C’è una minaccia di commissariamento, via procedura d’infrazione, dell’Italia da parte della Ue, ma questo non sta facendo posare, anzi sta alzando ancora di più il polverone che circonda la politica italiana e la manovra economica 2020. L’Europa ci chiede di tirare la cinghia, Roma, invece, risponde: taglieremo le tasse. Quali? Faremo la flat tax sui redditi delle famiglie, tuona Salvini (costo 15 miliardi di euro nel primo anno). Taglieremo il cuneo fiscale sulle buste paga, ribatte Di Maio (costo almeno 20 miliardi). L’una o l’altra? O tutt’e due? E poi c’è l’Iva: non la aumenteremo, dicono questa volta all’unisono Salvini e Di Maio (costo 23 miliardi solo nel 2020). Dunque? Si fanno tutt’e tre, per una manovra da 60 miliardi di euro, con il disavanzo al 6 per cento del Pil, il doppio del tetto di Maastricht?
Da qui al 9 luglio, quando si saprà come procede lo scontro con la Ue, è assai probabile che il polverone, pur già assai fitto, diventi ancora più denso. Nel tentativo di orizzontarci – fra fake news, facili illusioni, teorie strampalate vendute come buone, disinvolta propaganda – proviamo a fare un po’ di luce nel polverone.
LE EMERGENZE CHE NON CI SONO. Non esiste una emergenza debiti statali/aziende creditrici sul baratro, come sbandierano i leghisti che si sono inventati la paramoneta dei mini Bot. I debiti si possono sanare con un semplice sistema di crediti a sconto delle tasse, senza mettere in moto le presse della Zecca. E, comunque, i debiti dello Stato verso le aziende sono drasticamente diminuiti rispetto agli anni scorsi e non sono troppo lontani dalle medie europee.
Analogamente, è improbabile che ci sia un tesoro di contanti, nascosto nelle cassette di sicurezza. Se qualcuno ha rastrellato contanti, è probabile che li abbia già portati all’estero. In Italia, sarebbe difficile spenderli: basta guardare cosa è successo al sottosegretario leghista Siri, quando ha comprato casa senza il consueto mutuo. Se avesse pagato con un pacco di banconote, il notaio avrebbe chiamato direttamente i carabinieri, gridando al riciclaggio. Che è quello che avverrebbe alla luce del sole, se Salvini dovesse far passare anche questo condono.
GLI SCHIAFFI AI MERCATI. L’esperienza dello spread che ci prende alla gola, patita nello scorso autunno, non ha insegnato nulla, soprattutto alle rissose truppe parlamentari della maggioranza. Ecco, dunque, fiorire proposte come i mini Bot, l’assalto all’oro della Banca d’Italia, ora il progetto di riportare nelle mani di governo e Parlamento (ovvero di Lega e 5Stelle) le nomine del vertice di Bankitalia. Tutta roba che rischia di far esplodere il “rischio Italia” sui mercati.
IL MITO DELL’AUSTERITA’. Davvero, come dicono sia i leghisti che i grillini, l’Europa ci sta soffocando con la politica di austerità? I numeri dicono il contrario. La politica monetaria della Bce non è mai stata così accomodante, i tassi d’interesse (al netto dei vari Borghi e Bagnai che soffiano sullo spread con i miniBot o il tentativo di mettere la museruola a Via Nazionale) sono a minimi record, la liquidità è abbondante. Allora, è la camicia di forza sul bilancio pubblico? Ma quale? Il parametro chiave per capire se si spende troppo o troppo poco, se si incassano troppe o poche tasse, è l’avanzo primario, cioè il saldo fra entrate e uscite, senza considerare gli interessi sul debito pubblico. Negli anni di Ciampi era arrivato al 5 per cento del Pil, Berlusconi e Tremonti riuscirono ad azzerarlo, da Monti in poi è risalito fino all’1,6 per cento del Pil del 2018. Il governo in carica ha già provveduto a tagliarlo all’1,2 per cento. In teoria, l’anno prossimo dovrebbe risalire all’1,6 per cento, ma con l’aumento dell’Iva, a cui nessuno crede. In altre parole, i cordoni della borsa, alla faccia dell’austerità, sono stati già ben allargati.
LA BATTAGLIA SULLE REGOLE. Il governo dei gialloverdi, come gli economisti progressisti prima di loro, contesta molte delle regole di bilancio che piacciono a Bruxelles. La più discutibile è quella del disavanzo strutturale, una costruzione puramente statistica e probabilistica, che dà risultati molto diversi, a seconda di chi la fa. Si tratta, infatti, di calcolare l’output gap, ovvero il Pil che l’Italia potrebbe produrre se l’economia potesse girare a pieno potenziale (ad esempio, con il massimo di occupazione che non fa salire l’inflazione). Se l’output gap è ampio, significa che l’economia è temporaneamente in recessione e il disavanzo sarà riassorbito quando il ciclo tornerà positivo. Se il gap è piccolo, significa che non è perché l’economia va male che si spende troppo e il disavanzo non sarà riassorbito quando le cose andranno meglio. E’, cioè, strutturale e va ridotto.
Ma a Bruxelles sono consapevoli della fragilità del parametro e, in realtà, lo agitano soprattutto come spauracchio. Lo dimostra la flessibilità sistematicamente concessa ai conti italiani. Il punto, con l’Europa, non è l’output gap o il disavanzo strutturale. E’ che il disavanzo puro e semplice aumenta, anno dopo anno, e, soprattutto, che aumenta il debito.
IL TRUCCO DELLA CRESCITA. Come ridurre il debito pubblico? Salvini sostiene che la chiave è rilanciare la crescita: un Pil più alto consentirà automaticamente di ridurre il rapporto debito/Pil. Salvini non è il primo a dirlo. Lo dicevano già gli economisti reaganiani negli anni ’80, per giustificare i tagli delle tasse. Tuttavia, l’esperienza storica non li appoggia. Non risulta che sia mai avvenuto che la spinta alla crescita, determinata da un taglio delle tasse, abbia prodotto un aumento di entrate fiscali sufficienti a sanare il buco nel bilancio, aperto dal taglio stesso delle tasse.
Un’analisi appena compiuta dall’Osservatorio dei conti pubblici di Carlo Cottarelli arriva alla stessa conclusione per quanto riguarda il debito pubblico. Esaminando i casi di 30 paesi che hanno ridotto il rapporto debito/Pil nel dopoguerra, non è mai avvenuto che un taglio di tasse (tipo la flat tax) o un aumento di spesa (tipo quota 100 sulle pensioni) abbiano determinato una crescita sufficiente ad abbassare quel rapporto che ci condanna in Europa.
L’Italia ha un disperato bisogno di crescere. Un taglio delle tasse (meglio sul cuneo fiscale, per favorire gli investimenti, piuttosto che sul reddito delle famiglie) può aiutare, ma se va a pesare sul disavanzo, quindi sullo spread, quindi sugli interessi, quindi sugli investimenti, equivale a spararsi ad un piede. In tema di bilancio, i miracoli, tipo la moltiplicazione dei pani e dei pesci, sono rari.
Maurizio Ricci