La Cgil ha presentato oggi il suo Primo Rapporto sulla contrattazione di secondo livello, realizzato in collaborazione con la Fondazione Di Vittorio. La ricerca prende in esame 1.700 accordi, stipulati tra il 2015 e il 2017, in base alla tipologia, all’anno di stipula, la zona geografica e la categoria.
Le principali parti firmatarie degli accordi presi in esame si confermano i tre sindacati confederali, con la Cgil al primo posto con il 97%. Il settore più dinamico è quello manifatturiero, con il 38% degli accordi siglati.
L’85 % sono accordi aziendali, mentre il resto sono territoriali, per il 91% del totale parliamo di contratti integrativi Per quanto riguarda il territorio, il rapporto conferma il primato delle regioni del nord (28%), che sono le più prolifiche dal punto di vista contrattuale, mentre il Sud si conferma fanalino di coda (11%). Un dato consistente è rappresentato dalle aziende multiterritoriali, pari al 47%.
Oltre alla collocazione geografica, un ulteriore fattore di discrimine è dato dalla dimensione dell’azienda. Le piccole sono le meno presenti all’interno della contrattazione decentrata (14%), mentre c’è un sostanziale equilibrio tra imprese medie e quelle grandi.
Sul versante dei contenuti, spicca al primo posto quello del trattamento economico, con particolare riferimento all’istituto del premio di risultato. La ricorrenza dell’istituito è soprattutto dovuta alla possibilità di detassare l’importo, grazie alle norme presenti nella legge di Bilancio del 2016. Anche questo dato subisce delle differenze, qualitative e quantitative, a seconda della dimensione, del settore e della collocazione geografica dell’impresa. Le grandi realtà manifatturiere del Nord sono quelle che erogano un premio più sostanzioso.
Al secondo posto troviamo le relazioni e i diritti sindacali, con particolare attenzione al tema della partecipazione, di cui viene confermata l’importanza come asse portante delle relazioni industriali al livello aziendale e territoriale.
Nel complesso il rapporto evidenzia una situazione in continuo mutamento, dal punto di vista del lavoro e normativo. La contrattazione decentrata può dunque offrire risposte interessanti per governare il cambiamento, come ha ricordato il segretario generale della Cgil Susanna Camusso. Questo perché può incentivare nuove soluzioni contrattuali, rafforza la partecipazione dei lavoratori e si dimostra molto più vicina ai bisogni di sindacati e imprese.
Tuttavia, ha continuato Camusso, non mancano gli aspetti distorsivi. Il primo di questi è la polarizzazione. Non solo la diversa collocazione geografica e la dimensione, ma anche la stessa innovazione potrebbe lasciare fuori una parte significativa del tessuto produttivo. Inoltre Il mondo del welfare contrattuale e aziendale potenzialmente potrebbe trasformarsi in un far west, sia per la ricchezza dell’offerta, non sempre aderente ai bisogni essenziali, sia perché non mancano casi di sovrapposizione con la sfera pubblica.
Altro tema caldo è quello della partecipazione. Le relazioni sindacali, aziendali o territoriali, possono favorire molte forme, non sempre codificate. Su questo da una parte è un elemento positivo, perché testimonia una maggiore vicinanza ai processi lavoratori e organizzativi, dall’altra, invece, in assenza di un quadro generale di riferimento, il rischio è che, col presentarsi di una crisi, queste relazioni informali vadano perse.
Per Camusso, dunque, il futuro della contrattazione non può prescindere dal crescente peso dell’innovazione e del processo tecnologico. Questo, infatti, può sottrare istituti importati al lavoro negoziale della contrattazione – i turni e gli orari di lavoro stabiliti tramite un algoritmo -.
Ecco perché è importante, ha spiegato la leader della Cgil nelle sue conclusioni, tenere ben saldi i due livelli di contrattazione, che rappresentano una peculiarità del sistema italiano, e non pensarli come due rami contrapposti ma capaci, in una cornice di sinergie, di trovare le migliori soluzioni per tutti gli attori del mondo del lavoro.
Tommaso Nutarelli