di Valeria Fedeli segretaria generale Filtea Cgil
La sfida dell’innovazione è il terreno su cui devono, oggi, confrontarsi tutti coloro che hanno a cuore un futuro stabile – una stabilità non solo conservativa – del mondo del lavoro. Governo, Confindustria, sindacati, tutte devono accettare tale sfida e porla come terreno comune di confronto, senza conflittualità pregiudiziali, senza adeguarsi alle consuetudini cui siamo abituati ma che non rispondono alle esigenze del presente, tanto più in una fase di crisi come quella attuale.
Non c’è dubbio che è al presente che vanno declinate risposte e soluzioni, strumenti di tutela, ammortizzatori sociali, battaglie per l’allargamento dei diritti.
Troppo spesso così non accade, troppo spesso il confronto diventa scontro ideologico, costruito e vissuto come se ciascuno avesse una posizione di forza, stabile, efficace, da difendere.
Non è così. Il mondo del lavoro, la vita quotidiana dei lavoratori affronta uno scenario di mutamento che, accentuato dalla crisi economica, provoca un senso diffuso di paura, precarietà (non solo contrattuale), chiusura difensiva.
Ma nel tempo del cambiamento, nella società in perenne e rapida trasformazione, le risposte difensive non servono, non portano da nessuna parte, si limitano a rinviare i problemi.
Abbiamo – penso non solo al sindacato confederale – ma anche all’insieme delle regole a tutela del lavoro, al valore che il lavoro ha nella carta costituzionale e nella storia repubblicana – una storia ricca e profonda, fatta di cultura, di battaglie, di regole, di valori. Ma oggi rischiano di non rispondere più alle difficoltà che vivono i lavoratori ogni giorno sulla propria pelle. Chiariamoci: non sono i valori a non valere più, ma gli strumenti per attualizzarli, per renderli aiuto e opportunità, per includere chi non ha diritti e pari opportunità. Per riunificare i lavoratori, divisi dalle trasformazioni industriali, dalle filiere produttive e commerciali, dal sommerso e dalle diseguaglianze. Per promuovere politiche contrattuali che includano tutti i lavoratori che con varie professionalità e tipologie di lavoro, contribuiscono a creare ricchezza.
Occorre che il dibattito si concentri su come governare questa inedita e strutturale crisi globale. Serve evitare faziose contrapposizioni tra conservatori – spesso immaginati come pura difesa dell’esistente – e non conservatori – spesso semplici smantellatori delle regole esistenti – ma che si apra un confronto positivo sul come capire e guidare le trasformazioni e orientare l’uscita dalla crisi.
È in questa direzione che è andato, per fare un esempio che mi è vicino, il lavoro di questi anni, condiviso da tutte le parti in causa, del sistema moda. E i risultati, anche in uno dei settori più esposti alle crisi internazionali, li abbiamo visti.
Anche la riforma della contrattazione, allora, deve essere inserita in questo quadro: come riformare, quali risposte fornire, come aggiornare gli strumenti senza far perdere diritti, ma anzi allargandoli, a partire dal ruolo centrale e universale del contratto collettivo nazionale da armonizzare e rendere base generale del contratto europeo, e dall’allargamento e qualificazione, quantitativa e qualitativa della contrattazione aziendale, di filiera, di territorio.
Il merito delle cose
Il modo migliore per impostare un dialogo costruttivo per governare il cambiamento è partire dal e stare sul merito delle questioni.
È quello che troppo sovente non accade, preferendosi la via dello scontro e concorrenza tra organizzazioni, gestito con paraocchi di parte, attento ad individuare nemici – o a tratteggiare così le controparti – più che a individuare punti di contratto, di confronto, ad individuare come migliorare le situazioni di difficoltà presenti e potenziali.
È un gioco pericoloso, quello dello scontro pregiudiziale, aiutato anche da logiche mediatiche interessate più al game competitivo che alla corretta informazione. Un gioco pericoloso e a scapito dei lavoratori, dei cittadini, delle persone.
Mi domando, ad esempio, quanti abbiano chiari i motivi della divisione sulla riforma contrattuale, constato quanto poco dibattito pubblico, al di fuori dal circolo e dai linguaggi degli esperti, ci sia stato prima della conclusione dell’accordo delle non regole condivise dalla CGIL? Cioè di una riforma non attuabile?
Chi ha capito perché le richieste della Cgil sono state bocciate, chi ha capito le vere differenze di impostazioni? Perché tanto clamore dopo l’accordo e per la mancata firma – clamore, intendiamoci, giustificato perché si tratta di una rottura storica, sulle regole, grave – e così poco spazio, prima e durante la discussione, sul merito delle proposte, sulle ricadute effettive?
Perché tanta assenza di trasparenza, di largo coinvolgimento, di discussione pubblica e mediatica all’altezza delle scelte e delle ricadute profonde in campo?
