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L’inflazione e il buco aperto nei bilanci delle famiglie

Maurizio Ricci
Febbraio08/ 2023

L’inflazione sta rallentando, ma riempire il buco  che ha ormai aperto nei bilanci delle famiglie non sarà facile. Infatti, poiché inflazione più lenta non significa affatto che i prezzi tornino quelli di prima, anzi continuano a crescere, pur se un po’ meno, il buco si allargherà ancora nel 2023, a meno che non comincino ad aumentare anche i redditi. Magari le bollette caleranno un po’, ma non rientreranno nei livelli del 2021. Per il resto, inutile aspettare che i prezzi scendano. Dunque, l’inflazione ci ha reso tutti più poveri. Gli economisti lo spiegano come la differenza fra salario nominale (quello che c’è scritto sulla busta paga) e salario reale (quanto vale davvero quel salario nominale, a fronte di prezzi che aumentano). Ma in soldoni, che vuol dire? Quanto ci è costata l’inflazione nel 2022? Grosso modo, una famiglia ha dovuto spendere 300 euro in più al mese, per far fronte all’aumento dei prezzi. Complessivamente,  l’inflazione si è tradotta in una tassa fra i 2 mila e i 4 mila euro l’anno, a seconda dei modelli di consumo. E almeno altrettanti, a occhio, dovremo tirarne fuori in più anche nel 2023.

Niente mal comune, mezzo gaudio, però. Quella dell’inflazione è una tassa perversa, che colpisce i poveri più dei ricchi. Ancor più quella attuale, alimentata dalla corsa dei prezzi di due categorie di beni irrinunciabili: gas e luce, da una parte, cibo, dall’altra. Il risultato è che l’indicatore ufficiale dell’inflazione (11,6 a dicembre, 10,1 a gennaio) è la classica media statistica, che vale per tutti e per nessuno. Di inflazione, invece, ognuno ha la propria: dipende da cosa compra e da quanto ha da spendere. E, allora, l’inflazione 2022, per un disoccupato, non è stata l’11,6, ma il 18,3 per cento. E, per un lavoratore dipendente ha superato il 13 per cento. In quattrini, per un disoccupato che, nel 2021, spendeva 1.319 euro al mese, ha voluto dire trovare il modo di tirar fuori, in quello stesso mese, 241 euro in più. Per un lavoratore dipendente, sono 308 euro al mese in più. Ma conta anche dove abitate: in una grande città, l’inflazione sale oltre il 16 per cento. E, per un anziano single, si sale oltre il 17 per cento.

Come è possibile? Il calcolo lo ha fatto una società di consulenza finanziaria, Moneyfarm, esaminando 52 diversi modelli di consumo. I parametri da tenere presenti per calcolare l’inflazione, per così dire, individuale, infatti, sono due.

Il primo è l’aumento di particolari tipi di beni. L’inflazione 2022 si caratterizza per il boom dei prezzi degli alimentari (13,1 per cento) e, soprattutto, abitazione, che comprende le bollette di gas e luce (uno sproposito: 54,5 per cento).

Adesso, bisogna incrociare questi aumenti con il secondo parametro: l’importanza che le due voci hanno nel bilancio familiare. E’ qui che si apre il divario con i calcoli dell’Istat. Nel paniere dei beni su cui  l’istituto di statistica calcola l’inflazione, il cibo costituisce il 18 per cento della spesa mensile. Ma nella famiglia di un disoccupato, il cibo – una spesa difficilmente comprimibile – vale il 31 per cento del bilancio mensile. Ancora più accentuato il divario per le bollette, altra spesa sostanzialmente fissa: nel paniere della famiglia media Istat valgono l’11 per cento della spesa mensile, nel paniere del disoccupato il 23 per cento. Ecco che l’aumento di oltre il 50 per cento delle bollette 2022 (applicato non all’11 ma al 23 per cento della spesa) ha un effetto ultra amplificato nella famiglia del disoccupato, rispetto alla famiglia Istat. La discrepanza è invece ridotta per i lavoratori dipendenti: le bollette pesano per il 13 per cento della spesa mensile (contro l’11 per cento del paniere Istat) e gli alimentari per il 22 per cento (18 per cento l’Istat). Mese dopo mese, tuttavia, le distanze si accumulano.

Maurizio Ricci

Maurizio Ricci

Giornalista