decreto anticipi nella fase di conversione in legge, il lavoro agile per i fragili e i genitori con figli di età inferiore ai 14 anni è stato posticipato fino a fine marzo del prossimo anno. Una disparità di trattamento che difficilmente si può spiegare. È vero che un dipendente pubblico può erogare un servizio essenziale per la collettività, ma prorogare lo smart working e renderlo sempre più strutturale come modalità organizzativa non vuol dire limitare la fruizione degli utenti.
Eppure le premesse con il ministro Zangrillo erano diverse rispetto al suo predecessore. Il titolare del pubblico impiego del governo Meloni, in più occasioni, aveva ribadito la necessità di un salto culturale per rendere il lavoro agile sempre più presente nel pubblico, evitando inutili diversità rispetto al privato. Parole cadute nel vuoto.
Si potrebbe pensare a un’innata antipatia di questo governo nei confronti dei lavoratori dipendenti, privati e ancor di più pubblici, nonostante le buone intenzioni del ministro Zangrillo. Durante il discorso per chiedere la fiducia, la premier Meloni aveva detto che questo governo non avrebbe ostacolato chi fa e chi genera ricchezza. Ha più volte denunciato i soprusi e le difficoltà che una parte del mondo produttivo, quello degli autonomi, subisce a causa di un fisco nemico. Insomma per i lavoratori dipendenti, a lungo coccolati e tutelati, sta cambiando il vento.
Il lavoro pubblico rimane dunque ancora legato a logiche non sempre giustificabili che, nel bene e nel male, ne acuiscono la diversità con quello privato. Eppure, proprio lo smart working potrebbe essere l’occasione non solo di ripensare la dimensione organizzativa, ma anche uno strumento per scacciare via quella narrazione di dipendenti pubblici assenteisti e poco efficienti.
Certo, a una prima impressione, l’immagine del dipendente pubblico che lavora nella comodità della propria abitazione potrebbe essere controproducente per l’obiettivo prima detto, e anzi alimentare ancor di più l’invidia sociale.
Ma se ci pensiamo attentamente tutte le varie storie dei furbetti del cartellino sono potute accadere perché l’unico strumento di controllo era, appunto, la timbratura del cartellino. Se la misurazione della performance lavorativa si riduce unicamente alla presenza fisica e al rispetto di un orario, è molto più facile incappare in lavoratori poco motivati o, nel peggiore dei casi, del tutto assenti dal proprio posto di lavoro, grazie a un sistema di connivenze e spalleggiamenti.
Se invece valutiamo l’apporto di un lavoratore non sulla base del tempo che passa davanti a uno schermo, ma sui compiti che gli vengono assegnati, indipendentemente dal luogo di lavoro e, anche, dal rispetto di un orario fisso, forse possiamo individuare chi lavora onestamente e chi no. Un passo in avanti per una maggiore autonomia e responsabilità da parte dei lavoratori.
Così la mancata proroga del lavoro agile nella PA rischia di essere l’ennesima occasione mancata, con il rischio che il dipendente pubblico resti vittima dell’irriverente parodia del Checco Zalone impiegato dell’ufficio caccia e pesca, il cui compito era solo quello di timbrare le licenze, usando entrambi le mani nei momenti di massimo carico.
Tommaso Nutarelli