Per quelli che sono gli usi e costumi della stampa italiana, c’è un tema singolarmente assente dal dibattito pubblico. Strano, perché la materia, di solito, accende discussioni infinite. In più le scadenze incombono: fra qualche settimana, forse, non parleremo d’altro. Questo tema è il dopo Draghi. O, più esattamente, Draghi nel dopo Draghi. Il fatto che l’ex presidente della Bce sia entrato a palazzo Chigi da neanche due mesi è irrilevante. Dibattiti del genere, normalmente, esplodono anche prima che uno entri a palazzo Chigi. Né il fatto che sia francamente difficile farsi un’idea di come andrà a finire ha mai fermato la penna di commentatori e opinionisti. Tanto più che la partita del governo Draghi si gioca, di fatto, entro l’inizio dell’estate o poco più.
La leva di tutto, ovviamente, sono i vaccini. Sapremo al più tardi entro maggio se l’arrivo delle forniture promesse e la capacità di tenere a bada varianti sta consentendo alla campagna vaccinale di prendere velocità e mettere progressivamente in sicurezza il paese. E’ l’impegno più solenne di Draghi, la promessa su cui lo giudicheremo in futuro. Gli italiani vaccinati finora, anche solo con la prima dose, sono circa 15 milioni. Se, entro giugno, non avremo doppiato il capo almeno dei 30 milioni di vaccinati due volte sui 50 milioni in programma, difficilmente l’emergenza sarà superata entro l’estate.
Un mancato ritorno alla normalità è anche lo spettro di una stagione turistica asfittica e a singhiozzo. In ballo, solo con il turismo, c’è il 15 per cento del Pil nazionale e, più in generale, il tenore della ripresa economica che chiuda la lunga parentesi della pandemia. Il governo prevede una crescita del Pil, per quest’anno, anche superiore al 4,1 per cento messo in conto dal Fondo monetario. Anche fino al 4,5 per cento, grazie alle misure messe in campo. L’esperienza della scorsa estate, quando la pausa nella pandemia scatenò un rimbalzo assai al di là delle previsioni, autorizza l’ottimismo. In virtù anche dei fondi europei che, sempre a stare al Def, valgono uno 0,6 per cento di Pil l’anno in più, fino al 2026. Quello che davvero conta, in ogni caso, è il contenuto del piano e dei progetti che, per la prima volta da trent’anni, dovranno consentire all’Italia di recuperare il ritardo sugli altri paesi e consolidare lo sviluppo.
Vaccini, ripresa, rilancio del paese. Le partite restano difficili, ma non è impossibile che Draghi riesca effettivamente a vincerle: le condizioni ci sono. Si tratterà ancora di dare una struttura permanente alla campagna vaccinale e di prevenzione. Di consolidare la ripresa, impedendo che la fine dei sussidi a lavoratori e imprese strangoli l’economia. Di dimostrare che l’opera di semplificazione e accelerazione degli investimenti sta dando risultati e che il piano del Recovery Fund viene attuato secondo calendario. Ma la missione fondamentale di Draghi – la svolta che gli si chiedeva e che ha imposto la creazione di un governo di unità nazionale, con la Lega accanto al Pd – sarebbe, di fatto, esaurita: l’Italia sarebbe, di nuovo, in marcia.
Eccoci, allora, arrivati a questa estate. Che succede? Nulla. Da luglio scatta il semestre bianco, in attesa della nomina del nuovo presidente della Repubblica: elezioni nazionali sono impossibili, il governo è congelato in carica. Ma i giochi ripartono alla grande, soprattutto dopo che il voto d’autunno nelle comunali delle grandi città avrà fornito un’idea dei rapporti di forza fra i partiti.
Fino al febbraio scorso, si poteva pensare che il passaggio chiave sarebbe stata l’elezione, probabilmente incontestata, di Mario Draghi proprio al Quirinale: approdo acconcio ad una grande carriera nazionale e internazionale. Da febbraio, è diventato difficile continuare a pensarlo. Il ruolo del presidente della Repubblica, in Italia, è largamente cerimoniale, al massimo di generica interpretazione dei massimi valori democratici: un pensionamento in grande stile. L’eccezione – cruciale e decisiva – è la gestione in prima persona delle crisi di governo, assai frequenti in Italia, in cui l’uomo che siede al Quirinale appare spesso come quello che, in effetti, distribuisce le carte della partita. Ma è la massima espressione del politichese in Italia: davvero può interessare a Draghi limitarsi a mediare fra partiti, personalità, correnti? L’impressione, al contrario, è che Draghi ami giocare in proprio, da protagonista.
Questa vocazione spiega perché, smentendo molti osservatori (compreso chi scrive), convinti che l’ex presidente della Bce si sarebbe tenuto lontano dai veleni della politica applicata, rifiutando Palazzo Chigi e puntando, invece, se mai, al Quirinale, Draghi si è invece cacciato a capofitto nell’avventura del governo. E, come non è sfuggito a nessuno, trovandosi pienamente a proprio agio e, anzi, dando l’impressione di apprezzare molto l’esperienza. A fugare l’immagine di Draghi, novello Cincinnnato che torna a coltivare il suo campicello c’è anche il versante europeo a cui il salvatore dell’euro guarda certamente con estremo interesse e partecipazione. Angela Merkel sta per uscire di scena e il suo successore non avrà certamente il peso e l’autorevolezza per guidare la corrazzata europea, come ha fatto la Cancelliera. Macron, pochi mesi dopo, affronterà elezioni che potrebbe anche perdere e, comunque, avrà bisogno di una sponda solida e credibile. Ed ecco Mario Draghi, un senior leader che dia all’Italia un peso e un ruolo in Europa che non ha più da decenni. Difficile pensare che questa prospettiva non lo tenti.
Insomma, tutto cospira a tenere Draghi in prima fila nella politica italiana. Ma come? Esaurita l’unità nazionale, a sconsigliare una avventura in proprio c’è l’esperienza di Mario Monti che, in condizioni vagamente simili, si risolse in un flop. Dunque, a capo di una coalizione fra partiti esistenti. Al di là di inclinazioni personali, che sembrerebbero portarlo lontano dall’atmosfera politica e culturale del centro destra, pare francamente difficile che Salvini o Meloni si scostino per fargli posto.
Più facile ipotizzare una coalizione di centro, che però non esiste. Per avere qualche – assai ridotta – speranza di successo bisognerebbe ipotizzare un’alleanza che, dal Pd, arrivasse a Forza Italia. Di sicuro c’è chi ci sta pensando, ma, ad oggi, appare del tutto improbabile e impraticabile, se non attraverso un tormentato, tortuoso e accidentato percorso di scissioni e ricomposizioni.
Resta il centrosinistra, un’alleanza fra grillini e Pd di cui si parla apertamente da mesi. Al Pd probabilmente un traino Draghi non dispiacerebbe, per i 5Stelle, forse, c’è bisogno di una faticosa mutazione in più. Difficile ipotizzarla ora. Draghi nel dopo Draghi è una partita tutta da vivere.
Maurizio Ricci