Maledetto Superbonus. Benedetto Superbonus. Utile, probabilmente, solo nell’arco di pochi mesi per un rilancio in un momento difficile, la grande bonanza pluriennale delle ristrutturazioni di case e condomini in era di pandemia continua ad offuscare il paesaggio dell’economia italiana. Sui suoi effetti si sono rincorse interpretazioni fantasiose, fino a spingere autorevoli istituzioni ad ipotizzare un moltiplicatore di 2,5. Ovvero – per tornare al linguaggio delle persone normali – alla ipotesi che un euro di incentivo distribuito con il Superbonus creasse 2,5 euro di maggiore Pil, una sorta di turboacceleratore. Secondo le menti sobrie della Banca d’Italia, il risultato reale è assai più modesto, quasi deludente: il moltiplicatore è solo 1. Ovvero, gli 80 miliardi che lo Stato ha speso per finanziare il Superbonus hanno creato 80 miliardi in più di Pil. Uno a uno. Non proprio una partita di giro, perché più Pil significa più introiti fiscali (affermazione, in realtà, non proprio a prova di bomba in Italia), ma la dimostrazione che certi incentivi hanno vita (utile) assai breve.
Spettacolare, tuttavia. Un istituto di ricerca e consulenza – Capital Economics – ha calcolato che, negli ultimi cinque anni, i quattro paesi dell’Europa mediterranea – Italia, Spagna, Portogallo, Grecia – visti da sempre come la palla al piede dell’eurozona, hanno avuto, invece, una crescita più vivace di quella, anemica, registrata dalla grande ammiraglia tedesca. Non bisogna, però, farsi impressionare troppo. E’ più il risultato della Germania che frena di quanto non sia uno scatto delle economie del Sud, cresciute sì, ma in misura assai contenuta. Per l’Italia, in particolare, lo scarto con la Germania è molto limitato. Ma, nel caso italiano, conta anche di più un avvertimento di Andrew Kenningham, capo economista di Capital Economics: la crescita italiana è quasi tutta frutto dell’edilizia, drogata dall’effetto Superbonus.
Ecco, allora, come il benedetto Superbonus della crescita si trasforma nel Superbonus maledetto . Maledetto due volte. La prima è nei numeri: la spesa per il Superbonus ha dato una spinta all’economia, ma ha simmetricamente inferto un colpo (quasi) uguale al bilancio dello Stato. E noi siamo un paese che non può permettersi extra deficit ed extradebito: esaurita la pausa preelettorale, dovremo regolare i conti con Bruxelles. La seconda maledizione, però, riguarda quanto avviene nelle teste. Gli effetti sul bilancio si vedono dopo, quelli sulla crescita sono subito evidenti e rischiano di abbacinare chi guarda.
E’ una chiave di lettura di qualche interesse, visto che, nel giro di un paio di settimane, il governo varerà il Def, il documento a cui è affidata la navigazione della politica economica di quest’anno. La crescita del 2023 è stata dello 0,9 per cento, superiore allo 0,6-0,7 per cento che avevano pronosticato gli economisti. Sulla scia di questo risultato, il governo ora valuta, per quest’anno, uno sviluppo dell’1 per cento. Meno dell’1,2 per cento che aveva annunciato lo scorso settembre, ma sempre baldanzosamente assai di più dello 0,6 per cento che ci assegnano le istituzioni economiche in genere, Banca d’Italia in testa.
Ma che c’entra il Superbonus? C’entra. Il rischio è di non valutare che gli elementi che hanno tenuto a galla – più del previsto – l’economia nel 2023 sono, fondamentalmente, come negli anni scorsi, quelli legati all’edilizia, ancora spinta dagli ultimi effetti degli incentivi. Che l’anno prossimo, però, non ci saranno davvero più. Cosa potrebbe sostituire la spinta del Superbonus? A giugno (pur sempre, dunque, solo per un semestre) la Bce dovrebbe ridurre i tassi di interesse, ma gli effetti di questo ribasso del costo del denaro non si vedranno prima del 2025.
Dimensionare la politica 2024 su questa ipotesi per uno sviluppo dell’1 per cento è, insomma, una scelta rischiosa, compiuta con la testa volta all’indietro, ai tempi del Superbonus. La verità è che i margini, oggi, sono minimi e tutti affidati al Pnrr. Ovvero alla capacità di spesa e investimento della nostra burocrazia. Dita incrociate.
Maurizio Ricci