Dopo 18 mesi, l’economia è ancora nelle mani dei virologi e appesa alla curva dei contagi. L’autunno, però, si presenta meno fosco di quanto si potesse temere. La differenza la sta facendo il ritmo delle vaccinazioni, dove l’Italia, come l’Europa, ha ormai ripreso e superato America e Inghilterra e si avvia a centrare l’obiettivo dell’80 per cento di popolazione immunizzata. Il risultato è quello sperato e atteso: la variante Delta e la quarta ondata di Covid stanno avendo un effetto minore delle precedenti offensive del virus. Bene per la salute e anche per l’economia: l’impatto del virus sull’attività è inferiore e la ripresa, per il momento, non sembra intaccata. Anzi, l’economia romba, al di là delle attese, soprattutto in Italia, dove viaggia ad una velocità superiore a quella degli altri paesi europei, un dato sorprendente, rispetto a quello cui siamo abituati da molti anni. Qualcuno si è anche fatto prendere dall’entusiasmo. Ad aprile, gli istituti internazionali prevedevano uno sviluppo dell’economia italiana, per quest’anno, di poco superiore al 4 per cento. In questi giorni, ministri – competenti in materia, anche se non noti per la loro cautela – come Renato Brunetta e Giancarlo Giorgetti si sono spinti a pronosticare due punti in più, il 6 per cento. Tassi da capogiro, ma è vero che i dati puntano in quella direzione, non solo rispetto all’abisso del 2020, ma anche sul 2019, l’anno prepandemia. L’economia dovrebbe tornare a prima del virus già dopo Natale.
Secondo gli analisti di Banca Intesa, nei primi cinque mesi del 2021, il fatturato dell’industria manifatturiera è cresciuto del 5,5 per cento, rispetto non al lockdown 2020, ma rispetto allo stesso periodo del 2019, con punte del 25 per cento per gli elettrodomestici e del 15 per cento per la metallurgia. Le imprese stanno, in realtà, ricavando di più, vendendo meno, perché la produzione è ancora del 2,6 per cento inferiore allo stesso periodo 2019, un dato, comunque, assai più positivo della Germania, dove, anche per via dei problemi dell’auto, la produzione è sotto dell’8 per cento e in Francia del 7,4 per cento sul 2019. Ma il gap fatturato-produzione ha un risvolto positivo, perché indica l’allargarsi di un clima di fiducia, che sostiene i prezzi. Anche perché ad alimentare l’industria sono state soprattutto le esportazioni, cresciute del 4 per cento sull’inverno-primavera 2019 (a fine anno, dovremmo chiudere il buco della pandemia e pareggiare il livello prepandemia), e, in particolare, i latitanti storici dell’economia italiana, gli investimenti, saliti del 4,4 per cento rispetto a prima della pandemia: nessun altro paese europeo ha investito di più, a inizio 2021. Ancora in ritardo, invece, i servizi che, nel primo trimestre, hanno viaggiato ad un ritmo del 6 per cento inferiore a quello precedente al virus.
Ma è ancora così? L’analisi di Banca Intesa si ferma a maggio, ma proprio giugno, segna il crinale, oltre il quale il boom delle vaccinazioni ha cambiato, nonostante la variante Delta, volto al paese. I dati veri ancora non ci sono, ma gli economisti si adoperano a spiare indicatori alternativi che diano, almeno, il profumo dei cambiamenti. E, dunque, spulciando i dati di Google sulla mobilità delle persone e sulle ricerche di lavoro in rete si vede che quella che, genericamente, gli esperti chiamano “attività” è in costante salita, in Italia, da primavera e che, in questo agosto, è tornata sui livelli dell’agosto 2019. Difficile capire quanta gente, in Italia, cerchi lavoro su Internet, piuttosto che fra i parenti, ma le offerte di lavoro fatte dalle aziende, in rete, sono cresciute del 35 per cento rispetto all’ultimo mese prima della pandemia.
Soprattutto, sembrano ripartiti i consumi privati. Le visite a ristoranti e negozi sono risalite ai livelli dell’inverno 2020, prima del virus. E la differenza, alla fine, potrebbe farla il turismo che il governo, nelle previsioni stilate nella scorsa primavera, aveva liquidato come a impatto zero, per quest’anno. Invece, luglio e agosto hanno visto le auto straniere tornare sulle strade italiane e i turisti nel centro delle città. E si sono mossi gli italiani: il boom del Molise (“sold out”) ha già fatto il giro del giornali, ma, più in generale, le prenotazioni negli alberghi avrebbero recuperato almeno metà delle presenze nell’estate 2019. Per un paese che affida un sesto del suo Pil al turismo, il recupero può contare parecchio.
Le incognite legate alla pandemia ci sono ancora. E stanno per aggiungersi quelle della politica che affronta, nelle prossime settimane, sia una difficile prova elettorale, sia la verifica della capacità di realizzare le promesse di riforma, dalla giustizia, al fisco, alla concorrenza. L’economia sembra presentarsi, però, in condizioni migliori di quel che si potesse sperare all’appuntamento con i primi fondi del Pnrr, il grande piano europeo di rilancio del paese. Sul potere salvifico del Pnrr e sulla sua capacità di mutare pelle al paese la verifica ci sarà solo più avanti. Intanto, però, c’è una grossa e non scontata apertura di credito da parte degli osservatori internazionali. Il mal sottile che, da trent’anni, toglie il fiato all’economia italiana è la paralisi della produttività, apparentemente incapace – per assenza di riforme ed investimenti – di crescere come negli altri paesi. Ma, oggi, l’Ocse vede rosa. Nelle sue previsioni, la produttività dell’economia tedesca, ferma ad un più 1,1 per cento fra il 2016 e il 2019, salirà del 2,6 per cento entro il 2022. In Francia, del 2,5 per cento, contro l’1,8 dei tre anni precedenti. In Italia, dell’1,4 per cento. Poco? Ma noi partiamo dal dato 2016-2019: 0,0.
Maurizio Ricci