“La nottola della filosofia si alza al calar delle tenebre” (F. Hegel).
Mi scuso per la citazione del filosofo, ma come molti sanno, Hegel intendeva, con questa affermazione, esplicitare che la piena comprensione dei fenomeni sociali si realizza soltanto quando questi hanno già terminato di dispiegare completamente i loro effetti.
Probabilmente questo vale anche per il tema affrontato nel libro di Annalisa Magone e Tatiana Mazali “Il lavoro che serve”.
Tuttavia le questioni connesse al lavoro che cambia, alle sue intrinseche trasformazioni, devono trovare una collocazione centrale nella riflessione di coloro, forse pochi, che ancora pensano alla centralità del lavoro e alla sua evoluzione quale paradigma fondamentale da cui partire per capire le profonde e radicali trasformazioni in atto nella società, all’alba del nuovo millennio.
Il libro non è una ennesima “narrazione” sul lavoro, è invece l’avvio di una riflessione, tutt’altro che semplice e tutt’altro che scontata, sui cambiamenti che stanno modificando profondamente la struttura sociale, non solo italiana ed europea.
Cambiamenti che probabilmente definiranno nuovi equilibri economici e nuovi protagonismi sociali.
Tralasciando, volutamente, ogni discussione sul lavoro che manca, questione di questi tempi affrontata, mi si permetta, guardando unicamente “ai bei tempi andati”, Il libro si concentra sul lavoro che c’è e soprattutto che ci sarà.
Quel lavoro che anticipa le trasformazioni dei rapporti materiali tra tutti i soggetti in campo sia quelli individuali sia quelli collettivi.
Il primo capitolo del libro parla di “Persone”. Ho trovato questo approccio straordinario, ritengo che parlare di lavoro senza parlare dei protagonisti della sua trasformazione sia, non solo sbagliato, ma soprattutto pericolosamente fuorviante per qualunque riflessione si voglia svolgere su questi temi.
Il lavoro non esiste senza le persone che lo organizzano che lo avviano e che concretamente lo realizzano.
Sono le persone che fanno la differenza, ancor di più in un modello di “ Industry 4.0” laddove, e il libro lo mette in risalto molto bene, le nuove competenze delle risorse impiegate e la loro capacità di gestire “big data” segnano il salto antropologico e il vero superamento della “organizzazione scientifica del lavoro” di matrice fordista.
Il libro illustra molto bene i soggetti protagonisti di un modello contraddistinto da Piccole Medie Imprese e “multinazionali tascabili” che stanno affrontando la sfida competitiva della globalizzazione, senza vittimismo, ma anzi con la consapevolezza che si possono aprire, sul mercato ormai globale, nuove opportunità, purché si sappia coniugare innovazione tecnologica e sviluppo delle competenze (la via italiana).
Questa integrazione tra tecnologia e competenze richiede un nuovo linguaggio, una nuova “grammatica digitale” perché appunto le potenzialità intrinseche nello sviluppo del software consente, non solo la gestione di “big data”, ricavati da ogni postazione lavorativa, ma anche e soprattutto, la relazione tra questi e la nuova capacità di “lettura” affidata ai singoli operatori.
Nell’organizzazione fordista esisteva una cesura tra “organizzazione formale della produzione “e “organizzazione reale dell’attività produttiva”. Di questa secondo aspetto ne era esclusivo depositario l’operatore e raramente queste informazioni “salivano” verso la progettazione dei processi produttivi.
Industry 4.0 rovescia questo paradigma. La gestione dei dati deve salire e ritornare “al punto del fare” al soggetto, l’operatore appunto, che ha responsabilità di presidiare non solo quell’aspetto del ciclo produttivo ma, in via potenziale, l’intero ciclo.
Non si tratta più di un soggetto individuale ma progressivamente di un soggetto collettivo che “gestisce” la produzione.
Senza “team” non c’è Industry 4.0.
Se cambia la “grammatica digitale” cambia di conseguenza “la grammatica del lavoro”.
Complementarietà, ibridazione, convergenza sono solo alcuni degli aspetti che contraddistinguono …il lavoro che serve!
Infine il libro si chiude con l’ascolto di “Voci “ diverse e non ha la pretesa di spiegare tutto ma, con una umiltà di questi tempi davvero rara, cerca di dare voce a coloro, imprenditori e sindacalisti, che quotidianamente devono fare i conti col “nuovo” che avanza, guardando a chi già ha intrapreso senza indugio questa strada: la Germania, e a chi, come la Cina, intende percorrerla con “criteri che si allungano nel tempo” (Progetto CM 2025) senza arrendersi, ma anzi volendo giocare fino in fondo questa partita.
Certamente le autrici non hanno la pretesa di dare tutte le risposte, credo abbiano però il merito di contribuire a stimolare un dibattito e una riflessione, il più vicino possibile “al punto del fare”, necessaria non solo per cercare di comprendere la realtà ma, come diceva un filosofo, successivo discepolo di F. Hegel, per “contribuire a cambiarla”
Luigi Marelli