Ed è sul merito che, non solo dopo le negative divisioni e le rotture, va impostato il confronto, con una sfida che ci piacerebbe fosse un continuo rilancio riformista, non a parole ma nei fatti, con proposte migliorative, è questo il senso del riformismo, e non di cambiamenti quali che siano, spesso e volentieri nell’interesse sempre e solo di qualcuno.
Consultare i lavoratori per ricostruire la rappresentanza e la democrazia.
Proprio a partire dalla chiarezza del merito delle posizioni assume senso la proposta di consultare direttamente i lavoratori in merito all’accordo. È una proposta consapevole delle condizioni anomale in cui si presenta. Siamo abituati a consultazioni dei lavoratori comuni, da parte dei sindacati confederali, su accordi firmati unitariamente, con uno sforzo comune informativo e organizzativo.
Ma possiamo mai avere paura di allargare ai lavoratori un confronto di merito? Qui non si tratta di una gara a chi vince tra sigle sindacali, rappresentanze imprenditoriali e governo. Si tratta di regolare le condizioni di esercizio dei diritti dei lavoratori. Chi ha paura dei lavoratori?
Certo, l’anomalia di cui sopra richiede che la consultazione avvenga con attenzione, regole, correttezza. Ma è la storia delle anomalie: come spesso accade ciò che appare anomalo è solo nuovo, e se regolato si scopre che non è da temere, ma anzi può essere fonte di arricchimento.
Siamo, Cgil Cisl e Uil, sicuri della nostra capacità democratica tanto da metterci in gioco, confrontarci, rimettere la parola alla fonte ultima della nostra rappresentanza?
Beh se non lo siamo prendiamo atto che la crisi del sindacato è più grave di quanto ciascuno di noi non abbia fino ad ora ammesso. Se invece riteniamo di essere ancora soggetti sani, forti e utili, allora non ci è permesso di avere paura dei lavoratori, non ci è permesso che le nostre divisioni siano pagate da chi rappresentiamo.
Si discuta, allora, ancora una volta, del come ascoltare i lavoratori, non ci si chiuda nel muro contro muro del si o no. Si prepari ciascuno a rendere chiare le proprie ragioni, a confrontarsi sul merito. Sapendo che sono posizioni di merito a vincere o perdere, non persone o sigle. Sarà poi responsabilità di chi non raggiunge la maggioranza dei consensi, adeguarsi alle decisioni dei lavoratori.
Come organizzazione si può mantenere l’opinione originaria, ci mancherebbe: ma stiamo parlando dell’esercizio e dei contenuti delle regole della contrattazione, delle relazioni industriali, dei contratti collettivi di lavoro nazionali e aziendali, a cui la validazione democratica dei soggetti destinatari delle intese, è fonte di efficacia oltre che diritto dei lavoratori.
Merito delle questioni e centralità dei lavoratori: da questo non possiamo uscire.
Unità del mondo del lavoro.
Certo, inutile nascondersi la rottura, questa volta, è più significativa. Il merito in questione non è circoscritto e tematico, ma attiene all’insieme del sistema di regole. E non riguarda solamente l’atteggiamento di un governo che ama, irresponsabilmente, provocare divisioni, ma arriva a minare le basi dell’unità sindacale, dell’unità del mondo del lavoro.
Certo, lo sappiamo bene, l’unità non è scontata né facile, costa volontà, fatica, mediazione. Ma rende più forti i lavoratori, rende più giusto, come nel caso dell’accordo sulle regole, l’intero sistema.
E poi, non vorremmo che anche l’unità sindacale, invocata sempre e da tutti, fosse solo un oggetto di propaganda, quando è invece un’opportunità, se non una necessità per restituire valore e forza al lavoro.
La consultazione dei lavoratori, allora, se gestita con responsabilità e senza guerre, può davvero essere il campo dove si ridefinisce un percorso di unità, ripeto intorno al merito delle questioni e con la consapevolezza condivisa delle sfide che abbiamo di fronte.
Non credo utile a nessuno nascondersi che il sindacato confederale in Italia, oggi, vive una fase critica. A causa dei cambiamenti sociali che di pongono di fronte ad un mondo del lavoro differenziato e frammentato per esperienze e senso di identità. A causa del contesto straordinariamente nuovo che ci presenta la globalizzazione e la crisi del modello di sviluppo neo-liberista, del nuovo assetto che il mondo va assumendo. A causa di una precarietà che accomuna contrattisti a progetto, giovani ricercatori, operatori di call center, operai a tempo indeterminato ma ormai tutti esposti alla crisi. A causa della lentezza con cui i politici hanno saputo aggiornarsi, capire il cambiamento, adeguare le risposte.
La sfida è quindi una sfida sull’innovazione, sul merito, dalla parte del lavoro e dei lavoratori e, in particolare, dalla parte delle donne e dei giovani. Ed è una sfida che dovremmo trovare il coraggio, Cgil Cisl e Uil, di riprendere ad affrontare insieme.