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Home - Approfondimenti - La nota - Federmeccanica, la ripresa c’è, mancano lavoratori e materie prime

Federmeccanica, la ripresa c’è, mancano lavoratori e materie prime

di Fernando Liuzzi
10 Giugno 2021
in La nota
Padoan, 3 mln disoccupati? Valutare non solo dati ma qualità lavoro

Tre notizie più una pre-notizia sono venute ieri dalla presentazione dell’indagine congiunturale sull’industria metalmeccanica n. 158. La pre-notizia, se così ci consentite di chiamarla, è che Federmeccanica, l’associazione delle imprese del settore aderenti a Confindustria, è tornata a offrire i dati della sua indagine trimestrale con una conferenza stampa tenuta “in presenza”. Giornalisti, microfoni e telecamere sono tornati quindi a fare il loro ingresso nell’albergo romano, sito nei pressi della Camera dei Deputati, dove, per tradizione ormai pluriennale, la stessa Federmeccanica organizza i suoi appuntamenti con la stampa. Anche se alcuni cronisti hanno preferito seguire la conferenza da remoto, il fatto stesso che sia stato possibile tenere l’incontro dal vivo è sicuramente un sintomo di una situazione della pandemia da Covid 19 che, grazie all’ormai consistente diffusione dei vaccini, si sta nettamente alleggerendo.

Allo stesso modo, e, almeno in parte, per lo stesso motivo, quello che sta migliorando, e questa è la notizia numero 1, è l’andamento della produzione metalmeccanica nel nostro Paese. Qui occorre ricordare che, nell’insieme del 2020, era stato registrato, nel settore, un vero e proprio crollo produttivo, pari a un -13,5%. Crollo verificatosi principalmente a partire dal mese di marzo e proseguito poi  fino a giugno, mentre a partire dall’estate si era delineata una certa ripresa.

Ebbene, nel primo trimestre del 2021 si è registrata una crescita del 15,6% in termini tendenziali, ovvero rispetto all’analogo periodo del 2020. Come tutti ricorderanno, il primo trimestre dell’anno scorso era stato segnato, infatti, dall’inizio del lockdown, allora molto forte e generalizzato. Ma va anche detto che, nello stesso primo trimestre 2021, si registra anche una crescita, sia pure molto più modesta (+0,8%), in termini congiunturali, ovvero rispetto all’ultimo trimestre del 2020. Il che vuol dire che la risalita produttiva, avviatasi nella seconda metà dell’anno scorso, è proseguita anche nei primi tre mesi dell’anno in corso.

I rappresentanti di Federmeccanica – ovvero il Vice Presidente Fabio Astori, il Direttore Generale Stefano Franchi e il Direttore dell’Ufficio Studi Angelo Megaro – hanno sottolineato che il miglioramento produttivo “ha interessato tutte le attività dell’aggregato metalmeccanico”; attività che, sempre in termini tendenziali, hanno mostrato aumenti a doppia cifra. Fra questi aumenti, si sono segnalati per il fatto di essere superiori alla media di settore quelli relativi a macchine e apparecchi elettrici (+24,3%), autoveicoli e rimorchi (+23,0%), attività metallurgiche (+16,4%) e fabbricazione di prodotti in metallo (+16,1%).

Da segnalare, poi, che la crescita della produzione metalmeccanica registrata in Italia nel primo trimestre 2021 è stata più forte, sempre in termini tendenziali, sia di quella registrata nella media dei 27 paesi della Unione Europea (+5,1%), sia di quella relativa ai principali Paesi: Germania, Francia e Spagna. Paesi rispetto ai quali è superiore anche la già citata crescita congiunturale della nostra industria metalmeccanica.

E’ poi interessante notare che questo settore industriale, che produce l’8% del nostro Pil e copre il 50% delle nostre esportazioni, ha avuto, sempre nel primo trimestre del corrente anno, una crescita tendenziale doppia rispetto a quella dell’insieme della nostra industria: 15,6%, come detto, contro 8,4%.

Fin qui, dunque, le buone notizie. O, per dir meglio, la prima buona notizia, quella di una netta ripresa produttiva, con le sue varie sfaccettature. Ma, come si dice, non c’è rosa senza spine. E la prima spina che incontriamo, in questo caso, è quella dell’occupazione. Anche se per motivi diversi da quelli che ci si sarebbero aspettati.

Come è noto, infatti, uno dei temi su cui si è incentrato, in queste settimane, il dibattito politico è quello del blocco dei licenziamenti. O, per dir meglio, di quando e come cominciare ad allentare tale blocco. Ebbene, così come un numero crescente delle nostre imprese metalmeccaniche (siamo ormai al 34%) prevede una crescita delle proprie prospettive produttive nel secondo trimestre del corrente anno, e così come si stanno già arricchendo i portafogli ordini di parecchie imprese, allo stesso modo il numero delle imprese che presume di assumere nuovo personale eccede dell’8% il numero di quelle che pensano di doverlo ridurre.

In altre parole, Federmeccanica non offre, né intende offrire, argomenti a chi paventa che un eventuale sblocco dei licenziamenti si tradurrebbe inevitabilmente in una brutale crescita della disoccupazione. Ma c’è un ma. E questo ma è rappresentato dal ritorno in termini significativi di un problema già noto alle nostre imprese industriali: quello del cosiddetto mismatch, ovvero mancata corrispondenza, fra domanda e offerta di lavoro.

Per citare le parole di Stefano Franchi, “più della metà (56%) delle imprese intervistate ha dichiarato di incontrare difficoltà nel reperire i profili professionali necessari per lo svolgimento dell’attività aziendale”. E questo, ha detto ancora Franchi, è un dato “addirittura peggiore di quello già estremamente negativo rilevato due anni fa”, ovvero, aggiungiamo noi, prima dello scoppio della pandemia da corona virus.

