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Home - Rubriche - Giurisprudenza del lavoro - Corte Costituzionale: tutela forte contro il licenziamento per motivo manifestamente infondato

Corte Costituzionale: tutela forte contro il licenziamento per motivo manifestamente infondato

di Biagio Cartillone
8 Aprile 2021
in Giurisprudenza del lavoro
Sciopero giudici di pace, l’adesione del 90% fa slittare 200.000 processi

Il Tribunale del Lavoro di Ravenna ha dubitato della legittimità costituzionale dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori nella parte in cui prevede che il giudice, quando accerta la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, possa-e non debba-disporre la reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore illegittimamente licenziato. La norma per il Tribunale di Ravenna appare irragionevole e discriminatoria. Con questa previsione la legge introduce un’arbitraria disparità di trattamento tra situazioni identiche nei loro elementi costitutivi. Non si possono introdurre trattamenti differenziati ingiustificati tra situazioni identiche. Non si può trattare in modo diverso il licenziamento per giustificato motivo oggettivo manifestamente ingiustificato dal licenziamento per giusta causa privo dei fatti di rilevanza disciplinare. Siamo in presenza di due licenziamenti ugualmente infondati ma con conseguenze diverse: nel licenziamento per giusta causa per motivi disciplinari insussistenti il giudice deve disporre la reintegrazione nel posto di lavoro, mentre nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo manifestamente infondato, può decidere discrezionalmente di non disporre la reintegrazione e riconoscere la sola indennità risarcitoria.

La Corte Costituzionale ha accolto i profili di doglianza espressi nell’ordinanza del Tribunale di Ravenna. La norma contestata, così come formulata, per la Corte Costituzionale viola il principio di eguaglianza: “il carattere meramente facoltativo della reintegrazione, rivela, innanzitutto, una disarmonia interna al peculiare sistema delineato dalla legge n. 92 del 2012”. Continua la Corte Costituzionale affermando che a tutto questo “si associa l’irragionevolezza intrinseca del criterio distintivo adottato, che conduce a ulteriori e ingiustificate disparità di trattamento”. Per la Corte Costituzionale attribuire al giudice il potere discrezionale di disporre la reintegrazione o in alternativa riconoscere la sola indennità risarcitoria, anche nel caso in cui il lavoratore sia stato licenziato con una motivazione del tutto insussistente, fa sì che ne discenda “ un criterio giurisprudenziale, che per un verso, è indeterminato e improprio, e, per l’ altro verso, privo di ogni attinenza con il disvalore del licenziamento.” La Corte Costituzionale continua nella sua motivazione affermando che il criterio della norma di legge censurata “non si fonda su elementi oggettivi o razionalmente giustificabili e amplifica le incertezze del sistema”. Non si può attribuire al giudice la scelta tra la tutela reintegratoria e la tutela indennitaria perché in questo modo si contraddice la finalità di un’equa ridistribuzione delle tutele dell’impiego. Il giudice deve avere parametri precisi a cui ricorrere per il corretto esercizio del suo potere discrezionale. Il giudice dal potere facoltativo di poter disporre la reintegrazione nel posto di lavoro, passa al dovere di disporla.

La norma è stata bollata dalla Corte Costituzionale anche come “irragionevole”.

La Corte Costituzionale ha concluso affermando “… L’illegittimità costituzionale dell’art. 18, settimo comma, secondo periodo, della legge 20 maggio 1970, n. 300. Nella parte in cui prevede che il giudice, quando accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, «può altresì applicare» – invece che «applica altresì» – la disciplina di cui al medesimo art. 18, quarto comma.” La decisione della Corte Costituzionale si applica a tutte le controversie giudiziarie che non state ancora decise con sentenza passata in giudicato.

Questa sentenza della Corte Costituzionale del 2 Aprile 2021  interviene dopo ben 9 anni dall’entrata in vigore della legge Fornero che l’ha introdotta nel 2012.

Questa sentenza della Corte Costituzionale ovviamente produce i suoi effetti per i lavoratori assunti in epoca antecedente all’entrata in vigore del Jobs act (7 marzo 2015). Per i lavoratori assunti in epoca successiva, si applicano le sole tutele indennitarie anche se il licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per motivi economici si dovesse presentare come manifestamente insussistente nelle sue apparenti ragioni giustificatrici.

Biagio Cartillone

Biagio Cartillone

Biagio Cartillone

Avvocato, Giuslavorista del Foro di Milano - www.biagiocartillone.it

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