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Home - Approfondimenti - Interviste - Mantegazza, avevamo fatto il possibile per trovare una intesa, lo sciopero è l’ultima risorsa

Mantegazza, avevamo fatto il possibile per trovare una intesa, lo sciopero è l’ultima risorsa

di Emanuele Ghiani
16 Ottobre 2020
in Interviste
Mantegazza, avevamo fatto il possibile per trovare una intesa, lo sciopero è l’ultima risorsa

Il diario del lavoro ha intervistato Stefano Mantegazza, segretario generale della Uila, per chiedergli a che punto è arrivato il sindacato con la sottoscrizione dell’accordo per il rinnovo del contratto dell’industria alimentare. Per Mantegazza, il sindacato ha provato tutte le strade possibili per arrivare ad una intesa condivisa con le controparti, ma quando non si trovano più alternative, l’ultima carta è purtroppo lo sciopero generale.

Mantegazza, qual è la situazione per il rinnovo del contratto dell’industria alimentare?

Dopo la firma del 31 di luglio con Unionfood, Ancit e AssoBirra abbiamo avuto un numero crescente di aziende che hanno aderito in maniera autonoma all’accordo di rinnovo del contratto nazionale. Abbiamo incominciato con dei Big del settore come Campari e Lactalis, per proseguire con tante altre aziende. A livello nazionale abbiamo censito almeno un centinaio di aziende importanti. La settimana scorsa abbiamo sottoscritto una intesa con l’associazione Assica e Mineracqua. Siamo arrivati ad avere oltre il 50% di adesioni dal punto vista del fatturato del settore.

Quante parti datoriali hanno sottoscritto l’accordo al momento?

Sono cinque associazioni su tredici. L’auspicio è che si possa arrivare alla sottoscrizione del contratto con le altre associazioni, e noi come sindacato confermiamo la nostra disponibilità a valutare, settore per settore e quindi associazione per associazione, se ci siano delle specificità da valorizzare in una intesa che porti alla sottoscrizione dell’accordo di carattere più generale.

Avete indetto uno sciopero per il 9 novembre, quindi i tempi per un lieto fine si accorciano…

Speriamo e vorremmo se possibile, evitare lo sciopero, nessuno di noi ha piacere a svolgere una attività di protesta che comunque penalizza i lavoratori perché li colpisce nella retribuzione e porta disagio alle aziende.

Quale è stato il casus belli che ha creato questa frattura nelle trattative che vi ha portato ad usare la mano pesante come uno sciopero generale invece di proseguire le trattative?

Non si tratta di avere la mano pesante, il fatto è che le trattative si sono concluse il 31 luglio e non si possono riaprire perché il contratto dell’industria alimentare è uno solo; bisogna prendere atto di questa realtà. Il sindacato ha fatto il possibile e l’impossibile per tenere unito questo settore fino al 31 di luglio, per cercare di ricomprendere tutte le associazioni in un unico accordo. Purtroppo non ci siamo riusciti ma non per colpa nostra, dal momento che non siamo stati noi ad abbandonare il tavolo negoziale ma è stata una parte delle associazioni datoriali.

Da qui la decisione di indire lo sciopero generale.

Come sempre succede, quando si esauriscono tutte le opportunità di ragionamento, poi bisogna sostenere le posizioni che uno ha espresso al tavolo anche con dei momenti di agitazione e di sciopero. Siamo partiti alla fine di agosto, quindi abbiamo dato un tempo lungo alle aziende per decidere se quel contratto che avevamo sottoscritto poteva essere condiviso, tant’è che alcuni consensi sono arrivati subito, come Lactalis e Campari, che infatti hanno sottoscritto. Abbiamo bloccato gli straordinari e le festività per alcune settimane prima di arrivare allo sciopero di 4 ore del 9 ottobre; adesso il 9 novembre lo sciopero sarà di 8 ore e saremo in 20 piazze italiane, una per Regione, tutte collegate in streaming tra loro, e la nostra protesta è destinata a crescere.

Quindi conferma che il tavolo di trattativa sia stato abbandonato dalle controparti.

Si, e la decisione di Federalimentare e delle 10 associazioni di abbandonare il tavolo negoziale, da addetto ai lavori, la giudico incomprensibile. Avevamo definito con queste associazioni e con Federalimentare tutti i contenuti normativi del contratto, quindi la formazione o lo smart-working, il welfare, il versante della sicurezza. Inoltre avevamo definito, riuscendo ad essere tutti d’accordo, la struttura del salario che è uno tema fondamentale. Poi abbiamo affrontato l’ultima salita, che era quella degli importi salariali, ma non abbiamo raggiunto la vetta.

