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Home - Rubriche - Giurisprudenza del lavoro - Si appesantisce la posizione delle aziende che danno in appalto i loro servizi

Si appesantisce la posizione delle aziende che danno in appalto i loro servizi

di Biagio Cartillone
18 Ottobre 2024
in Giurisprudenza del lavoro
Al via sciopero record di un mese per i giudici di pace

Alcuni lavoratori promuovono una causa collettiva contro l’impresa che aveva appaltato i suoi servizi di logistica, chiedendo la sua condanna al pagamento di differenze retributive per una pluralità di istituti che sono stati dettagliatamente indicati nel loro ricorso avanti il Tribunale competente.

L’impresa appaltante, sicura di sé, si è costituita in giudizio sostenendo la decadenza dei lavoratori dall’azione promossa per essere ormai decorsi più di due anni dalla cessazione dell’appalto presso cui i lavoratori avevano prestato la loro attività.

La difesa dei lavoratori, replicando a quella dell’azienda, ha eccepito che il termine dei due anni previsti dalla legge Biagi del 2003, non doveva più essere inteso nel senso che entro questi due anni dovesse essere proposta l’azione giudiziaria avanti il competente Tribunale ma più semplicemente doveva essere inteso nel senso che, entro questo termine dei due anni, i lavoratori interessati dovevano semplicemente comunicare all’impresa appaltante le loro rivendicazioni retributive. Avvenuta la messa in mora entro i due anni dalla cessazione dell’appalto, l’azione giudiziaria avanti al Tribunale poteva essere promossa in qualunque tempo, con gli unici limiti della normale prescrizione quinquennale che poteva essere anche interrotta. Il Tribunale di Milano ha dato ragione alla tesi giuridica dei lavoratori richiamando sul punto l’indirizzo della Corte di Cassazione. L’obbligo solidale dell’impresa appaltante nel 2017 è stato modificato dal legislatore perché è stato eliminato il precedente inciso relativo all’azione giudiziaria da proporsi perentoriamente entro due anni dalla cessazione dell’appalto. Dalla modifica intervenuta nel 2017, pertanto, l’impresa appaltante potrà essere chiamata a rispondere dalle maestranze delle obbligazioni retributive non adempiute dall’impresa appaltatrice, senza più dover considerare il termine capestro dell’azione giudiziaria da proporsi perentoriamente entro due anni dalla cessazione dell’appalto. Entro quel termine dei due anni, che ancora permane, occorre semplicemente mettere in mora l’impresa appaltante enunciando e specificando le rivendicazioni. L’azione giudiziaria, messo in mora l’appaltante, potrà essere esercitata con i tempi normali della prescrizione quinquennale.

Il Tribunale di Milano ha dato ragione alla tesi difensiva dei lavoratori. Il Tribunale, richiamando le pronunce della Cassazione, ha così affermato che “risulta maggiormente aderente al testo della norma ratione temporis vigente giungere alla conclusione che la decadenza in questione, nel silenzio del legislatore, possa essere impedita non solo dal deposito del ricorso giudiziario, ma anche dal deposito di un atto scritto, anche stragiudiziale, inviato al committente, con il quale il lavoratore chieda a quest’ultimo il pagamento di crediti di lavoro maturati nei confronti del datore di lavoro appaltatore in esecuzione dell’appalto.”

Questa soluzione è idonea a salvaguardare anche il committente che potrà venire a conoscenza in modo tempestivo delle rivendicazioni dei lavoratori nei confronti del datore di lavoro appaltatore, “affinché a sua volta possa tutelare i propri interessi, per esempio sospendendo eventuali pagamenti in favore dell’appaltatore, non liberando cauzioni imposte all’appaltatore, etc”. Ai lavoratori per impedire ogni decadenza basta un semplice mezzo di diffida o atto stragiudiziale; non è necessario che debbano esercitare anche l’azione giudiziaria avanti il Tribunale. Ed ancora, “la norma intende avere riguardo al periodo di operatività della responsabilità del committente e non pone alcuna prescrizione circa il modo attraverso il quale far valere il corrispondente diritto da parte del lavoratore, diritto che, in relazione alla individuata connotazione decadenziale del termine biennale, deve ritenersi non più sussistente qualora non venga esercitato entro il previsto lasso temporale.” (Cassazione numero 30.602/2021). La semplice e sola diffida, inviata dal lavoratore alla committente, prima della scadenza del biennio dalla cessazione dell’appalto, impedisce ogni decadenza dall’azione. Tribunale di Milano sezione lavoro sentenza numero 3143 pubblicata il 19 giugno 2024.

Le imprese appaltanti, con la modifica al testo legislativo del 2017 e l’indirizzo giurisprudenziale che si è consolidato, si possono trovare nella spiacevole posizione di dover rispondere economicamente, in via solidale, anche di obbligazioni retributive risalenti indietro negli anni, con una conseguente compromissione delle loro possibilità difensive.

Dal nuovo testo giuridico e dall’interpretazione data dai giudici, appare evidente che il quadro normativo introdotto nel 2017 e l’indirizzo giurisprudenziale che si è creato sulla norma ha fatto sorgere una condizione di maggiori garanzie per i lavoratori impiegati negli appalti ma nel contempo ha creato gravi incertezze per le aziende appaltanti che non potranno mai avere sicurezza assoluta sui loro bilanci, a meno che non abbiano ricevuto, nei due anni dalla cessazione dell’appalto, la fatale messa in mora.

Biagio Cartillone

Biagio Cartillone

Biagio Cartillone

Avvocato, Giuslavorista del Foro di Milano - www.biagiocartillone.it

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