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Maggioritario o proporzionale?

Maurizio Ricci
Ottobre26/ 2021

Maggioritario o proporzionale? Passate le amministrative, il dibattito sta sempre più montando nei palazzi della politica (assai meno nelle case degli italiani) e, probabilmente, diventerà ossessivo, una volta scavallata anche la scadenza del voto per il Quirinale. È materia da costituzionalisti nella sua lettura più alta e da sofisticati tecnici della materia (qualcuno ricorda ancora le peripezie del quoziente d’Hondt nella Prima Repubblica?) in quella più immediatamente pratica ed operativa. Anche ai profani è però evidente che il dibattito che si prospetta è tutto meno che limpido. Anzi, se davvero le premesse su cui tutti concordano sono di restituire rappresentatività al Parlamento ed efficienza al sistema politico, l’impressione è che siano in molti a barare.

Intanto registriamo che tre ipotesi ragionevoli sono state messe fra parentesi. Il maggioritario a doppio turno alla francese (che meglio sembrerebbe contemperare le esigenze di rappresentatività e di efficienza, cioè governabilità) non piace, a quanto pare, più a nessuno. La sfiducia costruttiva, che metterebbe i governi al riparo da offensive avventuriste, è diventata un codicillo dimenticato. Infine, il freno alla transumanza di deputati e senatori fra gruppi vecchi e nuovi non sembra meritare un impegno esplicito e convergente da parte delle varie forze politiche.

Assodato che il sistema attuale non funziona, il dibattito alimentato da politici e opinionisti è tutto concentrato, invece, sulla contrapposizione fra maggioritario e proporzionale. O, più esattamente, sui meriti del proporzionale rispetto al maggioritario. Il problema di questa offensiva è che, a giustificarla, pare esserci soprattutto la spinta a creare – qui ed ora – spazio per i molteplici cespugli del centro (compreso quello che potrebbe nascere da uno sfarinamento del berlusconismo) e a sottrarre il Pd dall’abbraccio con i 5Stelle o ciò che ne resta. Singolare che l’offensiva venga dagli stessi che, contemporaneamente, ammoniscono a non disegnare, per l’ennesima volta, un sistema elettorale ritagliato sulle convenienze del momento.

Questo non vuol dire che, per l’Italia, il proporzionale non possa essere effettivamente meglio del maggioritario. Ma, nella campagna dei proporzionalisti, ci sono almeno due equivoci.

Il primo riguarda la rappresentatività. La crisi della rappresentanza politica in Italia non è, in primo luogo, dei partiti, ma del Parlamento e dei parlamentari. Il legame fra i partiti e i loro elettori, oggi, esaurite le grandi contrapposizioni di ideologia, non può che essere lasco, spesso volatile. Del resto, per dirla in modo brutale, è ormai esclusivamente televisivo, calato dall’alto in qualche talk show, perché, nel paese, nel confronto con i cittadini, i partiti non ci sono più. Qui, qualcosa da insegnare l’hanno, probabilmente, sistemi pur rudimentali come il maggioritario semplice inglese o americano, dove chi prende più voti passa, fosse pure con il 15 per cento. Ma resta il rappresentante unico di quel collegio, in rapporto diretto con la comunità degli elettori. A loro risponde, assai più che al suo partito che, del resto, dove ci sono le primarie, non ha neanche l’ultima parola sulla sua scelta. E, siccome il voto segreto – visto che risponde prima agli elettori che al partito – non esiste, deve dar conto in prima persona delle scelte che ha fatto e del perché.

Questo rapporto diretto, personale, esplicito dell’eletto con gli elettori che rappresenta non è replicabile dal proliferare delle liste del proporzionale, anche ove le stesse liste non fossero bloccate e si reintroducessero le preferenze per candidati lontani, sconosciuti, pronti, per così dire, a scappare con il malloppo, cioè con il seggio conquistato.

Maurizio Ricci

Maurizio Ricci

Giornalista

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