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Home - Approfondimenti - Interviste - Sorrentino (Fp Cgil), la maxi staffetta generazionale? Un passo avanti, ma non basta

Sorrentino (Fp Cgil), la maxi staffetta generazionale? Un passo avanti, ma non basta

di Tommaso Nutarelli
25 Settembre 2017
in Interviste
Sorrentino (Fp Cgil), la maxi staffetta generazionale? Un passo avanti, ma non basta

Un turn over bloccato da lungo tempo, un rinnovo del contratto nazionale in “ghiaccio” da otto anni e una popolazione lavorativa con un un’età media particolarmente elevata. Sono questi i tratti distintivi del pubblico impiego, che dovrebbe trovarsi alle soglie di un grande rinnovamento, dopo l’annuncio di un massiccio ricambio generazionale, che aprirebbe le porte della pensione a circa 500 mila addetti, il 20% della forza lavoro. Di questo, e delle condizioni di chi opera nella Pa,  abbiamo parlato con Serena Sorrentino, segretario generale della Fp Cgil.

Sorrentino, iniziamo dalla maxi staffetta generazionale nel pubblico impiego: cosa ne pensa e come si dovrebbe articolare questo piano?

Parliamo della sostituzione fisiologica del personale, che non sarà più in servizio nei prossimi anni e che, grazie allo sblocco del turn over, potrà essere in parte sostituito. Per questo riteniamo che le misure assunte siano state un passo positivo ma non sufficiente. Aumentare l’occupazione nella Pa significa garantire servizi sempre più efficienti e un maggiore grado di innovazione. Da tempo abbiamo presentato un nostro piano straordinario per l’occupazione, per la semplice ragione che le innovazioni come il passaggio alla definizione dei fabbisogni sono strumenti utili se c’è il personale adeguato, altrimenti rischiano di essere vanificati.

L’età media della forza lavoro nel pubblico impiego è molto elevata. Quali sono le ragioni di questa particolare “senescenza’’ dei dipendenti pubblici?

Le ragioni risiedono proprio nel protrarsi di un blocco del turn over che ha impedito il ricambio. A questo elemento si sommano le manovre sulle pensioni che hanno visto il trattenimento in servizio di una larga parte del personale, per l’adeguamento dei requisiti previdenziali all’allungamento dell’aspettativa di vita. Questa penalizzazione si è infine combinata al blocco dei contratti e alla mancata formazione, che ha reso i dipendenti più esposti ai rischi sociali: impoverimento delle retribuzioni, aumento dei carichi di lavoro, obsolescenza delle proprie competenze.

L’invecchiamento delle forze lavoro ha ripercussioni sulle prestazioni lavorative nei vari settori? E in quali pesa di più, in particolare?

In questi anni di crisi il pubblico impiego ha pagato un prezzo altissimo. Il disagio sociale è aumentato, con insostenibili dei carichi di lavoro in segmenti cruciali della Pa, come il settore educativo, sanitario e la sicurezza, ma anche nelle agenzie e negli enti previdenziali. In generale, in tutte le aree della Pubblica amministrazione dove c’è un rapporto diretto col pubblico, dove si danno servizi e prestazioni ai cittadini, abbiamo vissuto un aumento esponenziale del lavoro assegnato ai dipendenti per garantire servizi ai cittadini e, di conseguenza, il nascere di nuove malattie professionali. La mancanza di investimenti nell’innovazione pesa anche sull’organizzazione del lavoro, dalle banche dati che non comunicano alla mancanza di strumenti adeguati per svolgere il proprio lavoro. Per fare solo un esempio: si passa in alcuni uffici dal comprare in autonomia toner e carta per stampare per arrivare a spingersi, in alcuni, così in avanti per garantire i servizi mettendo a rischio la propria salute e la vita a causa di queste carenze. Per noi è diventato intollerabile.

In ballo c’e’ anche la stabilizzazione dei moltissimi precari nella PA. Si riuscirà a realizzare, e in che termini?

