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Ha ragione Laocoonte o Kraemer? La situazione italiana

Maurizio Ricci
Aprile26/ 2022

“Temo i Greci, anche quando portano doni” fa dire Virgilio al prudente Laocoonte, preoccupato dal cavallo di Troia. Viene da reagire allo stesso modo, quando, di questi tempi, un tedesco, per giunta uomo di banca, si mette a tessere le lodi dell’Italia. Il paese con il debito record dell’eurozona è, oggi, solido e pronto ad affrontare le avversità, sostiene, infatti, in un articolo sul Financial Times, Moritz Kraemer, capo economista della più importante banca regionale di Stoccarda: il debito è in discesa, gli interessi sono bassi, c’è Draghi e Roma non ha bisogno di troppi prestiti. Quindi, “il rischio Italia non esiste” intona l’esperto della Lbbw.

E il paese degli spaghetti, dei mandolini, della spesa troppo facile e del debito- trappola che rischia di inghiottire l’euro – come l’establishment tedesco non si è stancato, fino ad oggi, di ripetere a ogni canto di allodola – che fine ha fatto? Che si è fumato il buon Moritz? Niente di illecito, in verità. L’obiettivo della serenata di Moritz è evidente nello stesso articolo: se il rischio Italia non esiste, non c’è motivo di esitare a stringere i cordoni della politica monetaria per affrontare al meglio il mostro dell’inflazione. Lasciare il Tesoro italiano solo sui mercati, mentre i tassi di interesse salgono, non creerà alcuno sconquasso. La Lagarde dunque si sbrighi: aspettare, come da programma annunciato, l’estate per procedere alla stretta può voler dire perdere tempo prezioso e arrivare troppo tardi per frenare la letale corsa dei prezzi.

Ha ragione Laocoonte o Kraemer? Laocoonte, probabilmente. L’Italia è lontana dagli abissi della crisi di dieci anni fa, ma resta fragile ed esposta. Chiudere l’ombrello della Bce è un passaggio delicatissimo e agire con precipitazione può suscitare fantasmi incontrollabili. Oggi più di ieri: Kraemer non la cita mai, ma c’è una guerra dal decorso imprevedibile a Est e tutta Europa si muove su ghiaccio sottile. Del resto, il buon Moritz, a sostegno del suo ottimismo, si aggiusta un po’ dati e analisi come gli conviene. Vediamo.

Kraemer ha ragione su due fattori, che puntellano, in questi mesi difficili, la situazione italiana. Il primo è puramente aritmetico, ma importante. L’inflazione, infatti, ha questo di buono: erode il debito. Il parametro di riferimento è il rapporto tra debito pubblico e il Pil nominale, cioè il Pil reale più l’inflazione. Più alta l’inflazione, più alto il Pil nominale. In questo 2022, conta: con un tasso di sviluppo reale vicino al 3 per cento e una inflazione del 7 per cento, come dicono le previsioni ufficiali, il Pil nominale crescerebbe quasi del 10 per cento. Questo vuol dire che, automaticamente, il rapporto debito/Pil scenderebbe di 15 punti, arrivando sotto il 140 per cento. E’ il risultato di una notizia cattiva (l’inflazione), ma è un ottimo biglietto da visita da presentare ai mercati.

Un altro motivo di ottimismo è la struttura del nostro debito pubblico. Di fatto, l’Italia paga effettivamente rendimenti bassi sui suoi titoli. Mediamente, il 2 per cento. I titoli decennali che arrivano a scadenza in questi mesi risalgolo al 2012, quando i tassi erano assai più alti e possono essere rifinanziati ad un costo assai minore. Quindi, dice Kraemer, non c’è da aspettarsi che il costo del debito italiano schizzi verso l’alto. Tanto più che la vita media di quel debito è di sette anni e che, per i prossimi due anni, i fondi europei del NextGen copriranno una buona quota di investimenti, al ritmo di 17 miliardi l’anno. Non abbiamo dunque troppo bisogno di fare affidamento sui mercati.

Il punto è che tutto questo è, in buona parte, frutto proprio della politica della Bce – che, negli ultimi due anni, ha di fatto rastrellato al completo le nuove emissioni del Tesoro – di cui Kraemer invoca una fine il più rapidamente possibile. E frutto anche di condizioni economiche, internazionali e italiane che si stanno facendo evanescenti.

Kraemer sostiene che l’annuncio, a marzo, da parte di Christine Lagarde, della conclusione, entro l’estate, della politica di moneta facile di Francoforte, ha avuto solo reazioni contenute sui mercati. Si tratta di intendersi: lo spread fra titoli italiani e tedeschi è passato, dall’inizio dell’anno da circa 140 a più di 170. Una crescita appena inferiore al 25 per cento, che si fa fatica a definire marginale. E che non dice tutto della reazione dei mercati, perché anche i rendimenti sui titoli tedeschi, nella nuova atmosfera di guerra e inflazione, sono cresciuti e l’effetto sullo spread è stato, dunque, minore. Se guardiamo ai rendimenti dei Btp decennali italiani, a inizio marzo stavano all’1,5 per cento. Oggi al 2,6 per cento, non un livello di guardia, ma oltre un punto in più, un aumento del 66 per cento, altro che trascurabile. Tanto più che le prospettive si sono rabbuiate. L’Italia non è più un cavallo vincente, come l’anno scorso. La ripresa è quasi esaurita, ci sono ombre di recessione, il costo delle sanzioni alla Russia pesa e crescerà con l’embargo sull’energia. Il grande malato d’Europa non starà più in rianimazione, ma dire che può tranquillamente fare a meno delle medicine sembra azzardato.

La tempesta, insomma, oggi non c’è, ma i meccanismi che la compongono sono già presenti. L’elemento che più di altri potrebbe scatenarla viene, un po’ paradossalmente, evocato dallo stesso Kraemer. E’ il fattore Draghi. Se l’attuale governo italiano cadesse, il rischio Italia tornerebbe in primo piano e procedere con la stretta monetaria, ammette lo stesso banchiere tedesco, diventerebbe “complicato”. Quindi, meglio farla in fretta, prima che caschi Draghi. Se, poi, caduto Draghi, con la stretta in atto e i mercati in subbuglio, la tempesta che investe l’Italia si materializza – parrebbe la conclusione di Kraemer – amen.

Maurizio Ricci

Maurizio Ricci

Giornalista