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Home - Approfondimenti - Analisi - La legge regionale pugliese

La legge regionale pugliese

14 Dicembre 2005
in Analisi

di Vito Pinto, ricercatore in diritto del lavoro nell’Università di Bari e componente del Comitato Regionale per il monitoraggio del sistema economico

(il testo della legge)
Con la legge regionale 22 novembre 2005, n. 13, la Regione Puglia ha disciplinato gli aspetti formativi dell’apprendistato professionalizzante di cui all’articolo 49 del d. lgs. 10 settembre 2003, n. 276.
La legge, approvata dal Consiglio regionale a larga maggioranza, senza alcun voto contrario e con l’astensione dei soli consiglieri di Forza Italia e de La Puglia prima di tutto, ha avuto eco anche sulla stampa nazionale essenzialmente per alcune reazioni polemiche che ha suscitato.
In questa sede, tuttavia, ci si limiterà a ricostruire il quadro legislativo nell’ambito del quale si è sviluppata l’iniziativa regionale e a dare conto, per quanto sinteticamente, delle nuove regole e delle scelte di politica legislativa ivi sottese.

1. L’intesa con le parti sociali precedente l’esercizio della potestà legislativa regionale

Come è noto, una delle questioni più importanti dell’apprendistato “professionalizzante per il conseguimento di una qualificazione attraverso una formazione sul lavoro e un apprendimento tecnico-professionale” attiene al complesso intreccio tra fonti di regolamentazione dei profili formativi realizzata dall’articolo 49, commi 5 e 5-bis, del d. lgs. n. 276/2003.
Il comma 5, infatti, rimette alle Regioni “la regolamentazione dei profili formativi dell’apprendistato professionalizzante […] d’intesa con le associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano regionale”; il comma 5-bis, poi, chiarisce che tale regolamentazione deve essere dettata con legge regionale.
Il medesimo quinto comma, inoltre, fissa una serie “criteri e principi direttivi” imponendo al legislatore regionale la “previsione di un monte ore di formazione formale, interna o esterna alla azienda, di almeno centoventi ore per anno, per la acquisizione di competenze di base e tecnico-professionali; [il] rinvio ai contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative per la determinazione, anche all’interno degli enti bilaterali, delle modalità di erogazione e della articolazione della formazione, esterna e interna alle singole aziende, anche in relazione alla capacità formativa interna rispetto a quella offerta dai soggetti esterni; [il] riconoscimento sulla base dei risultati conseguiti all’interno del percorso di formazione, esterna e interna alla impresa, della qualifica professionale ai fini contrattuali; [la] registrazione della formazione effettuata nel libretto formativo; [la] presenza di un tutore aziendale con formazione e competenze adeguate”.
Ai fini che qui interessano è opportuno ricordare come la Corte Costituzionale, con la sentenza 28 gennaio 2005, n. 50, abbia affermato la piena legittimità costituzionale della disciplina del contratto di apprendistato.
Per quanto riguarda la disciplina degli aspetti formativi, in particolare, la Corte ha precisato innanzi tutto che la competenza legislativa regionale esclusiva riguarda soltanto la formazione professionale impartita agli apprendisti all’esterno dell’azienda. Al contrario, l’istruzione e la formazione professionale “che i privati datori di lavoro somministrano in ambito aziendale ai loro dipendenti”, in quanto “essenziale con riguardo alla causa mista propria dei contratti a contenuto formativo”, per la Corte rientra “nel sinallagma contrattuale e quindi nelle competenze dello Stato in materia di ordinamento civile” (§ 14).
In secondo luogo, la Corte Costituzionale ha altresì considerato legittima l’imposizione al legislatore regionale di vincoli procedurali di consultazione interistituzionale e di concertazione sociale (nelle diverse forme previste dal d. lgs. n. 276/2003 in relazione ai tre tipi di apprendistato).
L’argomentazione è fondata sulla constatazione che nella disciplina dell’apprendistato né la formazione interna all’azienda né quella esterna “appaiono allo stato puro, ossia separate nettamente tra di loro e da altri aspetti dell’istituto” e che tale situazione determina un concorso/conflitto tra competenze legislative – nel caso dell’apprendistato professionalizzante, entrambe esclusive –  dello Stato e delle Regioni.
In assenza di un criterio di composizione dei conflitti tra competenze legislative concorrenti esplicitamente posto dalla Costituzione, quindi, la Corte ha valutato la legittimità delle norme in questione sulla base del principio di leale collaborazione: canone che, in linea generale, legittima una disciplina statale di materie che sono anche di competenza regionale a condizione che la legge statale garantisca adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni, a salvaguardia delle competenze loro costituzionalmente attribuite (cfr., almeno, le sentenze 28 gennaio 2005, n. 51; 8 giugno 2005, n. 219; 11 ottobre 2005, n. 384).
Nel caso di specie, appunto, la Corte ha valutato come legittime le norme legislative statali che impongono il raggiungimento di intese proprio perché costituenti “corretta attuazione del principio di leale collaborazione” e, in quanto tali, non lesive delle competenze legislative regionali (§ 16).

