Il trucco c’è e si vede. Decidendo di congelare il Documento di economia e finanza e, dunque, qualsiasi programmazione di politica economica per il 2024, il governo conferma il bene e il male della linea tenuta fin dall’entrata in carica. La linea è, probabilmente, quella dettata dalla prudenza del ministro del Tesoro, Giorgetti. Anzitutto, evitare danni, ovvero quelli che potrebbero derivare da scelte spericolate, come quelle che piacerebbero al suo leader di partito, Salvini. Il rovescio della medaglia è che, a buttare la palla in tribuna, i problemi si incancreniscono.
La deriva ha portato il governo in una situazione complicata. La crescita si è fermata, anche se il Tesoro fa finta di non crederci e ripropone un obiettivo di sviluppo, appena limato all’1 per cento, che non convince nessuno ed è quasi il doppio delle previsioni di Bankitalia. Di fatto, il governo appare prigioniero della sua retorica: ha esaltato il risultato del 2023, che era, tuttavia, figlio soprattutto degli investimenti in edilizia, drogati dal Superbonus. La droga andava tolta, ma, con essa, è svanito anche lo stimolo allo sviluppo. Contemporaneamente, la coda avvelenata della droga ha, inevitabilmente, colpito: sul bilancio dello Stato – è stato appena annunciato – si scaricano altri 30 miliardi di euro di debito. Il conto del Superbonus, per la finanza pubblica, arriva così oltre i 200 miliardi di euro. E’ una cifra evocativa: più o meno quanto all’Italia arriva dal NextgenEu, il grande programma europeo di rilancio post-Covid. Il Superbonus si è mangiato il Pnrr.
Contenere il deficit e garantire che il debito, se non diminuisce, almeno non cresca significa, allora, che i margini di manovra sono uguali a zero. Zero, tuttavia, se va bene. Se l’economia dovesse rallentare più di quanto preveda il Tesoro, infatti zero potrebbe non bastare e bisognerebbe andare sotto: l’unica manovra di bilancio possibile sarebbe una stangata. La prospettiva sarebbe, anzi, ancora più stringente se le disgrazie altrui non ci dessero una mano. Il dato cruciale dell’attuale situazione europea, infatti, è la crisi (di bilancio e di sviluppo) della Germania. È la cattiva salute del Bund, infatti, a contenere la differenza con i nostri Btp. Nel panorama attuale, il dato più positivo è, appunto, la discesa dello spread che, almeno, allontana le tentazioni speculative sui nostri titoli. Peccato che, secondo le previsioni, la Germania sia destinata ad uscire presto dalle cattive acque e che, comunque, il costo del debito italiano (oltre il 3,75 per cento, in media) in assoluto non accenni a scendere. Difficile che l’allentamento della politica monetaria che ci si attende, da giugno, dalla Bce sia così rapido e significativo da incidere, già entro il 2024, su questa fragilità.
Come pensano, allora, Meloni e la sua squadra, di uscire dai guai? Con una scommessa tutta politica. Le elezioni europee di giugno dovrebbero portare al timone, a Bruxelles, una maggioranza più in sintonia con i postfascisti italiani. Se non con una vittoria della destra, con una affermazione sufficiente a condizionare la riconferma di Ursula von der Leyen, con cui la stessa Meloni ha tenacemente cercato, in questi mesi, di stabilire un rapporto di collaborazione.
Una affermazione della destra e una riconferma della von der Leyen sono, tuttavia, per ora solo due scommesse. E, probabilmente, non bastano. Con il deficit italiano ineluttabilmente sopra il paletto europeo del 3 per cento, arrivano i processi e le sanzioni, da parte dell Ue. E, per quanto la prossima commissione possa, eventualmente, essere comprensiva verso l’Italia, qualcosa bisognerà fare.
Il punto è che la trattativa dovrà non solo mettere una pezza al presente, ma bloccare il collasso. Il governo Meloni viaggia, infatti, con la tagliola di una ipoteca pesantissima sulle spalle. Una ipoteca da 19 miliardi di euro, che scade a fine anno. Sono i soldi dei bonus fiscali, del taglio del cuneo, degli incentivi alle imprese che, per il 2024, sono finanziati (e, dunque, il congelamento appena deciso non li tocca). Ma, per il 2025 no e, dunque, scadono. Una cifra pari all’1 per cento del Pil sparirebbe dalle tasche degli italiani. Il governo Meloni si trova di fronte alla necessità assoluta di trovare questi 19 miliardi, nel momento stesso in cui deve trovare altri soldi per tappare i buchi del 2024. Succede, a buttare la palla in tribuna.
Maurizio Ricci