La proposta di legge quadro sulla quale sta lavorando la Commissione Cultura della Camera è certamente un importante contributo per giungere a una regolamentazione del settore dello Spettacolo dal vivo che, dalla nascita della nostra Repubblica, non è mai stato dotato di una normativa di legge.
L’Associazione per il Teatro Italiano, che riunisce artisti, operatori e tecnici, ha compiuto un’analisi di tale proposta, ma, aldilà di una lunga serie di notazioni specifiche, ha scelto di concentrare la propria attenzione sui due primi articoli intitolati Finalità e Oggetto e princìpi fondamentali.
Questi due articoli, infatti, rivestono una particolare importanza e costituiscono la base e l’ossatura della seguente articolazione.
Nell’art.1 viene citata la Convenzione dell’Unesco per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, approvata da 148 Paesi e resa esecutiva dalla legge italiana del 27 settembre 2007.
Partendo dalla convinzione che “… le attività, i beni e i servizi culturali hanno una doppia natura, economica e culturale, in quanto portatori d’identità, di valori e di significato e non devono quindi essere trattati come aventi esclusivamente un valore commerciale”, la convenzione sancisce, tra i principi fondamentali, quello della complementarità degli aspetti economici e culturali dello sviluppo e aggiunge: ” Gli individui e i popoli hanno il diritto fondamentale di parteciparvi e di usufruirne.”
Il nucleo centrale della convenzione dell’Unesco è che i beni culturali non sono semplicemente merce, ma espressione delle ricche specificità individuali e identità culturali, e meritano quindi di essere preservati e sostenuti, anche finanziariamente, dagli stati.
Tali princìpi fondamentali, del resto, sono stati ripresi dal parlamento Europeo che, legiferando intorno allo statuto sociale degli artisti, ” invita gli Stati membri a promuovere lo sviluppo di un quadro giuridico e istituzionale al fine di sostenere la creazione artistica mediante l’adozione di una serie di misure coerenti e globali che riguardino la situazione contrattuale, la sicurezza sociale, l’assicurazione malattia, la tassazione diretta e indiretta e la conformità alle norme europee”.
Dalla Convenzione dell’Unesco e dal successivo Statuto Europeo degli Artisti risalta quindi l’urgenza di uno sviluppo di un quadro giuridico che parta dalla condizione di coloro che sono i fautori primi dello spettacolo dal vivo: i lavoratori del teatro, della danza, della musica, del circo.
La condizione del lavoratore dello spettacolo, unita ai princìpi fondamentali indicati dall’Unesco, dovrebbe quindi costituire il presupposto di una proposta di legge per lo Spettacolo dal vivo. Così non è, purtroppo.
Facciamo un esempio. L’articolo F) dello Statuto Europeo degli Artisti recita:
“… la natura aleatoria e talvolta incerta della professione artistica deve essere necessariamente compensata dalla garanzia di una protezione sociale sicura”.
Tale articolo viene citato, con alcune significative omissioni, nel comma o) dell’art.2 della proposta di legge italiana, in cui si accenna alla “tutela sociale dei professionisti del settore attraverso gli strumenti del welfare, in grado di compensare la natura aleatoria e precaria della professione” ( nel testo italiano sono scomparsi: “necessariamente”, “garanzia” e “protezione sociale sicura”).
Ed è l’unico comma, tra quelli dei due articoli presi in esame, che riguarda la professione artistica. Coloro che “fanno” lo Spettacolo godono solo di questo accenno. E’ preoccupante, inoltre, la notizia che circola per cui è possibile che che non ci sia una sufficiente copertura finanziaria per consentire anche solo questo timido tentativo di welfare. Vale la pena ricordare, a proposito, che i lavoratori dello spettacolo italiano non usufruiscono di alcun ammortizzatore sociale: nessuna liquidazione, nessuna cassa integrazione, pochi contributi versati e pensioni esigue per chi riesce ad arrivarci. Non a caso l’Enpals, l’Ente previdenziale dei lavoratori dello Spettacolo, registra un formidabile attivo dovuto appunto a contributi versati che non riescono a trasformarsi in pensioni. E sorvoliamo sull’annosa questione degli attori che lavorano con contratti da lavoratori dipendenti e pagano le tasse (trattenute alla fonte, come i contributi previdenziali) come gli autonomi. Irap compresa.
Torniamo alla proposta di legge. Nei primi due articoli – Finalità e Oggetto e princìpi fondamentali- compaiono temi quali il turismo (citato ben tre volte), il riconoscimento agli organismi della qualifica di piccola e media impresa, l’attività amatoriale, l’attività di agente dello spettacolo, il sostegno all’iniziativa privata, la promozione dei talenti, tutti temi che vengono sviluppati e precisati nell’articolato seguente, ma che non possono essere considerati “princìpi fondamentali”.
E’ evidente inoltre un oggettivo squilibrio tra l’analiticità con cui sono trattati alcuni temi – che vengono approfonditi aldilà delle specificità di una legge quadro- piuttosto che altri, rimandati a successivi studi.
Alcuni temi presenti nei primi due articoli, quali la concorrenzialità delle imprese (successivamente sviluppata nell’art.6 in cui si prevede, tra l’altro, l’incentivazione delle fusioni), la promozione dei talenti interni all’impresa (concetto del tutto differente dalla formazione professionale), l’omologazione tra “libera concorrenza” e “ampia diffusione ed accessibilità del pubblico allo spettacolo dal vivo”, allontanano di fatto il legislatore italiano dai princìpi considerati fondanti sia dall’Unesco che dal Parlamento Europeo.
Un’ulteriore distanza con lo spirito che sottintende alla legiferazione di altri Paesi, viene segnata dalla concentrazione di poteri nella persona del Ministro per i beni e le attività culturali (oltre a quelli demandati alla Conferenza unificata e agli Enti Locali) e la designazione del Presidente del Consiglio quale Presidente dei Comitati tecnici : un atipico protagonismo del Governo in strutture che dovrebbero essere esclusivamente tecniche e non politiche.
In conclusione, non essendo entrati nell’analisi specifica dell’intero articolato, ci preme sottolineare come la proposta di legge da noi esaminata contenga numerose indicazioni sull’organizzazione e la gestione dello spettacolo dal vivo, ma risulti carente nel perseguimento di tre principi cardini:
il primo principio è quello del diritto degli individui e dei popoli di partecipare e usufruire dei beni e dei servizi culturali, i quali beni non possono essere considerati alla stessa stregua di merci;
il secondo principio è quello della tutela dei diritti di coloro che creano tali beni e offrono tali servizi: i lavoratori dello spettacolo, siano essi artisti o tecnici;
il terzo principio è quello dell’autonomia della creazione artistica e della libertà della ricerca.
L’Associazione per il Teatro Italiano si augura che tali princìpi, universalmente considerati come fondamentali nel legiferare in tema di Cultura, Arte e Spettacolo, trovino adeguato spazio anche nella proposta di legge italiana.
L’Italia, con la sua grande tradizione, non può rischiare di diventare il fanalino di coda, in Europa e nel mondo, per attenzione e investimenti per l’Arte e lo Spettacolo (abbiamo già toccato lo 0,1 del Pil).
Di più, è necessario che Arte e Spettacolo non siano più considerati una voce di spesa, come adesso avviene, bensì come un prezioso investimento per la crescita civile ed economica del nostro Paese.
di Benedetta Buccellato, Segretario dell’ApTI – Associazione per il Teatro Italiano