Non è questa la sede per approfondire il tema. Tuttavia, è possibile evidenziare come – a parere  di chi scrive – la posizione della Corte non convinca. Per un verso, infatti, nel caso dell’apprendistato professionalizzante il principio di leale collaborazione non funge da limite all’esercizio della potestà legislativa statale in favore delle Regioni bensì da giustificazione di una legislazione statale che limita sul piano procedurale la potestà legislativa regionale. Per altro verso, è lecito dubitare della possibilità di equiparare – su questo specifico piano – le procedure interistituzionali di cooperazione e quelle di consultazione delle parti sociali.
Mentre l’imposizione delle prime –  si pensi all’intesa tra Regione e Ministeri di cui all’art. 48, co. 4, d. lgs. n. 276/2003 – può forse considerarsi una forma di “leale collaborazione” nell’esercizio delle funzioni dello Stato e delle Regioni, l’imposizione da parte dello Stato di procedere alla definizione di un’intesa con le parti sociali pare essere priva di qualsiasi base costituzionale e rappresentare soltanto un particolare modello di relazioni tra Regioni e organizzazioni rappresentative di interessi la cui adozione, peraltro, è stata auspicata tempo fa dal Ministro del Lavoro (come dimostrato dal Libro Bianco sul mercato del lavoro in Italia, § I.2.1).
Ciò comporta, sempre a personale parere di chi scrive, che l’impossibilità di raggiungere un’intesa relativa all’apprendistato professionalizzante non ostacoli in alcun modo l’iniziativa legislativa delle Regioni; e che un’eventuale intesa, da chiunque sottoscritta, non abbia alcun effetto giuridico vincolante sulla potestà legislativa costituzionalmente riconosciuta ai Consigli Regionali.


Ad ogni modo, e sempre sul piano procedurale, la Regione Puglia ha puntualmente osservato la disciplina legislativa statale sopra richiamata dapprima istituendo il tavolo tecnico di confronto con le parti sociali (cfr. le deliberazioni della Giunta Regionale del 2 marzo 2005, n. 184 e del 28 giugno 2005, n. 926); quindi, sottoponendo all’attenzione delle parti un documento contenente le linee d’indirizzo della disciplina da emanare; infine, sulla base delle indicazioni emerse nei vari incontri e discussioni, procedendo alla redazione e al progressivo perfezionamento di un articolato normativo.
L’intesa sulle linee generali del disegno di legge è stata formalizzata dalla maggioranza delle organizzazioni rappresentative dei datori di lavoro e sindacali presenti al tavolo in data 14 ottobre. Il documento di intesa, più precisamente, è stato sottoscritto in questa data da Confapi, Confartigianato, Cna, Claai, Lega delle Cooperative, Confcommercio, Cgil, Uil, Ugl; e, nei giorni successivi, da Confesercenti, Abi e Confcooperative.


Dissensi, invece, sono stati quelli espressi per ragioni diverse da Coldiretti (che però ha affermato di apprezzare i modi del confronto realizzato dalla Regione), da Confindustria e dalla Cisl. In particolare, alcune delle proposte presentate da queste due ultime organizzazioni non sono state condivise dalla Regione e/o dalle altre parti presenti al tavolo. Accogliere le residue richieste delle tre organizzazioni non stipulanti, in definitiva, avrebbe comportato o il dissenso di altre organizzazioni o lo stallo (politico) dell’intera iniziativa.
Del resto, e sul piano giuridico, l’articolo 49, comma 5, del d.  lgs. n. 276/2003 non richiede affatto l’intesa di tutte le associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano regionale.



