Era una situazione di nicchia. Pochi fortunati, in grado di autogestire il proprio lavoro, da un lato e, dall’altro (ben lontano) una truppa assai più nutrita, ma pur sempre contenuta, di disperati costretti a servirsene, perché nessuno è disposto a dar loro un regolare contratto di lavoro, posto in ufficio compreso. Il coronavirus lo ha reso una scelta obbligata, di massa, disponibile anche su richiesta del singolo dipendente. E quella che era una ipotesi, fumosa, astratta, distrattamente evocata nelle chiacchiere in corridoio, in ufficio, o vagheggiata nei lunghi ritorni, pigiati in metropolitana, si incontra con la realtà della tecnologia che, ancora una volta, ci ha preceduto.
Lavorare da casa è possibile. Ma è anche meglio? O, per guardare lontano: il telelavoro per forza è un episodio bizzarro, cui ripensare in futuro con divertita nostalgia, come le domeniche a piedi di quarant’anni fa, ai tempi dell’austerità da petrolio? O è l’avvio di una svolta, destinata a sconvolgere le routine quotidiane di milioni e milioni di persone, nel giro, probabilmente, di pochi anni? Invece di scaraventarci ogni mattina in strada o nel bus, lavoreremo da casa o, magari, in appositi locali nel condominio, accanto non ai colleghi, ma a qualche coinquilino?
Alle aziende, per un verso, conviene (meno investimenti negli uffici), per un verso no (meno controlli sui dipendenti). Per i lavoratori, il rischio è vedere il loro contratto trasformato in qualche forma di cottimo. Ma, insidie contrattuali a parte, come gestire questo paradossale sradicamento?
Esiste un primo fondamentale spartiacque. Se lavorare da casa significa operare da un appartamento due stanze-bagno-cucina, con due figli piccoli, il cane e un coniuge ugualmente impegnato nel telelavoro, il percorso appare impraticabile o, nel caso, un inferno domestico. Se, tuttavia, la logistica è più propizia – o perché la casa è grande, o perché meno densamente abitata – c’è una seconda cruciale distinzione.
Il vostro lavoro vi piace, vi entusiasma, vi appassiona? Allora, non ci sono problemi. Potere decidere di fare ciò che dovete alle 6 del mattino o dopo cena, in mutande, tenendo d’occhio la pentola dei fagioli, almanaccando sul da farsi mentre siete al parco con il cane. Ma se il lavoro, per soddisfacente che sia, è soprattutto un modo di portare a casa lo stipendio a fine mese e uscite sempre dall’ufficio con un sospiro di sollievo, è bene seguire alcune regole, suggeriscono le aziende specializzate nel smartworking, come, ad esempio, Methodos.
1 – Datevi un orario. Non necessariamente quello dell’ufficio, ma comunque, un periodo – o più periodi – di tempo espressamente e tassativamente dedicati al lavoro. Se ci sono bambini in giro, la coincidenza con gli orari di scuola sembra un’ovvia soluzione.
2 – Vestitevi. Non necessariamente in giacca e cravatta o in tailleur, ma sbrigare pratiche in pigiama e pantofole richiede una concentrazione psicologicamente più faticosa di quanto pensate
3 – Il gatto in grembo va bene. Il cane deve capire che gli orari della passeggiata non sono cambiati.
4 – Allestitevi una postazione che assomigli ad un ufficio. Una scrivania o un tavolo espressamente dedicati al lavoro, sui quali ci siano solo cose di lavoro, ordinate come in ufficio.
5 – Prendete delle pause che, fisicamente, vi allontanino da quel tavolo, per dare un ritmo normale al lavoro
6 – In ufficio ve le potete permettere, perché il richiamo al lavoro comunque arriva. A casa, no. Quindi, staccate Facebook e Twitter.
Anche se un po’ vi può far piacere, l’isolamento non vi rende automaticamente più produttivi. In un lavoro che richiede un minimo di iniziativa e di coordinamento, il contatto e lo scambio con i colleghi è un carburante fondamentale di idee e motivazioni. Parlarsi, ma anche solo vedersi è cruciale per restare ancorati al ritmo abituale del lavoro. La tecnologia mette a portata di mano tutto quello che serve per le videoconferenze. L’hardware – telecamera compresa – è nel computer e basta un programmino.
Ma, dicono gli esperti, una riunione via pc è più complicata del consueto faccia a faccia.
1 – Datevi dieci minuti, prima dell’orario ufficiale di convocazione, per controllare che tutto funzioni, che tutti siano ben collegati e che sappiano cosa fare.
2 – Parlate uno alla volta e con un volume di voce un po’ più basso del solito. Se ognuno dice il proprio nome quando inizia a parlare, può aiutare a scandire la conversazione.
Maurizio Ricci