C’è un buco che si va allargando sempre più rapidamente nell’economia italiana , come degli altri paesi europei, e che rischia di inghiottire previsioni, programmi e progetti. Se preferite un’altra immagine, pensate ad una molla che viene caricata sempre più e, quando alla fine sarà liberata, travolgerà tutto ciò che incontra. Il buco – o la molla – è il divario fra costo della vita e salari, che sta aumentando a velocità vertiginosa. E, probabilmente, insostenibile. Ma questo vuol dire che il rischio di perdere il controllo dell’inflazione è sempre più concreto. Di fatto, ce lo giochiamo nel giro di pochi mesi.
Nel 2021, i prezzi sono mediamente cresciuti, in Europa, dell’1,9 per cento. Nel 2022, la Bce prevede che arrivino al 5,9 per cento. Più o meno, la stessa previsione vale per l’Italia. A febbraio, anzi, l’Ipca, l’indice armonizzato dei prezzi, che viene utilizzato nelle vertenze sindacali, era al 6,2 per cento. Questo choc è ancora dovuto in Europa, almeno per metà, secondo gli economisti di Francoforte, a fattori esogeni. In due parole, al balzo dei prezzi dell’energia: petrolio e, soprattutto, gas. Il prezzo del gas, tuttavia, oltre che sui riscaldamenti, impatta sull’elettricità. Sulle bollette delle famiglie, dunque. Ma aumenta anche i costi delle imprese, che finiranno per trasferirlo sui prezzi.
A questo punto, tutto si gioca sui tempi. Se le tensioni sui mercati di petrolio e metano si placano, la guerra in Ucraina si esaurisce, lo scontro con la Russia svapora, la corsa dei prezzi perderà slancio. E’ la previsione (se non vogliamo definirla scommessa) che fanno alla Bce e negli altri organismi internazionali: l’inflazione perderà velocità nella seconda metà del 2022, per assestarsi, già dall’anno prossimo, intorno al 2 per cento.
Nell’ultimo anno, tuttavia, di previsioni travolte da eventi inaspettati, se non addirittura impensabili, ne abbiamo viste fin troppe per non pensare a scenari assai più pessimisti. Se, prima dell’estate, i prezzi dell’energia non scendono, il trasferimenti dei costi delle imprese sui prezzi al consumo sarà un’ondata. Da fattore esogeno, l’inflazione sarà stata introiettata nel sistema economico. Anzi, potrebbe già essere troppo tardi. Un recente studio della Federal Reserve americana argomenta che, sulla base delle precedenti esperienze, gli attori economici non basano i loro comportamenti sulle aspettative dell’inflazione futura, ma, al contrario, sull’inflazione presente o anche del passato più recente. Questo vorrebbe dire che, qualunque cosa accada nei prossimi mesi, le strategie di prezzo delle imprese verrebbero stabilite in un orizzonte di inflazione al 5 per cento, quello attuale.
Speriamo che alla Fed si sbaglino. In ogni caso, un aumento sostenuto dei prezzi delle imprese si riflette sul costo della vita e non può non sfociare su un prezzo che vale per tutti, quello del lavoro, cioè i salari. Ad oggi, dice la presidente della Bce, Christine Lagarde, questo non è avvenuto e non se ne avvertono (al contrario che oltre Atlantico) i segnali. Anzi, qualche settimana fa, la Lagarde, forse incautamente, si augurava un po’ di risveglio salariale, che darebbe fiato ai consumi e alla ripresa. Ma è difficile che questa calma duri: lo scollamento fra salari e costo della vita è sempre più largo.
In Italia, a livello reale, i salari contrattuali risultano scesi del 4,5 per cento. Ma il fenomeno è europeo. Al netto dell’inflazione, i salari contrattuali in Germania sono calati del 3,8 per cento. In Spagna del 5,3 per cento. In Olanda del 4,7 per cento. Questa vistosa erosione del potere d’acquisto finirà per innescare una risposta salariale. Si materializzerebbe allora l’ingranaggio più temuto dagli economisti: l’inflazione scatena una rincorsa salariale che si traduce in nuovo aumento dei costi, quindi dei prezzi, quindi ancora dei salari, in una spirale perversa, che si alimenta da sola.
Quello che succederebbe a questo punto è abbastanza prevedibile. Già oggi, la maggioranza dei governatori delle banche centrali dell’area euro è spaventato dall’inflazione. Al punto che gli operatori di mercato scommettono su quattro aumenti dei tassi di interesse (per un totale di un punto percentuale) già nell’arco di quest’anno. Una spirale prezzi-salari inasprirebbe ulteriormente la politica monetaria, strangolando quel po’ di ripresa su cui ancora possiamo contare. E lo spettro della stagflazione – ristagno più inflazione – si farebbe concreto.
Maurizio Ricci