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Home - Rubriche - Giurisprudenza del lavoro - Assegnazione sede di lavoro, trasferta e trasferimento non sono la stessa cosa

Assegnazione sede di lavoro, trasferta e trasferimento non sono la stessa cosa

di Biagio Cartillone
10 Dicembre 2021
in Giurisprudenza del lavoro
In tempi di spostamento da e per il luogo di lavoro, se eterodiretti dall’azienda rientrano nell’orario di lavoro

Un lavoratore ha convenuto avanti il Tribunale la sua datrice di lavoro rivendicando il diritto di essere assegnato alla sede di Fiuggi e non di Velletri. Ha chiesto al giudice così che fosse ordinato alla società di trasferirlo nella sede giusta con l’accertamento del suo diritto a percepire, per tutti gli anni in cui è stato adibito alla sede sbagliata, l’indennità di trasferta prevista dal contratto collettivo.

Il Tribunale di Velletri ha accertato il diritto del lavoratore di essere adibito alla sede di Velletri fin dalla data della sua assunzione rigettando, però, le altre domande risarcitorie di contenuto economico. La Corte di Appello di Roma ha, invece, accolto l’impugnazione del lavoratore e gli ha attribuito il diritto di percepire l’indennità di trasferta per tutti gli anni in cui è stato adibito illegittimamente a Velletri, per compensarlo del disagio che gli è derivato dalla temporanea assegnazione ad una sede diversa rispetto a quella spettante.

L’azienda ha proposto ricorso per Cassazione sostenendo l’inesistenza del diritto di percepire l’indennità di trasferta perché nella fattispecie non vi era mai stato un trasferimento e conseguentemente non poteva trovare ingresso l’applicazione in via analogica dell’istituto della trasferta. Il danno del lavoratore doveva essere semmai liquidato con i criteri ordinari del Codice civile nell’osservanza dell’art. 1218 e 1223 del codice civile. Era onere del lavoratore provare di aver subito i danni e in che misura.

La Cassazione, pronunciandosi sul ricorso della datrice di lavoro, ha dato ragione all’azienda ricostruendo in modo puntuale e minuzioso la disciplina dell’istituto della trasferta e del trasferimento.

Per la Cassazione “L’istituto della trasferta si caratterizza per il fatto che la prestazione lavorativa deve essere effettuata, per un limitato periodo di tempo e nell’interesse del datore, al di fuori della ordinaria sede lavorativa. Il compenso è volto a ristorare dei disagi derivanti dall’espletamento del lavoro in luogo diverso da quello previsto. Per aversi trasferta, dunque, è necessario che al lavoratore sia richiesto di svolgere la sua attività lavorativa in un luogo diverso da quello abituale; che il mutamento del luogo di lavoro sia temporaneo; che la prestazione lavorativa sia effettuata in esecuzione di un ordine di servizio del datore di lavoro restando irrilevante il consenso del lavoratore. In sostanza la trasferta è una situazione temporanea che rende tuttavia di per sé più gravosa la prestazione e comporta per il lavoratore la necessità di sopportare delle spese (per i pasti, il pernottamento, i mezzi di trasporto ed altro) nell’interesse del datore di lavoro. La trasferta si distingue dal trasferimento perché è indefettibilmente caratterizzata dalla temporaneità dell’assegnazione del lavoratore ad una sede diversa rispetto a quella abituale mentre il trasferimento implica un mutamento definitivo e non temporaneo del luogo di lavoro. L’indennità di trasferta, prevista di regola dalla disciplina collettiva, è l’emolumento che è corrisposto al lavoratore che, per ordine ricevuto per ragioni di servizio debitamente riconosciute, deve recarsi fuori della residenza assegnatagli. È il compenso per il disagio derivante dall’espletamento del lavoro in luogo diverso da quello previsto. Deve sussistere una scissione tra sede lavorativa e luogo di svolgimento del lavoro”.

La Cassazione ha così concluso affermando che nel caso in esame era da escludere l’esistenza della trasferta perché non sussistevano i requisiti della temporaneità e della diversità tra sede di servizio e sede in cui si è inviati a prestare l’attività. Il lavoratore è stato erroneamente assegnato fin dall’origine del rapporto alla sede di Fiuggi e non di Velletri come aveva diritto che fosse. Non sussistendo la trasferta non può riconoscersi lo specifico trattamento della trasferta previsto dal contratto collettivo, nemmeno per analogia.

Il lavoratore, per la mancata assegnazione della sede di lavoro corretta, ha il diritto al risarcimento dei danni subiti ma la liquidazione di questo danno deve avvenire secondo gli ordinari criteri risarcitori previsi dal Codice civile; la liquidazione può essere disposta dal giudice anche in via equitativa. Non sono applicabili in questo caso i criteri forfettari previsti dal contratto collettivo per la trasferta, che costituisce tutt’altra fattispecie. Il lavoratore deve dare idonea e rigorosa prova dei danni realmente subiti in conseguenza della errata e ingiusta assegnazione della sede di lavoro, deducendoli in modo specifico e dandone prova.

La Cassazione ha così rinviato gli atti alla Corte di Appello di Roma perché riveda la controversia alla luce dei principi sopra riportati, “prescindendo dall’istituto della trasferta e della relativa indennità” invocati e applicati a sproposito.

Ordinanza Cassazione sezione lavoro n.. 38340, anno 2021, data pubblicazione: 03/12/2021.

Biagio Cartillone

Biagio Cartillone

Biagio Cartillone

Avvocato, Giuslavorista del Foro di Milano - www.biagiocartillone.it

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