Cosa è successo?

La rottura è avvenuta sulla quantificazione dell’importo di una indennità che scatterà ad aprile del 2023. A dividerci 13 euro di differenza. Un importo certamente non rilevante, rispetto al quale però Federalimentare si è mostrata irremovibile anche di fronte a soluzioni alternative. Quando si arriva vicino alla vetta ci sono molti escamotage per trovare una conclusione.

Ad esempio?

Si poteva spostare una tranche di aumento salariale di qualche mese, quindi alla fine si riduceva il costo complessivo che le aziende devono pagare per il quadriennio. Insomma, poi le parti solitamente la trovano una soluzione per mediare sulla parte finale di una discussione salariale. Invece in questo caso, in maniera non prevista diciamola così, Federalimentare ha ritenuto opportuno abbandonare il negoziato.

In passato avete sempre avuto ottimi rapporti con la controparte, e questo contrasto appare singolare nella vostra storia di relazioni industriali.

Si, infatti su tutti i contratti rinnovati dal ’94 ad oggi, vado a memoria, è la prima volta che succede una rottura di questo genere. I rapporti con Federalimentare sono sempre stati improntati ad ottime relazioni industriali e quindi siamo molto dispiaciuti della condizione nella quale ci siamo ritrovati. Ognuno in questi casi valuta i propri meriti e le proprie colpe.

Meriti e colpe del sindacato?

Il sindacato ha fatto lo sforzo di negoziare su tre tavoli diversi per cercare di ricomporre lacerazioni soprattutto interne al sistema della controparte, senza che questo sforzo sia stato molto apprezzato. Siamo arrivati alle ultime due tornate di trattative, sulle stesse materie e argomenti: con un tavolo trattavamo con Federalimentare e altre associazioni, un altro con Unionfood, Ancit e AssoBirra e l’altro, chiamato “tavolo della carni”, dove erano presenti Assocarni e Unaitalia. Quindi passavamo letteralmente da una sala all’altra per discutere delle stesse materie e contenuti. Avevamo fatto questa scelta proprio per trovare il bandolo della matassa che ci consentisse di portare a sintesi le diverse posizioni delle controparti. Purtroppo non ci siamo riusciti, ma devo dire che il sindacato ce l’ha messa tutta, qualcun altro un poco meno.

Quindi il tentativo di portare avanti i tre tavoli che portano istanze molto simili tra loro, ma immagino con qualche piccola o trascurabile differenza, non ha dato i risultati sperati.

Preciso che le posizioni erano proprio identiche. Tant’è che siamo arrivati a definire la parte normativa in maniera condivisa su tutti e tre i tavoli, anche sulla struttura salariale eravamo d’accordo, e quando siamo arrivati all’ultimo kilometro si è rotta la trattativa.

Da questo punto avete deciso di sottoscrivere un unico contratto, dato che erano tutti identici e che c’erano resistenze proprio su ultimi dettagli, e portare avanti la battaglia per firmarlo con tutte le parti.

Esatto. Si immagini che per trattare su tre tavoli diversi abbiamo preso in affitto un albergo a spese nostre. Tre sale per le varie parti datoriali, una per noi, un’altra sala solo per trattare, insomma questo per dire che ci abbiamo veramente provato in tutti i modi.

                                                              ************              **************           ***************
Terminata l’intervista, dopo qualche ora Federalimentare ha annunciato il suo ritiro a svolgere la funzione di coordinamento nella trattativa per il rinnovo dell’industria alimentare. Di seguito il commento che Stefano Mantegazza ha rilasciato per Il Diario del lavoro:

La lettera a cui fa riferimento L’Adnkronos, pervenuta qualche giorno fa alle segreterie nazionali conteneva la richiesta di riaprire il negoziato. Scelta per noi impraticabile dal momento che, come abbiamo sempre detto, quello sottoscritto il 31 Luglio sarebbe stato l’unico contratto del settore. Non è questo l’epilogo che avremmo voluto e come sindacato dobbiamo ancora una volta sottolineare lo sforzo compiuto nei mesi di Giugno e Luglio per cercare di arrivare ad una conclusione condivisa con tutte le associazioni e con Federalimentare per il rinnovo del contratto nazionale.

Emanuele Ghiani

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Redattore de Il diario del lavoro.

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