Il ministro della Transizione ecologica, Cingolani, non è nuovo a sortite inopportune, per il titolare di una funzione di governo. Mesi fa aveva ventilato un ipotetico futuro nucleare per il paese, scatenando un infuocato dibattito, dove nessuno sembrava rendersi conto che, anche ove fosse possibile imbarcarsi subito in un programma nucleare, il primo kilowattora atomico non si materializzerebbe prima di vent’anni. Ora ha lanciato, senza fornir dettagli, l’accusa di una truffa delle compagnie petrolifere negli aumenti della benzina.
L’accusa è stata naturalmente accolta con grande entusiasmo dalla vasta platea degli automobilisti, ma esiste davvero una truffa? Il prezzo dei carburanti è fra i listini più opachi dell’economia italiana, fra Iva, accise, ristorni e commissioni, ma, anche se probabilmente qualche distributore ci marcia con le commissioni, quello che si può dire è che la truffa c’è, ma è nota da sempre. Semplicemente, i petrolieri adeguano con molta lentezza il prezzo, quando il costo del petrolio scende, e con grande rapidità, quando invece il barile sale, a prescindere da quanto lo abbiano effettivamente pagato. In un momento in cui la quotazione del barile corre, il prezzo della benzina sembra lievitare davanti agli occhi quasi in tempo reale.
La truffa, se questo è il termine, è, tuttavia, molto più vera per il metano, il cui prezzo, sul mercato libero, è aumentato di quasi sette volte, rispetto ad un anno fa. Le grandi compagnie del gas, però, il metano lo comprano quasi tutto con contratti a lungo termine, lasciandosi solo una quota ridotta (facciamo il 20 per cento) scoperta, per far fronte a fluttuazioni della domanda. E’ solo questo 20 per cento che viene comprato sul mercato libero, ai prezzi attuali. Il resto, coperto dai contratti a lungo termine, ha un prezzo indicizzato, normalmente al prezzo del petrolio. Ma il costo del greggio è cresciuto, in un anno, solo del 50 per cento, non del 700 per cento, come il gas sul mercato spot di Rotterdam. Tuttavia, il prezzo in bolletta del metano è legato al prezzo di Rotterdam. Le compagnie intascano la differenza.
Insomma, non si sta parlando a caso di extraprofitti per i fornitori di energia. Vale anche per le rinnovabili. In molti paesi europei, Italia compresa, il prezzo dell’elettricità viene fissato, giorno per giorno, in apposite aste, in cui vale per tutti il costo dichiarato da chi fornisce l’ultimo kilowattora. Che vuol dire? Diciamo, semplificando al massimo, che il sistema elettrico italiano dichiara, stamattina, di aver bisogno di 100 kw. Di questi, 99 sono pronti a fornirli le società del solare e dell’eolico a 20 euro per kw. Ne manca però 1. E’ pronto a fornirlo una centrale a gas che però chiede un prezzo di 80 euro. A questo punto, tutti i i kw, compresi quelli delle rinnovabili, vengono pagati al prezzo di 80 euro.
La Commissione di Bruxelles stima che gli extraprofitti rastrellati, in questi modi, dalle società dell’energia siano dell’ordine di 200 miliardi di euro e propone di tassarli, raggranellando così un tesoretto che consenta di ammortizzare il costo della grande svolta che la politica energetica europea sta intraprendendo, in questo drammatico momento storico: liberarsi dalla dipendenza dal gas di Putin. La Russia fornisce all’Europa 150 miliardi di metri cubi l’anno, circa il 40 per cento dei consumi. Possiamo farne a meno senza restare al freddo l’anno prossimo?
Bruxelles ritiene che se ne possano tagliare, prima del prossimo inverno, 100 miliardi di metri cubi, privando Putin di 70 miliardi di dollari su cui altrimenti potrebbe far conto, aggirando le sanzioni per la guerra all’Ucraina. Mettendo insieme le ricette di vari esperti, in realtà, si arriva assai vicino a quei 150 miliardi. Dieci li possono fornire, aumentando le forniture abituali, Norvegia, Algeria, Azerbaigian. Costruendo 100 chilometri di gasdotto fra Spagna e Francia, ne vengono disponibili altri 50, lavorati dai rigassificatori spagnoli, ma bloccati nella penisola iberica. Altri 20 possono essere comprati sul mercato mondiale del gas liquefatto. Dieci possono essere spremuti da una spinta sulle rinnovabili. Ancora dieci, tagliando di un grado la temperatura dei riscaldamenti domestici. Tredici rinviando la chiusura delle centrali nucleari. Infine, 28 miliardi di metri cubi arriverebbero dalla riattivazione temporanea di centrali a carbone.
Il totale fa 141 miliardi di metri cubi. Ma non tutti credono che tutti questi passaggi siano possibili nel giro di pochi mesi. Gli esperti di un importante think-tank, Bruegel, ritengono che, per lasciare davvero a secco Putin, l’unica strada sia tagliare i consumi del 10-15 per cento, ovvero di quei 50-60 miliardi di metri cubi che mancano negli impegni della Commissione.
Ed è qui che tornano in ballo i 200 miliardi di euro in extraprofitti che Bruxelles vorrebbe destinare ad ammortizzare l’impatto, su aziende e famiglie, del caro energia. Utilizzarli per bloccare le bollette? Sarebbe un grave errore, sostiene Daniel Gros, che dirige un altro centro studi, il Ceps: il prezzo è il sistema migliore per ridurre la domanda, come indica Bruegel. Si aiutino, dunque, le famiglie meno abbienti e le imprese più in difficoltà, con aiuti e rimborsi, ma senza legarli al consumo effettivo di gas ed elettricità. Non bloccate, insomma, le bollette: il prezzo del metro cubo non va toccato.
Perché? Gros non è né un sadico, né un masochista. Il prezzo alto serve a ridurre la domanda non tanto europea, quanto asiatica. Il mercato del Gnl, il gas liquefatto trasportato via nave, è di fatto un mercato unico per Europa ed Asia. Un prezzo alto in Europa serve a dirottare più Gnl possibile dai clienti asiatici (che oggi fanno la parte del leone) a quelli europei. Una riduzione del 10-15 per cento della domanda asiatica (nient’affatto traumatica, perché ammortizzabile sostituendo il gas con il carbone, operazione più facile che in Europa perché le centrali a carbone in Asia abbondano) sarebbe sufficiente a liberare tanto Gnl quanto basta a sostituire il gas di Putin e fargli pagare carissima l’avventura ucraina.
Maurizio Ricci