Alzi la mano chi pensava chi pensava che davvero i 5Stelle sarebbero riusciti a traversare la legislatura, dal trionfo del 2018 alla nuova prova del 2022 o 2023, restando sostanzialmente uniti e compatti e prolungando all’infinito la propria rappresentazione come partito di lotta e di governo. Come tante altre volte nella storia – spesso assai più drammatiche e tempestose – chi irrompe al potere privo di passato e capace di declinarsi solo al futuro si trova presto a scegliere, fra la lotta e il governo. Ai 5Stelle, probabilmente, altri cinque anni di opposizione avrebbero fatto bene e li avrebbero aiutati a definire le loro priorità. Piombati a Palazzo Chigi, si sono consumati in fretta. In larga misura, infatti, la rivoluzione a cinque stelle era già stata esplicitamente archiviata con il secondo governo Conte e l’accantonamento dei Di Battista e dei Toninelli. La cruda realtà della pandemia, il soccorso dell’Europa con le sue condizioni, la natura stessa del governo Draghi l’hanno definitivamente seppellita. In qualche modo, la controffensiva di Grillo per azzerare il tentativo Conte è l’ultima spiaggia per tenere in vita l’equivoco 5Stelle, a prezzo di un futuro politico ancora più fumoso, a meno di non tagliare gli ormeggi e tornare in mare aperto, abbandonando il governo Draghi.
Come finirà? Ad oggi, la conclusione più probabile è la spaccatura, non troppo lontano dalla metà, di quello che era il partito di maggioranza relativa uscito dal voto del 2018, fra contiani e grillini, ministeriali e ribellisti. Due tronconi, ambedue con un futuro politico vago ed incerto. Gli uni e gli altri, infatti, sono a caccia di una identità sfuggente. I contiani per andare al di là della faccia rassicurante del loro leader, moneta in fase di accelerata svalutazione nell’era Draghi. I secondi per ritrovare ragioni di esistenza, da spendere anche in era di pandemia e senza violare il principio non scritto, ma per ora solidamente vigente, che recita: “non disturbate il manovratore”.
E, allora, come rispondere alla domanda centrale di qualsiasi analisi politica: chi vince e chi perde? Andiamo con ordine.
Draghi. Fino a che vale l’obbligo morale che tiene Salvini dentro la maggioranza, il governo non sarebbe a rischio, neanche nell’ipotesi che Grillo sganciasse i lealisti e li portasse nel territorio dell’opposizione costruttiva, un po’ alla Meloni. E, visto che il programma di governo è, in qualche modo, scritto e blindato sotto la vigilanza di Bruxelles i margini per svolte e ribaltoni, ancora per un po’, sembrano inesistenti. A Draghi potrebbe, anzi, far comodo una eventuale rinuncia alla parte più indisciplinata, ma non decisiva, della maggioranza.
Salvini/Meloni. Una esplosione dei 5Stelle porta, in prospettiva, qualche vantaggio elettorale al centrodestra, anche se, per la verità, i sondaggisti, per usare la terminologia degli analisti di Borsa, hanno già scontato da tempo un riflusso a destra di una parte dell’elettorale 5Stelle del 2018. Una ulteriore fuga dalle due versioni dei 5Stelle 2021 tornerà ad ingrossare, piuttosto, l’astensione.
Letta. O il Pd. Vista da Via del Nazareno, infatti, la crisi dei 5Stelle comporta un calcolo complesso. Per due volte, nel 2013 e nel 2018, i grillini hanno impedito al partito prima di Bersani, poi di Renzi, di insediarsi saldamente come asse portante della politica italiana. Il tentativo, prima di Zingaretti, poi di Letta, di individuare nei 5Stelle il partner di un’alleanza di centrosinistra da contrapporre al centrodestra, già zoppicante, resta monco se il partner si divide in due. Pochi, numeri alla mano, si sentono oggi di escludere una vittoria del centrodestra alle prossime elezioni. Ma molto dipende anche da quando si svolgeranno. Perché, se si guarda più in là delle scadenze più vicine, il giudizio sugli effetti della crisi 5Stelle per il Pd è assai meno netto da quello che suggeriscono le prospettive immediate. Anzi, potenzialmente rovesciabile. Si può, infatti, legittimamente sostenere che la crisi dei 5Stelle è un successo diretto e ineludibile della strategia del Pd.
Torniamo al 2018. Il successo clamoroso dei 5Stelle è il frutto di un recupero dell’astensione, ma anche di una massiccia emorragia di voti tradizionalmente Pd. A questo punto, Via del Nazareno ha di fronte due strade. Demonizzare i grillini e i loro elettori. O dialogare con loro, per riconquistarli. La scissione grillini-contiani è il risultato, prevedibile e ineluttabile, di questa seconda strategia. Conte è, esattamente, l’interlocutore che il Pd andava cercando e di cui ha un disperato bisogno per rilanciare il centrosinistra. E’, inevitabilmente, un concorrente, ma anche la strada più breve ed efficiente per riagganciare – e forse, domani, riassorbire – quegli elettori perduti. Un po’ paradossalmente, la scissione grillina rende, insomma, più agevole e credibile la strategia di una ricomposizione a sinistra, impostata da Zingaretti. Anche perché, rispetto agli accordi di vertice con la dirigenza grillina di ieri, diventa una questione di capacità di proporre contenuti non solo ai potenziali alleati contiani, ma, al di là dei governativisti, alla galassia degli elettori grillini. Sotto la coltre del consenso pandemico, la politica si è rimessa in moto.
Maurizio Ricci