Ma all’Italia manca la sinistra o la destra? Dipende dal giornale che leggete. Per i lettori di Repubblica la leva che manca per proiettare il paese fuori dalla crisi e in un futuro migliore è una sinistra compatta ed efficiente, capace di coniugare modernità, solidarietà e realismo. L’immagine della “sinistra che non c’è” invocata quasi quotidianamente negli editoriali di Eugenio Scalfari, Ezio Mauro, Massimo Giannini, è, in realtà, un po’ sfocata. Se si volesse riassumerla nell’identikit di un leader, bisognerebbe comporre un mix di Calamandrei e Berlinguer, con ampie pennellate di Tony Blair, uno dei tanti sindaci comunisti di Bologna o Modena, più Nanni Moretti, Steve Jobs e, naturalmente, papa Francesco. Per quanto elusiva e sfuggente l’idea di sinistra coltivata a Largo Fochetti, tuttavia, essa non è remota o miracolistica quanto l’idea di destra su cui si esercitano a Via Solferino, se non esplicitamente nella linea editoriale del Corriere della sera, almeno nelle riflessioni dei suoi commentatori di punta, a cominciare da Ernesto Galli della Loggia.
Incurante degli avvertimenti a non scambiare l’Emilia-Romagna (anzi, più esattamente, la striscia Bologna, Modena, Reggio, dove si è consumata la vittoria di Bonaccini) per l’Italia, Galli trae sbrigativamente dalle ultime regionali la conclusione che le elezioni si vincono al centro e che la destra non pare attrezzata per conquistarlo. Tre, afferma in un editoriale di qualche giorno fa, gli ostacoli che impediscono questa espansione della destra.
Il primo è l’eredità del fascismo. Anzi – convinto, non da oggi, che l’Italia, viva, dalla fine della guerra, più di settanta anni fa, sotto la pesante cappa di una indiscussa egemonia culturale e politica della sinistra – Galli della Loggia sostiene che, più del fascismo, è la narrazione che del fascismo la sinistra ha imposto all’immaginario nazionale il nodo da sciogliere. Perché la sinistra ha fatto passare la lettura che, quando non è lei al governo, il fascismo sia in agguato. Lo dimostrerebbero le accuse di fascismo “non dichiarato” sistematicamente rivolte, da sinistra, ad Andreotti, alla Dc, a Craxi, a Berlusconi (Galli non nomina mai Salvini). In realtà, negli ultimi 70, la sinistra ha governato per non più di una decina d’anni, quindi le accuse non sembrano avere avuto gran peso, immaginario nazionale o no. Del resto, non è neanche vero che Andreotti, la Dc o Berlusconi siano stati tacciati di fascismo sotterraneo, se non da gruppuscoli o frange estremiste. Sono stati accusati – questo sì – di avere sdoganato gruppi, partiti e movimenti che si richiamano al fascismo. Ed è quanto è effettivamente avvenuto, da Tambroni e Andreotti con il Msi a Berlusconi con l’Alleanza nazionale di Fini.
Ma, adesso, è peggio. Ad Andreotti e Berlusconi si può rimproverare il peccato originale di avere sdoganato la destra estrema, senza reclamare, pretendere e ottenere una aperta e totale abiura delle suggestioni fasciste. Salvini, però, è andato assai più in là, impadronendosi di atteggiamenti e suggestioni esplicitamente fasciste, flirtando con Forza Nuova e Casapound, sminuendo e coprendo l’estremismo di destra, fino a far risalire gli ultimi episodi di antisemitismo agli islamici, come se a scrivere “Juden Hier” sulle porte degli ebrei piemontesi fossero stati mussulmani con la kefiah.
Eppure, dice Galli, questo nodo scorsoio al collo della destra va tagliato con coraggio e determinazione, per eliminare alla radice l’immaginario nazionale (mica tanto immaginario, si direbbe) di cui la sinistra ha pervaso il paese e che origina il secondo ostacolo, sulla strada di una destra vincente: l’incapacità di creare un rapporto solido e fertile con l’establishment del paese. La freddezza di istituzioni ed élites nei confronti della destra, infatti, secondo Galli della Loggia, comporta la difficoltà di reclutare figure autorevoli e rispettate per le candidature, in particolare a livello locale, ma anche di raccogliere competenze tecniche, giuridiche ed economiche da utilizzare nell’attività di governo, come mostrano le riforme abborracciate dell’epoca Berlusconi o, più vicino a noi, l’innesco di una bomba come quota 100 nel sistema pensionistico e, più in generale, nel paese, dove intere categorie di servizi essenziali (i medici, ad esempio) sono ora sottodimensionati.
Il terzo ostacolo? La Chiesa. A Galli della Loggia sembra perfettamente legittimo che, a capo della Cei, Ruini spinga a votare Berlusconi (in fondo, dice, è una indicazione “in positivo”). Non gli piace, invece, che il successore di Ruini, Bassetti spinga, “in negativo”, contro la destra di oggi. Bisogna, argomenta Galli della Loggia, prenderne atto: contro la Chiesa, anche in un paese in maggioranza moderato e conservatore come l’Italia, la destra non può sfondare.
Cosa si è fumato Galli della Loggia? Quale panorama politico pensa di avere di fronte? A quale destra, invitata, nell’editoriale “a scegliere”, pensa di parlare? La destra realmente esistente ha scelto e, anziché tagliare i ponti con il passato, ha esplicitamente accettato una deriva (nei simboli e nei sentimenti) fascista. Ma l’immaginario “creato dalla sinistra” sul pericolo fascista non è l’unica, e probabilmente neanche la più importante, ragione della diffidenza dell’establishment verso la destra. In Italia, ci sono larghi strati di élites moderate, conservatrici, e contemporaneamente solidamente democratiche: nella Confindustria, nell’Assolombarda, alla testa delle corporazioni professionali, nelle alte gerarchie ecclesiastiche e militari. Ma è un’Italia che non trova rappresentanza nella destra politica, non solo per l’ombra fascista, ma perché questa è una destra antintellettuale, anticulturale, dichiaratamente volgare, euroscettica, ondivaga in materia di Costituzione, troppo spesso contigua a fenomeni di corruzione e di evasione fiscale. La Chiesa, poi, ce l’ha con Salvini, non in linea di principio, ma perché (anche se Galli non lo dice) contesta radicalmente e appassionatamente la sua politica contro l’immigrazione.
In altre parole, quelli che Galli della Loggia individua come “ostacoli” all’ascesa della destra, ne sono, invece, i pilastri costitutivi: la “ragione sociale” si direbbe di una ditta. Smontare quegli ostacoli, significherebbe rinnegare sé stessa. Il problema, piuttosto, è il successo di quella “ragione sociale”. Gli ultimi sondaggi dicono che Salvini e Meloni, senza preoccuparsi di sfondare al centro, in ipotetiche elezioni, conquisterebbero 205 seggi su 400 della nuova Camera riformata, consegnando il paese proprio a quella destra, che Galli della Loggia vorrebbe riformata. Forse è lui che deve scegliere.
Maurizio Ricci