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Home - Approfondimenti - La nota - Rapporto Istat 2020: l’Italia insicura non “vede” più il futuro

Rapporto Istat 2020: l’Italia insicura non “vede” più il futuro

di Nunzia Penelope
3 Luglio 2020
in La nota
Rapporto Istat 2020: l’Italia insicura non “vede” più il futuro


No, il Covid, non è stato una “livella”: Ha colpito i vecchi più dei giovani, gli uomini più delle donne, il nord più del sud, le persone fragili, non solo in termini di salute, più di chi aveva le spalle “robuste”, i meno scolarizzati più degli istruiti. L’eccesso di mortalità dei meno istruiti rispetto ai più istruiti è strabiliante: è risultato superiore del 30 per cento per gli uomini e del 20 per cento per le donne. L’unica cosa che colpisce più o meno tutti nello stesso modo è l’aumento dell’insicurezza. E in futuro le conseguenze di questi mesi si faranno sentire sulla popolazione. Conseguenza numero uno: un ulteriore drastico crollo delle nascite, che potrebbe portarci sotto la soglia, già minima, dei 400mila nati.

Era del resto prevedibile che il Rapporto Istat 2020 sullo stato del paese non avrebbe portato buone notizie. Presentato dal presidente Gian Carlo Blangiardo stamattina alla Camera, in una cornice ridotta all’osso per le note questioni di distanziamento e sicurezza, il Rapporto fotografa sia l’Italia pre-pandemia, sia, ovviamente, questi ultimi mesi, tra lock down e restrizioni varie. E se, afferma Blangiardo, si cominciano a vedere piccoli segnali di ripresa sul fronte economico, la botta sarà stata comunque pesantissima.

Le ripercussioni sono evidenti sull’occupazione: si calcola che siano stati persi, dall’inizio dell’ermergenza, 500 mila posti di lavoro. E, come si dice, il peggio deve ancora arrivare. Le disuguaglianze sono aumentate anche nel mercato del lavoro: gli uomini, i giovani di 25-34 anni, il Mezzogiorno e – ancora – i meno istruiti, non hanno ancora recuperato i livelli di occupazione del 2008, e tanto meno avranno chances di farlo adesso. Inoltre, mentre la crisi di dieci anni fa aveva riguardato soprattutto i settori ad alta presenza maschile, oggi le criticità maggiori stanno investendo i servizi, e in particolare il turismo e la ristorazione, dove sono piu numerose le donne, spesso precarie e irregolari.  Non solo: quasi due milioni e mezzo di occupati temono a breve la perdita del posto di lavoro. E se in genere questa “insicurezza” era caratteristica dei dipendenti a tempo determinato, oggi riguarda tutti, anche i contratti a tempo indeterminato, ed è particolarmente accentuato nel settore turismo, alberghi, ristorazione, ancora in panne dopo la fine del lock down.

La pandemia si è d’altra parte innestata su una situazione di forti e crescenti disuguaglianze. La probabilità di accedere a posizioni più vantaggiose della scala sociale è diminuita per i nati nell’ultima generazione (1972-1986): più di un quarto (26,6%) è infatti “mobile” solo nel senso di “scendere” verso il basso, un valore che, oltre a essere più alto rispetto a tutte le generazioni precedenti (era 21,8% tra i nati prima del 1941) supera per la prima volta quello di chi è mobile in senso ascendente (24,9%). Anche sul fronte sia della povertà assoluta l’Italia è entrata nell’emergenza  covid dopo aver vissuto un periodo di costante peggioramento della situazione. Anche in questo caso il riferimento è alla crisi del 2008-2009, che aveva raddoppiato l’incidenza della povertà assoluta nel 2012, triplicandosi per bambini e giovani, e peggiorando ulteriormente nel Mezzogiorno e per le famiglie operaie e con capo famiglia disoccupato. Da quel momento in poi il livello non si è più ridotto fino al 2019, quando era scesa dal 7,0 per cento del 2018 al 6,4 per cento. Per poi riprendere la salita nell’anno in corso, cioè post covid.

Colpita anche una delle nostre più solide certezze, ovvero la longevità. L’aspettativa di vita, causa l’impennata dei decessi, è destinata a ridursi, tornando indietro di decenni. Sulla base dei dati di mortalità del 2020, risulta infatti un’improvvisa inversione di tendenza nella tradizionale crescita dell’aspettativa di vita nel nostro Paese. Si tratta di una variazione limitata a qualche mese in meno su base nazionale, ma che in alcune realtà locali si trasforma nella perdita di più anni di vita residua. Di fatto, ci sono Province – Bergamo, Piacenza, Cremona, Brescia, Aosta, Sondrio, Lodi, Parma e Lecco, per citare i casi più eclatanti – in cui il dato sul rischio di morte del 2020 comporta un ritorno, specie per le età più anziane, ad aspettative di vita che si riscontravano dieci o persino venti anni fa.

Non c’è da stupirsi, dunque, se l’effetto pandemia, e l’insicurezza diffusa che sta provocando, si ripercuote anche sulle nascite. Il bilancio demografico del 2019 ha già segnato – per il settimo anno consecutivo – un nuovo record negativo di nascite, il valore più basso mai registrato in oltre 150 anni: appena 435 mila nascite. “E nel periodo post-Covid – avverte Blangiardo – la caduta della natalità potrebbe anche subire un’ulteriore forte accelerazione, non essendovi dubbio che la scelta sempre più impegnativa se fare, o meno, un (o un altro) figlio andrà sempre più maturando entro condizioni di insicurezza e di difficoltà, economiche e non solo, sulla cui durata non è ancora dato sapere”.

Le simulazioni dell’Istat prospettano, unicamente come effetto del clima di incertezza e paura associato alla pandemia, un calo di circa 10 mila nati. “La prospettiva – prosegue il presidente Istat- peggiora ulteriormente se, in aggiunta agli effetti indotti dai fattori di incertezza e paura, si considerano quelli derivanti dallo shock sul piano occupazionale”. I nati scenderebbero a circa 426 mila nel bilancio finale del corrente anno, per poi ridursi fino a 396 mila, nello scenario più sfavorevole, in quello del 2021. In generale, sembra dunque possibile già nel prossimo anno il superamento al ribasso di quel “confine simbolico” dei 400 mila nati annui che, stando alle previsioni Istat elaborate in epoca pre-Covid, sarebbe dovuto avvenire solo nel 2032 e nell’ipotesi ritenuta più pessimistica.

“L’impressione di fondo – conclude Blangiardo – è che il nostro Paese non riesca a pensare al suo futuro, ad assecondare un desiderio visibile nella società che può realizzarsi solamente rimuovendo tutti quegli ostacoli che hanno impedito in questi anni, a uomini e donne, di costruire la propria indipendenza, di avere i figli che volevano e di tradurre in realtà un loro desiderio. Oltre tutto si tratterebbe di sostenere un obiettivo che va nella direzione di fronteggiare quell’insufficiente ricambio generazionale che in molte occasioni è stato in – Sintesi 19 dicato, a ragione e con il supporto di un’ampia documentazione statistica, come un’emergenza incombente e dalle conseguenze particolarmente gravi e problematiche”.

In sintesi: se il segno distintivo dell’Italia nella fase del lockdown, “è stato di forte coesione”, chissà   per quanto ancora, in queste condizioni, riusciremo a mantenerla intatta.

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