La ricorrenza dei cinquant`anni dalla scomparsa di Giulio Pastore, fondatore della Cisl, “non è un semplice momento rituale, ma l`occasione per riflettere sull`oggi attraverso il suo lascito e la straordinaria modernità che lo caratterizza, con riferimento ai valori etici e ai fini”. Così la leader della Cisl, Annamaria Furlan, che ha ringraziato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che “ci ha voluto onorare di questa attenzione istituzionale, con la consueta sensibilità personale”.
Furlan ha ricordato che Pastore “posizionò da subito la Cisl nella prospettiva europeista. La Cisl appena nata scelse, in solitudine fra le grandi rappresentanze sociali, di essere parte integrante di questo grandioso processo storico al punto da incorporare l’unità economica e politica dell’Europa nei suoi valori, nei suoi principi identitari e nella sua missione. Non si trattava di un ideale astratto, ma di un riferimento programmatico fondato sia sulla consapevolezza del ritardo dell’economia e della società italiana ereditata dal fascismo che sulla consapevolezza della necessità di scommettere su un grande progetto di sviluppo industriale del Paese, condizione necessaria per il passaggio alla modernità delle relazioni sociali. Ora, come allora, il pensiero inclusivo di Pastore ispira la nostra passione, orienta il nostro impegno, legittima la nostra speranza”.
Pastore si spinse in profondità “indicando il modello di sviluppo di cui l`Italia, allora prevalentemente agricola e semianalfabeta, aveva bisogno nella ricostruzione post bellica.
Il futuro del lavoro e per il Paese sarebbe stato nello sviluppo manifatturiero, come poi confermò il boom economico degli anni ’50 – ha affermato il numero uno della Cisl – ricordo l`elaborazione innovativa sulla crescita della produttività nelle imprese, sull`equa ripartizione dei guadagni di produttività, sulla negoziazione aziendale: un disegno che si sarebbe compiutamente realizzato quarant`anni dopo con l`accordo concertativo del luglio 1993. In un`epoca come la nostra d`instabilità, di grandi trasformazioni incombenti e di frequente improvvisazione, quella compiuta capacità progettuale ha ancora molto da insegnarci. L`idea che non si potesse progettare un`Italia industriale senza un modello di democrazia industriale che la sostenesse nel lungo periodo attraverso: il protagonismo del lavoro, il ruolo negoziale delle sue rappresentanze sindacali, la partecipazione equa e diretta del lavoro ai benefici dello sviluppo, ci dice ora come allora l`importanza di avere un`idea di Paese, della necessità di promuovere coesione e cooperazione anziché divisione, separazione, isolamento”.
Anche nell`idea progettuale di Pastore “non erano concepibili i due tempi: prima lo sviluppo, poi la partecipazione del lavoro.
Per riuscire, un modello sistemico doveva nascere integrato e compiuto nell`impostazione, poi si sarebbe realizzato pragmaticamente in modo progressivo, iniziando dalle situazioni più avanzate, sino alla sua generalizzazione. Nell`oggi – ha aggiunto Furlan – questa lezione straordinariamente attuale richiama i decisori pubblici alla responsabilità richiesta: dalla complessità della fase, dalle interrelazioni nazionali e globali che la caratterizzano, dagli evidenti ritardi che imprigionano le potenzialità italiane e dalle troppe povertà e ingiustizie che prosperano all`ombra del deprezzamento subito dal lavoro e dalle distanze crescenti tra generazioni, aree del Paese e generi”.
Le variabili che guidano il cambiamento tecnologico in atto e con esso la ridefinizione degli equilibri internazionali “non consentono investimenti timidi nell`innovazione e ricerca, nell`occupabilità delle persone e nella formazione, nella valorizzazione del lavoro e delle condizioni di sicurezza, nell`ammodernamento del nostro sistema infrastrutturale e nel ridisegno di un sistema fiscale più equo – ha proseguito – occorre un progetto paese da condividere, definito nell`approdo e programmato nella realizzazione. Possiamo graduare lo sviluppo degli obiettivi, non la loro pianificazione”.
Sul Mezzogiorno, il fondatore della Cisl “era convinto della necessità di un intervento strutturale di lungo periodo che coinvolgesse la dimensione culturale, il protagonismo sociale, il decentramento di poteri e conseguentemente realizzò un piano d’intervento coordinato tra ministero per il Mezzogiorno e quello della Pubblica istruzione.
Quindi – ha sottolineato Furlan – sempre nell’ottica di una visione d`insieme e prospettica, promosse una forte spinta agli insediamenti industriali e alla buona amministrazione, ma allo stesso tempo anche un grande investimento culturale per creare il contesto favorevole ad una nuova stagione di diritti e di eguaglianza di opportunità, che soppiantassero il sistema di relazioni ancestrali radicatosi. Il Mezzogiorno d`Italia continua a rappresentare, pur nel mutato contesto interno e nel nuovo scenario geo-politico internazionale, un giacimento di opportunità e una potenziale leva di sviluppo non eludibile.
Il nostro futuro sarà in Europa o non sarà. Il futuro dell`Italia sarà per tutti, da Sud a Nord, o non sarà. E l`impegno della Cisl non è cambiato. Nella nostra agenda delle priorità, come abbiamo ripetuto anche recentemente all`attuale Governo, ci sono gli investimenti per il Sud che deve essere riagganciato strutturalmente al resto del Paese per colmare un ritardo divenuto insopportabile”.
Il segretario generale della Cisl ha infine ricordato altri due aspetti della figura di Pastore: “Il concetto di democrazia a lui molto caro e per la Cisl costitutivo e la questione relativa al modello di sviluppo. La democrazia rappresentativa se non trova il suo radicamento popolare, se si riduce al voto pur importante, diventa sempre più vuota e formale perché non entra nella concretezza della vita delle persone. Il lavoro in senso estensivo e i lavoratori che si organizzano in libera associazione sindacale colmano questa distanza partecipando alla vita pubblica, contrattando con le imprese, contribuendo con i governi alla costruzione del bene comune e quindi entrando a pieno titolo nello Stato. Nell`assoluto rispetto dei ruoli costituzionali, la democrazia rappresentativa può così evolvere nella democrazia partecipativa saldando in un unicum le forze vitali del Paese. Anche in questo caso entra con straordinaria attualità nel dibattito in corso sui limiti della democrazia rappresentativa e sulle presunte alternative per superarli: dalla democrazia diretta alla democrazia populista. La prima, poco più di un simulacro circoscritto alla consultazione di poche migliaia di persone e con procedure prive di sicurezza; la seconda, una riduzione della democrazia al rapporto carismatico, diretto ed esclusivo fra il leader, individuale o collettivo, e il popolo, esito di un processo di disintermediazione sociale che agisce attraverso semplificazioni e rappresentazioni verosimili originate dal termometro degli umori contingenti”.
TN