2. La formazione dell’apprendista


Il Consiglio regionale pugliese, inoltre, ha puntualmente seguito anche i principi e i criteri direttivi dettati dall’articolo 49, comma 5, del d. lgs. n. 276/2003 in ordine alla disciplina sostanziale dei profili formativi dell’apprendistato.
Nel merito, la disciplina regionale è imperniata sulla definizione da parte della Giunta regionale dei “profili formativi”, intendendosi per tali “l’insieme delle conoscenze e delle competenze necessarie per ciascuna figura professionale o per gruppi di figure professionali affini” (art. 2, co. 3, l.r.). In altri termini, i profili formativi determinano in linea astratta e generale i fabbisogni formativi indispensabili per svolgere le mansioni tipiche di una figura professionale.
La delicatezza, anche dal punto di vista socio-economico oltre che strettamente aziendale e produttivo, della definizione dei profili formativi spiega perché la legge imponga alla Giunta regionale di recepire, ove presenti, le indicazioni contenute nei contratti collettivi di lavoro ovvero formulate dagli enti bilaterali e, in ogni caso, di procedere “d’intesa con le organizzazioni sindacali dei lavoratori e le associazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano regionale” (art. 2, co. 1, l.r.).
Al momento dell’assunzione, peraltro, il datore di lavoro dovrà non solo decidere a quale profilo deve essere collegata la formazione dell’apprendista ma, dopo una puntuale verifica delle “competenze già possedute dal lavoratore”, deve altresì indicare in un apposito piano formativo individuale “le specifiche azioni formative che l’apprendista deve seguire al fine di acquisire le conoscenze e le competenze previste nel profilo professionale di riferimento” (art. 4, co. 1, l.r.).
Quest’ultimo documento, la cui funzione consiste dunque nell’esplicitare l’articolazione del percorso formativo (arg. ex art. 3, co. 3, l.r.), deve essere poi consegnato dal datore di lavoro al Centro per l’Impiego competente per territorio entro il quinto giorno successivo all’assunzione.
Il Centro ha sette giorni di tempo per verificare “la coerenza dei contenuti del piano formativo individuale con il profilo formativo di riferimento” (art. 4, co. 2 e 4, l.r.) e, in caso di esito negativo, per chiedere al datore di lavoro la riformulazione del piano (art. 4, co. 4, ultimo periodo, l.r.).


Ma il nucleo normativo più rilevante della recente legge regionale è certamente quello relativo alla struttura e ai contenuti della formazione da impartire agli apprendisti (art. 3). E’ su questi temi, infatti, che le scelte del Consiglio Regionale – e, prima ancora, dei partecipanti al tavolo tecnico di consultazione – sono più significative ed originali.
La legge regionale prevede, anzitutto, un significativo innalzamento del monte ore di formazione formale da impartire all’apprendista (scelta perfettamente legittima posto che l’art. 49, co. 5, lett. a, prevede che il monte ore di formazione formale disciplinato dalle Regioni sia di “almeno” centoventi ore per anno).
E’ disposto, in particolare, che quel monte ore non possa essere inferiore a “duecentoquaranta ore se il contratto di apprendistato ha durata biennale; […] trecentosettantacinque ore se il contratto di apprendistato ha durata superiore a due anni e sino a tre anni; […] cinquecentoventicinque ore se il contratto di apprendistato ha durata superiore a tre anni e sino a quattro anni; […] seicentonovantasei ore se il contratto di apprendistato ha durata superiore a quattro e sino a cinque anni; […] ottocentonovantuno ore se il contratto di apprendistato ha durata superiore a cinque anni e sino a sei anni” (art. 3, co.2, l.r.).


Ferma restando la competenza della contrattazione collettiva nazionale a fissare la durata massima del contratto di apprendistato (così come previsto dall’art. 49, co. 3, d. lgs. n. 276/2003) e l’autonomia del datore di lavoro e del lavoratore nel decidere la durata del contratto che li vincola, la legge regionale incentiva la concentrazione temporale del periodo formativo o, se si preferisce, scoraggia – attraverso un incremento più che proporzionale delle ore di formazione rispetto alla durata dell’efficacia del contratto – un’eccessiva diluizione degli interventi formativi. E ciò per più ragioni: per garantire l’efficacia degli stessi interventi formativi; per ridurre la “precarietà” inevitabilmente connessa ad un rapporto di lavoro a termine qual è l’apprendistato; per scoraggiare il ricorso opportunistico a questo schema negoziale da parte di datori di lavoro interessati soltanto a lucrare, per il maggior numero possibile di anni, dei benefici economici e contributivi conseguenti alla stipulazione dei contratti di apprendistato.
Per la legge regionale, inoltre, la formazione formale deve essere svolta “prevalentemente all’esterno dell’azienda” (art. 3, co. 4, l.r., il quale lascia alla contrattazione collettiva la definizione delle “modalità” di erogazione della formazione così come previsto dall’art. 49, co. 4, lett. b, d. lgs. n. 276/2003). La formazione dell’apprendista, infatti, non è direttamente funzionale all’inserimento del lavoratore in un dato contesto organizzativo e produttivo, bensì all’acquisizione di un complesso di conoscenze e di abilità in grado di assicurare al lavoratore l’occupabilità presso più datori di lavoro.


