C’è una frattura cheattraversa la società e la democrazia non solo in Italia, ma in buona parte dell’Europa. È l’effetto, a scoppio ritardato, della Grande Crisi del 2008 e suoi seguiti, a partire dagli anni dell’austerità: una faglia che spacca crudamente molti paesi in due metà quasi uguali di un melone. Di qua il 50 per cento di fortunati, di là il 50 per cento di meno fortunati: una divaricazione e una polarizzazione mai viste dalla metà del secolo scorso. In questa faglia sono via via affondati molti punti fermi dei passati decenni. In politica, le formazioni e il concetto stesso di centro, scomparso in molti paesi, come l’Italia, l’Inghilterra, la Spagna. Nella società, la condivisione di identità e valori, che ora cozzano nello scontro sulle politiche dell’immigrazione. In economia, un generale senso di sicurezza e di progresso, svanito in una crescente atmosfera di precarietà.
Per riassumere in una formula: nelle statistiche, c’è sempre un 25 per cento di più poveri e un 25 per cento di più ricchi. È il 50 per cento in mezzo che è cambiato. Non c’è più, infatti, la classe media, tradizionale pilastro di stabilità politica, sociale ed economica. È sparita, perché adesso ce ne sono due: una perdente, rancorosa e spaventata, l’altra vincente, spavalda, proiettata in avanti. A dividere quel 50 per cento è la speranza, ma, prima ancora, il reddito: sopra o sotto la linea mediana che, nelle statistiche, separa il 25 per cento di italiani o di europei che riescono a non essere classificati come poveri e l’altro 25 per cento che non riesce ad essere catalogato come ricco. Sopra o sotto la linea, la vita appare, oggi, in modo completamente diverso.
La compressione delle classi medie è, ormai, una realtà largamente accettata dalle statistiche. Secondo l’Ocse, in Europa, negli ultimi 30 anni, la classe media è passata dal 64 al 61 per cento della popolazione. Ma, dopo la crisi del 2008, i processi si sono accelerati. Li ha studiati Eurofound, un centro studi collegato con la Commissione Ue. Stabilito il reddito mediano (quello che è esattamente a metà nella scala dei redditi di ogni singolo paese), Eurofound definisce ceto basso quello che guadagna fino al 75 per cento di quel reddito mediano, ceto medio chi sta fra il 75 e il 200 per cento, ceto alto chi supera il 200 per cento. Su questa base, il ceto medio, nel 2015, copriva il 70 per cento della popolazione nei paesi scandinavi, i due terzi in Francia, Germania, Gran Bretagna, il 53-59 per cento nei paesi mediterranei, Italia compresa. La differenza la facevano soprattutto i meno fortunati: un terzo della popolazione in Italia, solo un quarto o poco più negli altri grandi paesi europei. Visto che si tratta dei redditi dichiarati al fisco, sulla fotografia italiana si può nutrire qualche dubbio.
Ma quello che conta è la netta svolta avvenuta, in tutta Europa, quando la crisi comincia a mordere nel 2011. Fino ad allora, la classe media era stata in costante espansione. Dopo la recessione del 2011, la classe media, invece, si restringe, perché aumenta il numero di coloro che non riescono più ad arrivare al 75 per cento del reddito mediano. In alcuni paesi, il fenomeno si interrompe con la ripresa del 2013. Ma non è il caso dell’Italia che, come altri paesi, vede proseguire la progressiva caduta dei ceti medi.
Questo processo, tuttavia, ne nasconde un altro: la divaricazione all’interno della classe media. In parte, è l’effetto ritardato e prevedibile della crisi, che ha via via mangiato nel tesoretto di risparmi con cui era stato possibile far fronte ai primi impatti della crisi. In parte, dice Eurofound, è un effetto diretto delle politiche di austerità e di tagli al welfare che ha lasciato la parte meno fortunata della classe media in mezzo al guado: troppo ricchi per aver diritto a sussidi ed esenzioni, troppo poveri per farne a meno. La controprova viene dal sondaggio compiuto da Eurofound, da cui risulta che le difficoltà nascono soprattutto dall’aumento delle spese tradizionalmente legate al tenore di vita della classe media: casa, scuola, sanità. In quasi tutta Europa, chi guadagna fra il 25 e il 50 per cento del reddito mediano, ovvero la parte inferiore della classe media, si dichiara, dunque, per lo più insoddisfatto della vita che conduce. Al contrario, gli indicatori volgono al bello per la classe media superiore, quella fra il 50 e il 75 per cento del reddito mediano. Anzi, questa fetta di popolazione, diversamente anche dai ricchi, è l’unica a dichiararsi apertamente soddisfatta. È vero in Italia, in Francia, ma anche in Germania, in Portogallo, in Svezia. Complessivamente, valutando la situazione post 2011, la classe media inferiore si dichiara più soddisfatta di prima solo in 4 paesi europei e insoddisfatta in 8. Al contrario, la classe media superiore è soddisfatta in 11 e scontenta in 6. Navigare questo nuovo scenario sarà difficile per tutti.
Maurizio Ricci