Qualche passo in avanti, e lo abbiamo da subito riconosciuto, è stato fatto. La scelta di sbloccare il turn over, le misure contenute nella passata legge di Stabilità e nella riforma della Pa sono dei primi segnali fondamentali, ma non bastano. Per garantire che le stabilizzazioni salvaguardino tutti i bacini di concorsisti di questi anni e che si determini anche nuovo reclutamento, dando risposte agli storici ed evitando di creare nuove aree di precariato, occorrono risorse, assunzioni correlate alla nuova programmazione e una legislazione che cancelli il precariato dalla Pa. Su questi tre titoli, anche grazie all’accordo del 30 novembre governo-sindacati, ci si sta muovendo nella direzione giusta, ma occorre accelerare per dare certezze.

Qual e’ il settore della PA che oggi presenta le criticità maggiori, e come si potrebbero risolvere?

La Pa ha punti di eccellenza diffusi e criticità altrettanto diffuse. Le performance degli enti e delle amministrazioni dipendono quasi tutte dai fattori che abbiamo analizzato: poco personale, esigenza di nuove professionalità e strumenti. In generale sottolineerei che i lavoratori non si autogestiscono ad oggi e che il risultato dipende molto dal ruolo della dirigenza. Per questo aver fatto una riforma che solo parzialmente va a toccare il management, rappresenta un problema non rinviabile. Con i contratti nazionali riprenderemo a negoziare: occorre maggiore partecipazione se vogliamo più responsabilità.

Quali dovrebbero essere, secondo lei, le priorità da affrontare all’interno del pubblico impiego, per migliorare sia le condizioni di lavoro, sia le prestazioni ai cittadini?

Noi pensiamo che la priorità sia il rinnovo dei contratti, fermi da oltre otto anni. In questi anni di blocco, che sono gli stessi della crisi, molte cose sono cambiate, a partire dalle esigenze e dai bisogni dei cittadini. Per questo crediamo che il contratto, la contrattazione a tutti i livelli che deve avere preminenza sulla legge, possa non solo rispondere a un diritto delle lavoratrici e dei lavoratori ma anche determinare quelle condizioni organizzative tali da poter misurarsi al meglio coi bisogni delle comunità. Per migliorare le condizioni di lavoro e le prestazioni ai cittadini bisogna, insomma, mettere mano, col contratto, a quel corredo di norme che qualificano i diritti delle persone che lavorano nella Pa e che, soprattutto, incidono su un elemento fondamentale, ovvero la valorizzazione professionale dei dipendenti pubblici. Il cittadino vuole più semplificazione, meno burocrazia, il lavoratore vuole lavorare meglio e con maggiore professionalità. Le esigenze vanno nella stessa direzione ma la politica fino ad oggi ha dato priorità ai tagli di spesa.

Nel pubblico impiego il rinnovo dei contratti e’ stato ‘’congelato’’ nel 2010, adesso sono finalmente riprese le trattative. A che punto sono i negoziati e in quali tempi ritiene si potrà concludere tutta la tornata di rinnovi?

Abbiamo insediato, per ora, i tavoli per il rinnovo del contratto del comparto delle Funzioni Centrali e della Sanità. Siamo in attesa di una convocazione, invece, per il comparto delle Funzioni Locali. Il nostro obiettivo è di chiudere entro la fine dell’anno perché le lavoratrici e i lavoratori possano registrare da subito gli effetti del rinnovo. Il tema però è un altro. Dopo anni di blocco e, allo stesso tempo, di grandi cambiamenti questo rinnovo non può essere una “manutenzione” contrattuale, abbiamo bisogno di un contratto innovativo che permetta alla contrattazione di essere preminente sulle “rigidità” della legge, che valorizzi le lavoratrici e i lavoratori, che guardi al miglioramento dei servizi ai cittadini, che liberi risorse per dare il giusto riconoscimento al lavoro. Questo è il nostro impegno, questa la richiesta che arriva dal mondo del lavoro pubblico.

Tommaso Nutarelli

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Tommaso Nutarelli

Tommaso Nutarelli

Giornalista de Il diario del lavoro.

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