Allora, il 47% delle aziende denunciava questo problema. Adesso la situazione è peggiorata e presenta elementi di complessità. Infatti, ha spiegato Franchi, è difficile reperire sia le competenze tecniche definibili come “di base/tradizionali” (lo dice il 42% delle imprese intervistate), sia quelle “avanzate/digitali (24%)”, che quelle “trasversali” (31%).

Per spezzare il “circolo vizioso” che “non ci possiamo permettere”, ovvero quello di questa mancata corrispondenza fra competenze richieste dalle imprese e quelle possedute da chi cerca lavoro, secondo Franchi occorre “attivare un circuito virtuoso con investimenti ben mirati nell’istruzione e con politiche attive efficaci”. E ha ricordato che due anni fa, e cioè, aggiungiamo noi, all’epoca del  primo Governo Conte, quello basato sull’alleanza fra la Lega di Salvini e il Movimento 5 Stelle, Federmeccanica lanciò una petizione di protesta quando furono ridotte le dimensioni della cosiddetta alternanza scuola-lavoro; e ciò perché le attuali difficoltà mostrano che occorre promuovere un avvicinamento tra la scuola e i suoi modelli formativi, da una parte, e la vita concreta delle imprese, dall’altra.

Mentre Astori, a chi gli ha fatto osservare che un’offerta di salari più alti aiuterebbe forse le imprese   a reperire almeno parte delle professionalità ricercate, ha risposto riproponendo la vexata quaestio del cosiddetto cuneo fiscale, ovvero la questione del peso dell’imposizione fiscale sulle retribuzioni  lorde. Retribuzioni che, proprio a causa del cuneo, da un lato rischiano di essere sin troppo onerose per le casse delle imprese, mentre, dall’altro, sono troppo dimagrite quando raggiungono le buste paga dei lavoratori dipendenti.

Riassumendo: secondo Federmeccanica, il vero rischio per il sistema-paese non sarebbe quello di un’imminente ondata di licenziamenti, ma quello di un’offerta formativa che resta strutturalmente incapace di venire incontro all’esigenza, avvertita dalle imprese, di poter disporre di professionalità adeguate e aggiornate. E questa era la seconda notizia.

Veniamo, adesso, alla terza notizia. Una notizia che era stata adombrata l’11 marzo scorso, proprio da Fabio Astori, in sede di presentazione della precedente indagine trimestrale, la n. 157. In tale occasione, il Vice Presidente di Federmeccanica, partendo dalla sua esperienza di imprenditore, aveva denunciato l’incipiente fenomeno di un rarefarsi di materie prime e prodotti base, con conseguenti tensioni sui prezzi. Fenomeno che ha poi assunto proporzioni via, via più rilevanti. “Dai dati raccolti per l’indagine n. 158 – ha infatti detto ieri Astori – risulta che la gran parte delle imprese partecipanti all’indagine (84%) ha risentito del rincaro dei prezzi dei metalli e dei semilavorati in metallo utilizzati nei processi produttivi”. Conseguenze? “L’incremento dei costi di produzione, nel 60% dei casi, determinerà sia un aumento dei prezzi di vendita, sia una riduzione dei margini di profitto”. Sempre secondo Astori, “il 54% delle imprese ha, inoltre, dichiarato di avere difficoltà di approvvigionamento dei metalli e dei semilavorati in metallo a causa della loro scarsità sul mercato o, in alcuni casi, anche per la bassa qualità dell’offerta”. Ma non basta. Perché il 14% delle imprese partecipanti all’indagine ha addirittura dichiarato che “la difficile situazione in atto potrà determinare un’interruzione dell’attività produttiva”.

Si tratta di un fenomeno allarmante e complesso, la cui gravità, aggiungiamo noi, non sembra sia stata ancora sufficientemente percepita né dall’insieme dei mezzi di informazione, né dal dibattito politico. Quello che si può dire, per l’intanto, è che ciò che produce, contemporaneamente, carenza di materie prime e semilavorati e crescita dei prezzi non è un’unica causa, ma un insieme di cause che andranno meglio approfondite, nelle loro singolarità, ma che appaiono comunque derivanti dall’intreccio fra le conseguenze di lockdown prolungati e differenziati e i diversi gradi di accelerazione delle ripartenze in corso nei vari Paesi del nostro e di altri continenti.

Infine, tre osservazioni. La prima: la pandemia appare in via di superamento, almeno per quanto riguarda Europa, Nord America e Cina. Ma il superamento dell’emergenza pandemica non significa che il mondo dell’industria metalmeccanica possa tornare tranquillamente alla sua situazione precedente. Al contrario, si aprono problemi nuovi e, almeno in parte, inattesi.

La seconda: nonostante il carattere allarmante dei problemi relativi alla carenza di materie prime e prodotti base e al loro rincaro, almeno per il momento il sentiment delle imprese sembra restare positivo. La domanda è tornata, e non solo nella sua componente interna, ma anche in quella estera. Il che è decisivo per un’industria come la nostra che, come ha ricordato Angelo Megaro, è qualificabile come export oriented.

Terza osservazione. Sul clima positivo che traspare da quanto detto ieri da Federmeccanica, devono aver influito due fattori non strettamente economici ma, piuttosto, relativi alle relazioni industriali: il rinnovo del contratto dei metalmeccanici, pattuito nel febbraio scorso, e, prima di esso, i protocolli sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, sanciti con i sindacati da molte imprese metalmeccaniche già nella tarda primavera del 2020. Protocolli che hanno avuto un ruolo decisivo non solo per la ripresa delle attività produttive, ma anche per la creazione di un clima cooperativo nei luoghi di lavoro.

@Fernando_Liuzzi

Fernando Liuzzi

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