Le bugie? Le dice la destra. Dovrebbero bastare le campagne della Bestia – il team social che creò il fenomeno Salvini – e poi quella elettorale di Trump e Musk per arrivare a questa conclusione, ma, ora, in ogni caso, arriva la conferma dei numeri. Vi bastano 32 milioni di tweet, stilati da parlamentari di 26 paesi, nell’arco di 6 anni? E’ l’enorme database esaminato da due studiosi olandesi per l’ International Journal of Press/Politics. Ne ricavano che, in linea di principio – vista la comune convinzione che i media tradizionali siano ostaggi di élites corrotte – la probabilità che a diffondere fake news e bugie in genere siano i populisti di destra, piuttosto che di sinistra dovrebbe essere la stessa. E, invece, è una specialità in cui, si distinguono, al di là di oceani e confini, i rappresentanti della destra radicale in genere. Dai No Vax ai filo-Putin, teorie cospiratorie e narrative distorte sono, in altre parole, il pane quotidiano di una disinformazione alimentata, specificamente, dai partiti della destra radicale, in America come in Europa.
Milioni di tweet di rappresentanti politici di destra suggeriscono, tuttavia, a Petter Toernberg e Juliana Chueri una interpretazione anche più fosca. Qui non siamo, infatti, di fronte ad una disinformazione occasionale, frutto di una sorta di predisposizione caratteriale o idelogica di attivisti e militanti sparsi. Si tratta di vere e proprie campagne preordinate, studiate a tavolino per destabilizzare partiti e istituzioni. Disinformazione e destra radicale sono, cioè – indicano i tweet – sinergiche: due facce dello stesso fenomeno politico. Ecco perché la rinuncia esplicita dei grandi social, da X, l’ex Twitter, di Elon Musk a Facebook e Threads di Meta, ovvero Mark Zuckerberg, al controllo dei propri contenuti non è legata a principi generali di libertà e neutralità, ma è una precisa scelta politica. Con uno sbocco sinistramente paradossale: le campagne di disinformazione sono disegnate sulla logica politica antistituzionale della destra radicale, ma, allo stesso tempo, la politica della destra radicale finisce per essere guidata dagli incentivi che offrono media capaci di attrarre attenzione: urla e bugie fissano l’agenda politica.
E’ una politica schiava dei click, anche se il percorso con cui ci si arriva non è lineare: dal tweet all’elettore. Nonostante il clamore, la fiducia nei social, infatti, non è affatto più alta di quella che ricevono giornali e tv. Secondo i sondaggi, solo una minoranza consuma il grosso della disinformazione via social. A informare il grande pubblico è, ancora, soprattutto la televisione. Ma i media tradizionali sono cambiati. Il risultato è che, attraverso i social, per le élites politiche è diventato più facile controllare l’agenda dei media, impegnati in una disperata competizione per guadagnare attenzione. E pronti, dunque, a privilegiare il sensazionalismo che genera più click, rispetto al controllo delle istituzioni che era nel Dna della stampa tradizionale. Eccoli, allora, a inseguire chi riesce ad affermarsi sui social: i tweet di Trump, durante la campagna elettorale americana, hanno trovato più ascoltatori in televisione che sui social.
La denuncia della tentazione sensazionalista della stampa è tutt’altro che una novità. Ma qui non siamo di fronte ad un generico involgarimento di una informazione sempre più facile, sempre più evasiva. Sotto questa maschera, si tratta di diventare strumenti, più o meno consapevoli, di una deliberata disinformazione, su cui si appoggia una scalata politica.
Maurizio Ricci