E’ da alcuni giorni in libreria il saggio di uno dei nostri blogger, Giuliano Cazzola, dal titolo “La guerra dei cinquant’anni. Storie delle riforme e controriforme del sistema pensionistico”, con prefazione di Elsa Fornero (IBL libri). Pubblichiamo un brano in cui l’autore avanza una sua proposta per uscire dal groviglio di problemi che si porranno alla scadenza di “quota 100”.
A pensarci bene la disciplina, sfrondata da una norma sperimentale temporanea, come “quota 100”, sarebbe “autoapplicabile” secondo il seguente schema: a) pensione di vecchiaia a 67 anni e almeno 20 anni di versamenti; b) pensione anticipata di vecchiaia (ex anzianità) facendo valere, a prescindere dell’età anagrafica, 42 anni e 10 mesi se uomo, un anno in meno se donna. Anche in questo caso si tratta di una deroga giallo-verde che verrà a scadenza (salvo modifiche) alla fine del 2026; c) Opzione donna con 58 anni e 35 di contributi ma in regime interamente contributivo.
Ai tre capisaldi si aggiungono altre norme di carattere strutturale quali le tutele per i lavori usuranti e per l’accesso precoce al lavoro. Come rispondere, però, ai “difensori della fede” che si leveranno in coro a denunciare l’ostacolo di un nuovo “scalone” (da 62 a 67 anni per quanti non potranno avvalersi dei requisiti del pensionamento anticipato ordinario) sulla strada verso l’agognata pensione? «Come è duro calle lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale», rammenta il Poeta. È il caso però di porsi una domanda: che cosa ci sta a fare l’Ape sociale, una misura sempre riconfermata (sarebbe bene che diventasse strutturale) anche dallo stesso Governo Conte 1? L’Ape (anticipo pensionistico) sociale consiste in un’indennità, a favore di determinate categorie di soggetti in condizioni di disagio famigliare, occupazionale e sociale, e spetta fino alla maturazione dei requisiti pensionistici di vecchiaia. La prestazione ha natura assistenziale, è a carico dello Stato ed erogata dall’Inps. Certo, le differenze tra l’Ape e una pensione sono evidenti, soprattutto per il fatto che, nell’anticipo, sono previste delle condizionalità che non esistono nel caso del pensionamento di anzianità. È diversa la logica delle due misure: l’Ape si rivolge (ci sono fino a 43 mesi di anticipo del trattamento) a chi ha un’esigenza effettiva di uscire dal lavoro il prima possibile; e può farlo a carico dello Stato. “Quota 100″ e surrogati rientrano nelle scelte di vita della persona. E ciò potrebbe essere considerato un limite, per rimediare al quale potrebbe servire il ripristino dell’Ape volontario che risponderebbe, invece, a esigenze soggettive incondizionate. A suo tempo vennero fatti diversi esempi per dimostrarne la convenienza. Non a caso le maggiori difficoltà ebbero riscontro quando l’Inps cercò di stipulare le convenzioni con gli istituti di credito (un’esperienza di cui tenere conto se venisse ripristinato l’Ape volontario). Ci fu un fuggi fuggi generale, smentendo così quei critici che sostenevano che si volesse fare un favore alle banche. Solo un paio di importanti banche aderì all’operazione più per dovere che convinzione. Anche di queste difficoltà occorrerebbe tener conto”.