Sul piano legislativo, questa era la caratteristica distintiva fondamentale tra contratto di apprendistato e contratti di formazione e lavoro; e questo è, oggi, l’elemento che differenzia il contratto in discorso dal contratto di inserimento lavorativo di cui agli articoli 54 e ss. del d. lgs. n. 276/2003. Se così è, è facile intuire la ragione principale per cui la legge regionale impone la prevalenza della formazione esterna: quella interna all’azienda, infatti, si presenta inevitabilmente firm specific e spesso ridotta ad un mero addestramento pratico che, pure necessario, non può sostituire la formazione teorica.
Ciò posto, al datore di lavoro è affidata la responsabilità di scegliere – sebbene d’intesa con il lavoratore – il programma formativo più adeguato al caso concreto tra quelli offerti dagli enti di formazione accreditati dalla Regione e inseriti in un catalogo preventivamente approvato dalla Regione medesima sentite le organizzazioni datoriali e sindacali (anche per il tramite degli enti bilaterali: cfr. art. 7, co. 1, l.r.); ovvero, per il caso in cui la formazione debba essere erogata in territorio regionale diverso da quello pugliese, tra i programmi formativi offerti dagli enti accreditati da altre Regioni (art. 8, co.2, l.r.). Sempre al datore di lavoro, inoltre, spetta definire – nel piano formativo individuale, s’intende – le forme di raccordo tra formazione interna ed esterna all’azienda e, più precisamente, tra il tutore aziendale e l’ente di formazione accreditato.
Merita di essere segnalato, peraltro, che l’importanza assegnata alla formazione extra-aziendale non si traduce in un aggravio di costi per i datori di lavoro, posto che per espressa statuizione del legislatore regionale gli oneri della formazione esterna sono a carico esclusivo dell’ente regionale (che provvede al finanziamento del sistema attraverso un sistema di voucher formativi: art. 8, co. 1, l.r.)   


3. L’accertamento della formazione e il monitoraggio degli effetti della legge


L’effettività della disciplina in discorso, infine, è assicurata da un articolato sistema di certificazione della formazione già impartita nonché di accertamento delle competenze acquisite (rispettivamente, artt. 5 e 9 l.r.).
Sotto il primo profilo, un’analitica certificazione della formazione interna, che tenga conto anche delle attestazioni del tutore aziendale, è rilasciata dal datore di lavoro al lavoratore al termine di ogni anno nonché al momento dell’estinzione del rapporto di apprendistato. Analogamente, l’ente di formazione deve rilasciare al lavoratore una certificazione relativa alla formazione cd. esterna.
Entrambe le certificazioni devono essere altresì trasmesse, rispettivamente dal datore di lavoro e dall’ente di formazione, al Centro per l’impiego competente per territorio, al quale la legge regionale affida il compito di accertare, “ogni anno nonché in ogni ipotesi di cessazione del rapporto di apprendistato”, l’avvenuta acquisizione delle conoscenze e delle competenze indicate nel profilo formativo di riferimento. Conoscenze e competenze che, se acquisite, sono annotate a cura del medesimo Centro per l’impiego sul libretto formativo del lavoratore.


La legge regionale in commento contiene diverse altre disposizioni rilevanti più sul piano empirico dell’applicazione della disciplina che si vuole semplice ma rigorosa, che su quello delle scelte di politica legislativa.
Fa eccezione la norma che “concede un incentivo economico ai datori di lavoro che, senza soluzione di continuità rispetto al periodo di apprendistato, assumono il lavoratore a tempo indeterminato” (art. 10, co. 1, l.r.). Incentivo la cui importanza, peraltro, varierà in ragione dell’importo che sarà stabilito annualmente dalle leggi di bilancio.
Già ad una sintetica descrizione dell’impianto regolativo, comunque, è evidente la notevole importanza attribuita dal legislatore regionale alla formazione degli apprendisti quale strumento di emancipazione degli stessi e, nello stesso tempo, di competitività delle imprese. L’andamento della fase concertativa che ha condotto all’intesa e l’esito della votazione consiliare, del resto, dimostrano quanto queste aspettative siano condivise e diffuse tra le forze sociali e politiche.
La legge regionale, comunque, affida all’Assessorato regionale al lavoro e alla formazione professionale la rilevazione e l’elaborazione statistica degli effetti della disciplina nonché la comunicazione alle organizzazioni sindacali e alle associazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano regionale (art. 12, co. 1, l.r.). Infine, la legge stabilisce che questi stessi dati siano discussi in un’apposita seduta della Commissione regionale per le politiche del lavoro e ciò, evidentemente, anche al fine di poter disporre di una sede in cui valutare l’impatto reale della nuova disciplina sulle dinamiche socio-economiche regionali e di concertarne eventuali modifiche.

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