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Home - Rubriche - Poveri e ricchi - La commedia degli equivoci chiamata Mes

La commedia degli equivoci chiamata Mes

di Maurizio Ricci
19 Dicembre 2022
in Poveri e ricchi, Analisi
La commedia degli equivoci chiamata Mes

Non è una telenovela, se non nel senso che è interminabile e che le puntate si assomigliano tutte. Più propriamente è una commedia degli equivoci, in cui si litiga su cose che non ci sono più o su pretesti sempre più evanescenti, si fa finta di non capire cosa dice l’altro e tutti sono prigionieri di un copione scritto troppo tempo fa.

Il soggetto, naturalmente, è il Mes, il Meccanismo europeo di solidarietà, che l’Italia è l’unico paese a non aver ancora ratificato, con il rischio di inimicarsi tutti gli altri, rinfocolando diffidenze appena sopite e l’altro rischio, ancora più minaccioso, di trovarsi allo scoperto, senza uno strumento di sostegno che, in questi tempi cupi, potrebbe risultare cruciale.

Il Mes evoca la troika (Fmi, Bce, Ue) che, nel 2012, impose tagli e riforme lacrime e sangue a Grecia, Portogallo, Spagna, in cambio di interventi necessari per tamponare crisi finanziarie. È stato il crogiuolo delle politiche di austerità e l’incubo di dover ricorrere al patrocinio della troika ha a lungo inseguito i politici italiani.

È in nome di questo incubo che, quando l’Europa ha pensato di sistematizzare questa forma di intervento, mezza classe politica italiana si è rivoltata, invocando la sovranità nazionale e rifiutandosi di riconoscere, per faciloneria propagandistica, quanto il nuovo Mes ingentilisse il ruolo della famigerata troika. Con il risultato di far finta di non accorgersi, anzitutto, di due regali graditi all’Italia, che ci sono nella scatola di questo nuovo Mes.

Il primo – che è già stato chiamato Mes 2 – sono i fondi da utilizzare, senza alcuna precondizione, per la sanità, a tassi di interesse (con l’aria che tira) di favore e che, con l’avaro bilancio in discussione in Parlamento, farebbero molto comodo. Il secondo regalo è un Fondo – alimentato non dai contribuenti ma dalle stesse banche – in grado di intervenire nelle crisi di singoli istituti di credito (e quelli traballanti in Italia, dal Montepaschi in giù, non mancano) costruendo una rete di sicurezza che può anche favorire gli investimenti esteri nel nostro paese.

Ma la troika? Il cuore del nuovo Mes sono, in effetti, gli interventi in caso di crisi finanziaria, quando i titoli pubblici affondano sui mercati e lo spread impazzisce. E la prima novità è che cambia la troika: accanto a Bce e Commissione Ue esce il Fmi ed entra appunto il Mes, un organismo – a differenza della Commissione – emanazione dei governi, che così, come ha sempre chiesto Berlino, arrivano ad avere voce diretta nella gestione delle crisi. E, dunque, un paese travolto dalla crisi finanziaria potrà chiedere il sostegno comunitario, concordando un programma di interventi. Questo programma può anche comprendere una ristrutturazione del debito, ovvero un taglio delle obbligazioni verso gli investitori che detengono i titoli del debito pubblico. È la mezza bancarotta, quella che ha a lungo gravato sulla Grecia. Ma il programma può, non deve necessariamente, comprendere questa mezza bancarotta. A decidere se il debito, invece, è sostenibile e può essere ripagato con il sostegno europeo e senza gravare sugli investitori è, però, la Commissione, un organo politico, indipendente dai governi. Non il Mes, diretta emanazione di quei governi, cui spetta solo stabilire tempi e modi con cui verranno ripagati i prestiti Ue al governo in difficoltà. E, peraltro, sulle decisioni dello stesso Mes – da assumere a maggioranza qualificata – un paese grande come l’Italia ha diritto di veto.

Insomma, l’assalto alla sovranità nazionale è sostanzialmente disinnescato. E, così, l’opposizione di principio, in Italia, si è concentrata su un dettaglio: la velocità e la semplicità con cui, una volta eventualmente deciso di ricorrere allo strumento estremo della bancarotta concordata, questa diventi operativa. Una opposizione strumentale, tesa a fermare tutta la riforma, ma vanificata dal fatto che, nel frattempo, gli altri 26 paesi europei il nuovo Mes l’hanno ratificato e modificare il trattato non si può più.

Che succederà ora? Il governo vuole buttare la palla ai partiti, rinviando la partita in Parlamento, ma questo rende, in realtà, le cose ancora più complicate, perché è in Parlamento che la commedia degli equivoci viene allo scoperto.

Meloni e Salvini sono sempre stati contro il Mes, gridando al sopruso tedesco nei confronti dell’Italia, ma ora hanno la preoccupazione di non indispettire Bruxelles e le altre capitali. Viceversa, Forza Italia è sempre stata favorevole al Mes, ma ora rischia di spaccare la maggioranza, nel voto del Parlamento.

Dall’altra parte, Pd e Terzo polo sono sempre stati per il Mes, ma i problemi sono tutti dei 5Stelle. Quando il nuovo Mes fu discusso, nel 2019, i 5Stelle di schierarono con la Lega, contro le presunte violazioni alla sovranità italiana. Ma il loro leader attuale, Giuseppe Conte, all’epoca presidente del Consiglio, era favorevole.

Il problema è che ora non è più possibile a nessuno nascondersi o parlar d’altro. Nè vale invocare il fatto che un altro strumento di intervento è stato appena varato dalla Bce: il Tpi (Transmission Protection Instrument) che, al di là del nome complicato, è un altro strumento di sostegno delle finanze di un singolo Stato. Come ha fatto capire, infatti, Christine Lagarde, invitando esplicitamente l’Italia a ratificare il Mes, i due strumenti non sono alternativi, ma complementari e si può escludere che Francoforte decida di intervenire senza la sponda consenziente di Bruxelles. Per uscire dalla trappola in cui sono finite, il grosso della maggioranza e una buona fetta dell’opposizione devono, insomma, fare un esercizio di umiltà.

Maurizio Ricci

Maurizio Ricci

Maurizio Ricci

Giornalista

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