È una realtà in chiaro scuro quella che emerge dal XXIV Rapporto dell’Inapp sulla formazione continua presentato a Roma. Da un lato il documento sottolinea una crescita della partecipazione formativa nel nostro paese, benché ancora al di sotto della media europea. Nel 2023 il tasso di partecipazione ha toccato ll’11,6%, superando per la prima volta la soglia dei dieci punti percentuali e segnando un incremento del +4% rispetto al 2020 e di due punti sull’anno precedente, portando l’Italia dal 18esimo al 14esimo posto del ranking europeo.
Nel rapporto si registra anche un crescente dinamismo dei 19 fondi interprofessionali che, sempre nel 2023, hanno promosso oltre 53mila piani formativi raggiungendo oltre 96mila aziende e quasi 2 milioni di lavoratori, poco meno del 20% degli addetti del privato.
Permangono criticità e ostacoli che impediscono un accesso alla formazione in modo universale e diffuso. Il genere, l’età, il tipo di azienda per la quale si lavora, la collocazione geografica e la condizione sociale sono fattori che limitano una piena partecipazione formativa.
Se il tasso degli occupati che si formano è al 13%, vicino al dato della media europea al 13,6%, maggiori distanze emergono per i disoccupati, dove la formazione interessa il 7% contro il doppio della media del continente. Un ulteriore problema, che può benissimo essere definito un paradosso formativo, è che i soggetti più vulnerabili, ossia coloro che hanno competenze basse e che tendono con maggiore rapidità all’obsolescenza, sono i meno attivi nella formazione. Solo il 34,6% degli adulti con basso livello di istruzione è impegnato in percorsi di apprendimento contro il 66,5% di chi possiede un’alta qualifica. Se poi analizziamo unicamente gli occupati, il coinvolgimento di coloro che hanno elevate competenze è al 21,5% contro il 5% di quelli con low skills.
A incidere anche il genera e l’età. Tra gli occupati le donne partecipano più degli uomini alla formazione, 14,7% rispetto all’11,6%, mentre più si sale di età più cala la propensione a formarsi. Infatti le percentuali più alte si ritrovano nella fascia 24-34 anni, e sono sempre le donne ad essere le più motivate, 18,3%, rispetto al 13,7% dei loro colleghi uomini.
Come detto anche la tipologia e la dimensione dell’azienda incidono sull’accesso alla formazione. Nel complesso il 68% delle nostre imprese eroga formazione continua. Una percentuale che ci pone al 10° posto in Europa, leggermente al di sopra della media, ma molto lontano da paesi come Norvegia o Svezia. Le grandi hanno maggiore capacità di sopperire ai bisogni formativi e al reperimento delle competenze necessarie attraverso le accademy interne. Lo stesso non si può dire per le medie e le piccole, che sono oltre il 96% del nostro tessuto produttivo. Qui il ruolo della contrattazione decentrata e dei fondi professionali diventano centrali. Nel rapporto si legge, inoltre, come solo il 5,3% delle aziende ponga attenzione al passaggio di competenze e conoscenze tra generazioni diverse, mentre l’80% non riscontra un particolare interesse su questo tema, sempre più cruciale, invece, a causa dell’inverno demografico e l’allungamento della vita lavorativa.
Accanto a questi elementi restano anche criticità legate alla governance. In Italia i livelli di gestione sono sostanzialmente due: il primo, di carattere nazionale, che fa capo al ministero del Lavoro, e il secondo gestito dalla regioni. Quello che molto spesso si verifica è una sovrapposizione dei due livelli, come avviene durante le crisi aziendali, e questo non solo genera il fatto che un livello fagocita l’altro ma, soprattutto, una dispersione delle risorse o un loro uso non razionale ed efficiente.
I rappresentanti di lavoratori e imprese, intervenuti nel corso della presentazione, concordano sul fatto che occorra un sistema sinergico tra i vari attori, come ha detto Guido Lazzerelli, Direttore Centrale Politiche del Lavoro e Welfare Confcommercio. Da Confindustria Alfonso Balsamo, Adviser Education, ha sottolineato l’importanza degli ITS, capaci di unire mondo della scuola e del lavoro e possibili attori anche per la formazione continua. Da parte sindacale la segretaria confederale della Cgil, Maria Grazia Gabrielli, si è posta il tema di una formazione di qualità e che sia sempre quella giusta per le necessità di lavoratori e aziende. Il segretario confederale della Cisl, Mattia Pirulli, ha posto nuovamente l’accento sull’accesso alla formazione per le piccole realtà produttive e di come una loro aggregazioni possa essere una leva per vincere la sfida della formazione. Infine il responsabile della bilateralità della Uil, Paolo Carcassi, ha elogiato la capacità dei fondi professionali di offrire piani fatti a misura per le aziende perché concordati con il sindacato, ma ha posto l’attenzione anche sul fatto che ai fondi si chiede l’erogazione di nuovi compiti senza un adeguato aggiornamento delle risorse per sostenerli.
Tommaso Nutarelli