La promessa del nuovo governo è di rivedere e ricalibrare la batteria degli ammortizzatori sociali, dalla cassa integrazione, ai bonus, al reddito di cittadinanza. Ma c’è una bomba al Sud, che il nuovo ministro del Lavoro, Orlando, sindacati e imprese devono imparare a maneggiare con cautela, al momento di rivisitare il sistema, mentre siamo ancora nel limbo fra speranze di ripresa e ‘incubo di nuovi lockdown. Gli ultimi dieci anni, di crisi e ristagno, hanno via via aumentato la carica esplosiva della bomba. La pandemia l’ha drammaticamente innescata. Le misure-tampone del governo, la scorsa primavera, l’hanno solo momentaneamente fermata. Nei prossimi mesi, quando scadranno i sussidi, fra Cig e bonus, messi in campo a sostegno dei redditi, è destinata a scoppiare, in un tessuto sociale reso ogni anno più fragile, nel Mezzogiorno, da un’occupazione così dominata da posti di lavoro, ormai sistematicamente, temporanei, part time, dequalificati, da deformare anche le statistiche nazionali.
Dal 2011, l’Italia ha registrato risultati regolarmente più deludenti, nel campo dell’occupazione, rispetto agli altri paesi della Ue. In buona sostanza, abbiamo perso più posti di lavoro, quando c’era la recessione, e ne abbiamo creati meno quando c’è stata la ripresa. Soprattutto, quelli che abbiamo creato sono di qualità inferiore, rispetto a quanto è avvenuto negli altri paesi. Un po’ dappertutto, c’è stato un ristagno di nuova occupazione, più che compensato da un forte aumento della quota di lavori a più alta qualifica e a più alto stipendio. In altre parole, l’intera scala europea dell’occupazione si è spostata più in alto: meno manovali e più ingegneri. Non in Italia, però, dicono i dati della Banca d’Italia, dove, invece, si è aperta una forte divaricazione, squilibrata, purtroppo in negativo. E’ sprofondata la quota di occupazione di medio livello e media retribuzione ed è invece aumentata la presenza di posti di lavoro ai due estremi della scala. Solo che i posti ben pagati e qualificati sono aumentati relativamente poco e quelli in fondo alla scala, mal retribuiti e a scarsa competenza, sono aumentati molto. E’ l’unico caso in Europa: siamo un paese di manovali.
Perché l’Italia non riesca a creare posti di lavoro qualificati? Fondamentalmente, perché il limitato recupero complessivo di occupazione, registrato in questi anni, è comunque concentrato in settori a bassa qualifica: bar, ristoranti, alberghi, ciò che gira intorno al turismo. Attenzione, però. Se scorporiamo i dati Bankitalia per regioni, abbiamo risultati molto contrastanti. Lombardia, Nord Est, Lazio, Toscana, anche Campania rispecchiano l’andamento nazionale, con l’implosione delle classi medie e la crescita, ai due estremi, di posti di lavoro molto qualificati o affatto. Ma sono i dati del Mezzogiorno in generale a spostare l’asse, segnalando aumenti di occupazione solo se con contratti temporanei, o part time o, sempre e comunque, a bassa qualifica. Non c’è divario al Sud, solo la parte più bassa del mercato del lavoro.
Su questo scenario vulnerabile si è abbattuta la tempesta del Covid. La pandemia, con i lockdown e le quarantene, ha fatto emergere il contrasto fra le occupazioni ad alto tasso di specializzazione e conoscenza, dove lo smart working consente una prosecuzione, senza troppi sobbalzi, dell’attività e e quelle dove il computer non c’è e la presenza è indispensabile. Ma, al di là dell’inesauribile fila di aneddoti che il divario suggerisce, tutto questo si può misurare anche in termini di probabile perdita di reddito.
Ecco, dunque, che, smart working o no, il lockdown di due mesi della scorsa primavera significava per un ingegnere, un informatico, comunque chi si trova nel 20 per cento più alto della scala dei redditi, una perdita potenziale di quasi 500 euro. All’altro lato, nel 20 per cento più povero, la perdita possibile era di meno della metà, circa 220 euro. Ma, in termini percentuali, il più ricco si vedeva decurtato il reddito del 15 per cento, il più povero, spesso già ai livelli di sussistenza, del 25 per cento.
Una tragedia. Sventata, però. In realtà, infatti, non è andata così, grazie agli interventi-tampone del governo. Le misure a sostegno dei redditi hanno solo in parte salvaguardato gli alti stipendi: in media, hanno perso un po’ meno di 300 euro, il 7-8 per cento degli introiti mensili dei lavoratori più ricchi. Ma i più poveri hanno contenuto le perdite intorno al 2 per cento.
Adesso, però, siamo sul filo. La scommessa è che la campagna di vaccinazioni e il freno ai contagi facciano partire, dalla primavera, una ripresa sostenuta. Questo consentirebbe di restringere il perimetro della cassa integrazione e del blocco dei licenziamenti ai settori direttamente colpiti dalle quarantene e dalle chiusure, come chiede Confindustria, chiudendo l’ombrello che, in questi mesi, ha tenuto sette milioni di lavoratori al riparo degli effetti economici della pandemia e drasticamente contenuto i tagli di reddito. Ma l’Italia, come mostrano ancora una volta questi dati della Banca d’Italia, non è tutta uguale. E se la ripresa sarà, come è probabile, a macchia di leopardo, si rischia di punire pesantemente il Sud, esponendo ai venti delle ristrutturazioni un mercato del lavoro appeso ormai quasi solo all’esile filo di contratti part time o temponei e occupati privi delle qualifiche necessarie ad una rapida ricollocazione. Insomma, l’Italia post Covid sarà ancora meno un paese per manovali, ma deve ancora risolvere il problema dei manovali.
Maurizio Ricci