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Home - Approfondimenti - Interviste - Colombini (Cisl), l’Italia è pronta per la svolta green, ma va governata saggiamente e senza imposizioni

Colombini (Cisl), l’Italia è pronta per la svolta green, ma va governata saggiamente e senza imposizioni

di Tommaso Nutarelli
18 Dicembre 2019
in Interviste
Colombini (Cisl), l’Italia è pronta per la svolta green, ma va governata saggiamente e senza imposizioni

La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, parlando dell’European Green New Deal, lo ha paragonato allo sbarco dell’uomo sulla Luna. Si tratta certamente di una svolta epocale, che impatterà profondamente sia sulla vita delle persone che sull’intero sistema produttivo. Anche l’Italia si sta muovendo, con misure che non sempre hanno riscosso un pieno consenso. Sul tema Il diario del lavoro ha intervistato Angelo Colombini, segretario confederale della Cisl.

 

Colombini, si parla molto di svolta green nell’economia. L’Italia è pronta per questa sfida?

Certamente. Abbiamo eccellenze, sia tecnologiche che produttive, capaci di sostenere la svolta green. Naturalmente serve una fase di transizione da una produzione centrata sul carbone, verso un modello basato sulle energie rinnovabili. Per farlo dobbiamo puntare sul gas. In quest’ottica diventano strategici il Tap e il giacimento Zohr di Eni. Inoltre, il Tap andrebbe a rivestire un ruolo centrale anche nella vicenda dell’Ilva. Un approvvigionamento continuo di gas è indispensabile per avviare la riconversione green nella produzione dell’acciaio.

Si tratta di una questione non solo economica ma anche geopolitica?

Assolutamente sì. Dobbiamo essere consapevoli che, dal punto di vista energetico, ben oltre l’80% del nostro fabbisogno lo soddisfiamo solo con le importazioni. E questo può renderci sicuramente più vulnerabili alle oscillazioni dei prezzi delle materie prime, e anche alle tensioni commerciali.

In che modo andrebbe gestita la transizione verde?

Prima di tutto non si possono imporre, dall’oggi al domani, cambiamenti drastici. La transizione va accompagnata, politicamente, culturalmente e anche economicamente, con una sinergia tra pubblico e privato. L’European Green New Deal è stato osteggiato dai Paesi dell’Europa Orientale, e non solo, perché hanno una produzione incentrata esclusivamente sul carbone. Si tratta di un modello economico certamente inquinante, ma non si può pensare che un intero sistema produttivo si riconverta, in breve tempo, sulle rinnovabili, senza un periodo di transizione, di fatto la Polonia si è riservata di firmare l’accordo nella seconda metà del 2020.

A proposito del Green New Deal promosso dalla Commissione europea, come lo valuta?

Si tratta certamente di un piano importante e ambizioso, che richiederà risorse ingenti. È difficile dire ora quale sarà la sua portata e se riuscirà a centrare gli obiettivi che si sono prefissati. Certamente non mancano gli ostacoli, però è evidente e condivisa la necessità di accelerare.

Di che natura in particolare?

Questo percorso richiede un ripensamento dell’intero sistema produttivo. Ci sono poi ostacoli di natura politica, la conferenza di Madrid lo ha dimostrato. È giusto che l’Europa si impegni, ma non può essere da sola. Senza il coinvolgimento di Stati Uniti, Cina, Russia, India e Brasile è difficile pensare che si possa ottenere qualche risultato.

Il governo, nella legge di bilancio, ha puntato molto sull’economia verde, anche attraverso misure che hanno suscitato qualche malumore. Qual è la sua idea?

L’attenzione da parte del governo è senza dubbio un fatto positivo. Sono state stanziate delle risorse, che dovranno essere aumentate. Ci sono poi alcune misure che non ci sono piaciute, come la plastic tax o l’ecobonus per le auto elettriche, non tanto nei contenuti quanto nelle modalità.

Perché?

Perché, come detto, non ha senso imporre in modo imperativo una linea, senza contemplare una fase di passaggio. Prendiamo l’esempio dell’auto elettrica. Ancora non ci sono imprese italiane che la producono. La fusione tra Fca e Psa permetterà alla prima di dare avvio alla produzione di motori elettrici. Dunque, l’ecobonus è una misura giusta, ma sbagliata nelle tempistiche e nelle modalità. In questo modo, infatti, si offre un vantaggio alle imprese estere. Inoltre, l’auto elettrica ha un costo che non sempre i lavoratori possono permettersi, e non consente, ancora, di coprire lunghe distanze. C’è dunque anche una difficoltà strettamente pratica.

Altro nodo è quello della plastic tax.

La nostra critica alla plastic tax deriva dal fatto che si tratta di una misura priva di una credibile strategia di politica industriale nel lungo periodo. Anche qui dobbiamo accompagnare le imprese nella transizione, rafforzando il riciclo della plastica. Ad oggi ricicliamo solo il 50% della plastica prodotta, una percentuale che deve essere migliorata.

L’economia verde, molto spesso, va di pari passo con l’economia circolare. A che punto siamo?

Si tratta di un pilastro da rafforzare ulteriormente. Per farlo è importate fare sistema. Se non vogliamo che l’economia circolare sia un semplice slogan, servono investimenti e un ripensamento di tutto il ciclo produttivo. I rifiuti da problema devono trasformarsi in risorsa. Affinché questo avvenga non basta incrementare la raccolta differenziata, ma disporre anche di impianti adeguati al riciclo/riutilizzo.  

Per coniugare lavoro e ambiente sindacati e imprese come devono operare?

Insieme, con il supporto indispensabile del pubblico. Deve essere la politica a dettare le linee della politica industriale per i prossimi decenni. Siamo alle soglie di grandi cambiamenti che avranno un impatto significativo sul mondo del lavoro.

In che modo?

Prima di tutto sull’occupazione. Se una centrale a carbone occupa 100 lavoratori, in una a gas scendiamo a 30-40. Occorre dunque dare seguito a percorsi di formazione e riqualificazione di quel personale che deve essere inserito in un nuovo processo produttivo, e accompagnare alla pensione quelle persone giunte al termine della loro vita lavorativa. Ma ci sarà un impatto anche per le aziende, che dovranno investire in nuove tecnologie e processi produttivi. Molti settori saranno interessati, e non solo l’industria. Questo vuol dire anche potenziare e valorizzare alcune vecchie e nuove filiere produttive come quelle del Biogas, dell’Idrogeno, dell’Idroelettrico, della Geotermia e dell’Efficienza Energetica.

Su quali strumenti si deve puntare?

La formazione è centrale e lo sarà sempre di più per i lavori del futuro. Il legame tra scuola e mondo del lavoro va dunque irrobustito, puntando su quei percorsi in grado di formare le persone sulle competenze del futuro. Altro strumento da mettere in campo dovrà essere un rinnovato sistema di politiche attive per il lavoro.

Tommaso Nutarelli

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Tommaso Nutarelli

Tommaso Nutarelli

Giornalista de Il diario del lavoro.

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