Due giorni di dibattito all’interno del gruppo dirigente della Cgil, convocato per fare il punto sul referendum e decidere come andare avanti, o meglio come realizzare quel ‘’cambiamento’’ che Maurizio Landini, fin dalle prime dichiarazioni post voto del 9 giugno, ha avvertito essere indispensabile. Molti, infatti, sono stati gli interventi concentrati sul futuro della Cgil e sull’’’aggiornamento programmatico” proposto dal segretario. Una svolta che potrebbe richiedere anche un congresso anticipato, o una conferenza di programma, in ogni caso un’occasione straordinaria di confronto a tutto campo, che coinvolga l’intera organizzazione, dal vertice alla base. Lo afferma, del resto, il dispositivo finale approvato con soli 6 astenuti dall’Assemblea: “l’Assemblea generale della Cgil ritiene urgente avviare un percorso di confronto e discussione collettiva che coinvolga l’insieme dell’organizzazione, le delegate e i delegati, le iscritte e gli iscritti, per assumere decisioni vincolanti finalizzate alla ridefinizione del profilo programmatico e al cambiamento organizzativo e contrattuale della nostra organizzazione”, si legge nel testo. La decisione formale però sarà presa solo tra un mese: l’Assemblea è stata infatti riconvocata il 23 e il 24 luglio, per consentire nelle prossime settimane di svolgere le assemblee generali delle diverse strutture, nel corso delle quali “deliberare le forme, le modalità, i tempi e i contenuti di questo percorso di discussione”.
Intanto, una cosa nel testo e’ detta assai chiaramente, e cioè che la Cgil non si pente di aver indetto i referendum, anzi rilancia: “non intendiamo affatto considerare la fase che abbiamo alle spalle come una parentesi da chiudere per tornare a svolgere il “nostro mestiere” – si legge nel testo- perché́ il nostro mestiere è esattamente quello di migliorare le condizioni di vita e di lavoro delle persone, cambiando i rapporti di forza all’interno della nostra società̀, affinché́ il mondo del lavoro affronti, da protagonista, i prossimi mesi che saranno cruciali per il futuro del nostro Paese”. Nella consapevolezza che “la Cgil deve saper cambiare anche sé stessa per cambiare la realtà̀ che la circonda.”
Sul ‘’cambiamento’’ il documento dell’Assemblea resta vago, ma si potrebbe forse riassumere con una frase: meno Palazzo e più territorio. Un ruolo di spicco lo avranno infatti le Camere del lavoro, con uno specifico ‘’protagonismo’’ su cui, si legge, “dobbiamo concentrare risorse e investimento politico e organizzativo”. Del resto, proprio la campagna referendaria “ha già̀ segnato un cambiamento significativo del nostro modo di essere e di agire l’azione politico-sindacale, dentro e fuori i luoghi di lavoro, permettendoci di aprirci e allargare la presenza nel territorio, riattivare canali di militanza e relazioni con le tante realtà̀ del paese, di investire sul rapporto diretto con le persone”. E questo ‘’impegno straordinario’’ dovrà adesso “diventare modalità ordinaria della nostra azione sindacale’’.
Quanto all’esito del referendum, il documento ribadisce la sconfitta, attribuendola soprattutto all’astensionismo dilagante, alla politicizzazione che ha scavalcato il merito dei quesiti, polarizzando la discussione su ‘’pro o contro il governo’’, al silenzio dei media, in particolare della Rai, ma anche all’assenza del quesito trainante, quello sull’autonomia differenziata, bocciato dalla Consulta. Quanto al voto deludente sulla cittadinanza, viene letto come il segno che “i temi della cittadinanza e dell’immigrazione necessitano di un lungo lavoro sindacale, culturale, politico, di ascolto e di confronto che va rilanciato nei luoghi di lavoro e nella società̀”.
Tirando le somme, il risultato viene comunque riconfermato come positivo: “una stagione straordinaria di impegno, passione, e militanza che ha attraversato l’intero Paese”, afferma il documento, che ha consentito “una grande partecipazione democratica”, riportando al centro del dibattito pubblico “la battaglia per un lavoro più̀ tutelato e per una società̀ più̀ aperta, solidale e coesa”, e che rappresenta ‘’una risorsa per l’intera democrazia italiana’. In cifre: sono andati a votare 15 milioni di persone, di cui più della metà donne (54%) e moltissimi giovani: il 37% dei votanti è nella fascia 18/34 anni, il 39% in quella 35/54 anni, e solo il 24% è nella fascia degli over 55. Senza contare, insiste il documento, i successi riscontrati nelle periferie e nei quartieri popolari di molte città.
Adesso la palla passa alle assemblee delle strutture, dalle quali emergeranno maggiori elementi di merito per prendere poi decisioni operative. Entro fine luglio si saprà.
Nunzia Penelope