La recessione delle imprese nell’area euro è proseguita acuta a maggio, ma si è attenuata anche leggermente di più di quanto indicato nelle stime iniziali. I dati definitivi dell’indice Pmi (Purchasing managers index) hanno segnalato una risalita a 31,9 punti, secondo la società che cura l’inchiesta, Ihs Markit, dai 13,6 cui era collassato ad aprile e a fronte dei 30,5 punti indicati nella stima preliminare.
In questa indagine i 50 punti sono la soglia limite sotto la quale l’attività è in calo. L’indice Pmi relativo al solo settore del terziario è risalito a 30,5 punti a maggio, dai 12 di aprile (la stima iniziale aveva indicato 28,7 punti).
L’indice Pmi relativo alle imprese in Italia è risalito a 33,9 punti, mentre il dato sui servizi è risalito a o 28,9 punti dal minimo record di 10,8 punti di aprile. Anche in Italia l’indagine segnala “una sostanziale riduzione dell’attività economica”, il cui attenuarsi riflette l’allentamento delle restrizioni (lockdown) e la lenta riapertura dell’economia.
“Grazie all’inizio della riapertura delle aziende e all’allentamento delle limitazioni, i valori di contrazione hanno cominciato a diminuire”, ha rilevato Lewis Cooper, economista di Ihs Markit che cura l’indagine sull’Italia. “Ciononostante, l’economia italiana continua a navigare in acque estremamente difficili. Le stime preliminari del Pil per il primo trimestre 2020 hanno registrato una contrazione quasi del 5% su base trimestrale ed i dati Pmi del secondo trimestre raccolti finora indicano una nuova considerevole contrazione”.
Guardando a tutta l’eurozona, secondo il capo economista di Markit, Chris Williamson il Pil del secondo trimestre “dovrà indicare un tasso di recessione senza precedenti, unito al più grande aumento della disoccupazione della storia dell’eurozona”.
“Se i numeri del contagio non torneranno ad aumentare, l’allentamento delle misure di contenimento contribuirà senza dubbio a rinvigorire l’economia e l’ottimismo dei prossimi mesi.
Le prospettive sono comunque minate dalla preoccupazione che la domanda resti debole poiché la spesa per consumi delle famiglie è stata colpita dalla forte disoccupazione e la spesa delle aziende si è attenuata. Chi probabilmente subirà il colpo più forte sono i servizi direttamente a contatto con il consumatore – spiega – e fungeranno da freno per l’intera economia”.
“Per questo motivo restiamo cauti in merito alla ripresa. Le nostre stime prevedono che il Pil crolli almeno del 9% nel 2020 e che il ripristino della produzione ai livelli precedenti alla pandemia – conclude Williamson – si dilunghi per alcuni anni”.
E.G.