Alla fine Mario Draghi ha spiazzato un po’ tutti, e ai leader di Cgil, Cisl e Uil arrivati a Palazzo Chigi pronti a vendere cara la pelle, ha invece riservato un trattamento coi guanti e coi sorrisi: dicendo in pratica ‘sì’ a quasi tutte le richieste di Landini, Bombardieri e Sbarra. Alla più importante, in particolare: e cioè l’avvio “immediato” del confronto sulla riforma della previdenza, in origine destinata a slittare al 2023 dopo un soluzione ponte (quota 102) che i sindacati avevano respinto. Il confronto inizierà già il 1 dicembre, come i sindacati desideravano, e dovrebbe completarsi entro la primavera. (“In tempo per il Def”, ha osservato Bombardieri, causando poi l’equivoco che ha dato spunto ai titoli sui quotidiani: e cioè che Draghi in persona avrebbe confermato che sarà ancora lui, a marzo, a guidare il confronto. Invece, nulla di tutto questo: Palazzo Chigi ha smentito, e pure Bombardieri ha fatto marcia indietro: si è parlato di marzo, ma solo in riferimento al Def, appunto, non alla presenza di Draghi).
Ma tornando alle cose serie. L’altra fondamentale apertura di Draghi ai sindacati è sul fisco. Gli 8 miliardi stanziati per la riduzione delle tasse dovrebbe alla fine essere destinato in buona parte all’Irpef, ma in ogni caso anche la parte che potrebbe toccare l’Irap, ha garantito Draghi, non inciderà sulla sanità (attualmente finanziata, appunto, dalla tassa sulle imprese). Di riforma del fisco si parlerà a partire da martedì prossimo al tavolo specifico tra sindacati e Mef, ma al di la di quelle che saranno poi le scelte tecniche, è fin d’ora il significato politico quello che conta. Draghi, infatti, ha garantito ai sindacati che saranno “i primi interlocutori” del governo per quanto concerne le questioni fiscali. Per Cgil, Cisl e Uil è quel riconoscimento di ruolo che chiedevano da tempo a un premier accusato di convocarli “solo a cose fatte”. E lo dimostra, del resto, la soddisfazione espressa dopo l’incontro anche dal più critico dei tre leader sindacali, Maurizio Landini.
Sulle pensioni, il risultato politico è ancora più visibile: per la prima volta si parla apertamente di ”riforma” del sistema previdenziale: ”consideratelo acquisito”, ha detto il premier a Landini, Bombardieri e Sbarra, impegnandosi a portare la questione al consiglio dei ministri. I contorni della riforma sono tutti da discutere (il confronto sarà con i ministri Orlando e Franco), ma intanto è passata l’idea di un sistema più flessibile in uscita, come chiedono i sindacati, purché – ha precisato Draghi – nel vincolo del sistema contributivo. In altre parole, si tratterebbe del ricalcolo per chi va in pensione prima; ma questo non è stato detto esplicitamente, né i sindacati hanno chiesto precisazioni. Inoltre, il governo avrebbe in mente di creare un sistema ”non penalizzante” per coloro che sono in pensione ma vorrebbero continuare a lavorare. I sindacati, a loro volta, hanno preso atto con soddisfazione ( e forse con un po’ di stupore) della ”disponibilità” dimostrata dal premier. Al quale, comunque, hanno chiesto di mettere in qualche modo nero su bianco questi impegno, di renderlo più ”solido”; verba volant, si sa. Magari un protocollo, firmato da Draghi e asseverato dal Cdm, ma il premier si è comunque riservato di valutare i modi e le forme con cui ”solidificare” l’impegno.
Un punto che ancora lascia aperti molti dubbi sta invece nelle risorse destinate alle pensioni: al momento appena 600 milioni nella legge di Bilancio, che depurati di voci che con le pensioni c’entrano poco, secondo i calcoli dei sindacati scendono addirittura a 400. Cgil, Cisl e Uil intendono dunque, per ora, concentrarsi su quello che si può realizzare entro i limiti – anche temporali – della Legge di Bilancio, ma le risorse restano poche ugualmente. Alle richieste di Landini, Bombardieri e Sbarra Draghi ha risposto calciando la palla nel campo del ministro dell’Economia: starà a Daniele Franco, insomma, decidere se si possa o meno allargare la cinghia racimolando altre risorse; ” ma non vi fate strane idee”, ha avvertito il premier.
Cgil, Cisl e Uil punteranno su modifiche rapide e non eccessivamente pesanti dal punto di vista finanziario: estensione dei lavori usuranti anche ai precoci, Ape accessibile anche ai disoccupati di lunga durata, sconto di cinque anni sulla contribuzione per le donne, e trent’anni di contribuzione per gli Edili. Un pacchetto che, sempre secondo i calcoli dei sindacati, costerebbe circa 200 milioni oltre lo stanziamento già previsto, ma metterebbe in sicurezza, dal punto di vista previdenziale, praticamente quasi tutta la classe lavoratrice più affaticata, quella degli operai, del lavoro manuale, eccetera.
Al di là delle questioni tecniche, come si diceva, è intanto il risultato politico quello che più conta. I sindacati portano a casa una vera e propria ”svolta”, inimmaginabile fino a pochi giorni fa, tanto che a Draghi riconoscono di aver dimostrato, nelle due ore di confronto a Palazzo Chigi, una particolare ”sensibilità sociale”. Il premier, a sua volta, scegliendo Cgil, Cisl e Uil come interlocutori, sgombera il campo, almeno nell’immediato, dalla mina di eventuali scioperi generali e mobilitazioni varie (anche se i sindacati, per ora, le confermano), inopportune in un momento in cui il paese è alle prese con la quarta ondata di Covid, i novax si fanno sempre più rumorosi, e il quadro politico, nervosissimo per l’approssimarsi del voto per il Quirinale, rischia di implodere per svariate vicende. In questo marasma, avere la sponda delle confederazioni, o per lo meno non averle di traverso, non è poco. Senza contare che, in prospettiva, risolvere entro la primavera la grana pensioni d’intesa coi sindacati, sfilerà dalle mani della Lega una bandiera che Matteo Salvini già si preparava a sventolare nella prossima campagna elettorale. Ognuno, insomma, ha per ora trovato il proprio tornaconto. Si vedrà se la magica intesa con Palazzo Chigi reggerà alla prova quando la trattativa entrerà nel merito.
Nunzia Penelope