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Home - Approfondimenti - La nota - Visco, la globalizzazione va difesa, il mondo “a blocchi” è un danno. Demografia e lavoro femminile, handicap per la produttività

Visco, la globalizzazione va difesa, il mondo “a blocchi” è un danno. Demografia e lavoro femminile, handicap per la produttività

di Nunzia Penelope
31 Maggio 2022
in La nota
Visco, l’Europa siamo noi

Assemblea generale di Bankitalia attesissima, quest’anno. Pandemia, guerra, sono elementi che hanno un peso enorme sull’economia globale. Le Considerazioni Finali del governatore, dunque, costituiscono l’occasione per conoscere il pensiero, e le previsioni, della banca centrale. Mai scontate, e tanto meno da quando Ignazio Visco ne è il capo. E Visco non delude. Intanto, con il passaggio finale, quello nel quale esprime la necessità di difendere la globalizzazione dalla tentazione di creare un mondo suddiviso in blocchi.

“In un mondo diviso in blocchi – afferma Visco- si perderebbe anche, e soprattutto, quel patrimonio di fiducia reciproca, per quanto fragile e non scontato, che, oltre a essere indispensabile per la convivenza pacifica tra le nazioni, rappresenta una insostituibile base per affrontare le sfide cruciali per le prossime generazioni. Il contenimento del riscaldamento globale, la lotta alla povertà estrema e il contrasto alle pandemie sono obiettivi formidabili, che nessun paese può affrontare da solo”.

Inoltre, a pagare il prezzo più elevato di una deglobalizzazione disordinata “sarebbero proprio le fasce sociali e i paesi più vulnerabili e più poveri, anche se non mancherebbero le pressioni sulle economie avanzate, e in particolare sull’Europa. Oltre la metà del previsto aumento della popolazione mondiale, di 2 miliardi nei prossimi trent’anni, sarà concentrato in Africa: uno sviluppo sostenuto e sostenibile delle economie di questo continente è cruciale – ha avvertito – per ridurre la povertà estrema e garantire un consistente miglioramento delle prospettive economiche e sociali dei suoi abitanti, oltre che per scongiurare l’insorgere di flussi migratori difficilmente gestibili per intensità e dimensioni”.

L’Europa, sottolinea il governatore, è quella che avrebbe più da perdere ”da un mondo dominato da divisioni e conflitti”. E in Europa, l’Italia. L’altra grande vittima rischia di essere appunto la globalizzazione, per Visco da difendere nei suoi ”indubbi benefici”, a partire dalla “netta diminuzione della povertà estrema a livello mondiale” che ha garantito nei decenni recenti, seppure controbilanciata da “una crescita delle diseguaglianze nella distribuzione di redditi e ricchezza all’interno di molti paesi”.

Ma i benefici della globalizzazione, del commercio aperto, restano comunque superiori ai difetti, che come tali si possono correggere; cosi come del resto si stava meditando di fare anche prima del conflitto russo-ucraino. Visco cita le parole di Luigi Einaudi, alla vigilia di Bretton Woods: ”la cooperazione internazionale ha in passato sempre giovato ai più poveri che ai ricchi”. E ancora: ”libertà negli scambi economici vuol dire pace”. E dunque oggi, afferma il governatore, oggi che la tentazione di fare affari solo con i paesi amici, di dividere il mondo in blocchi, è assai forte, ancora di più oggi ”la cooperazione internazionale non deve cedere il passo. La necessaria riflessione sul governo della globalizzazione non deve venire offuscata dalla sfiducia e dalle tensioni in atto. Va invece coltivata con il massimo impegno, mantenendo aperto il dialogo, e  la speranza che la guerra, per la quale esprimiamo netta e totale condanna, cessi al più presto”.

E del resto è alla guerra che dobbiamo l’ulteriore aggravamento degli scenari economici, oltre che la perdita di vite umane. Visco rivolge il primo pensiero alle vittime del conflitto, e subito dopo ricorda che “la guerra ha radicalmente accentuato l’incertezza” sulle prospettive economiche dell’Italia. “L’attività produttiva si è indebolita nel primo trimestre, risentendo anche della ripresa dei contagi dovuti alla pandemia; dovrebbe rafforzarsi moderatamente in quello in corso”.

Il conflitto ha inoltre ulteriormente spinto i prezzi di energia e materie prime e “l’economia italiana è, con quella tedesca, tra le più colpite dall’aumento del prezzo del gas, per la quota elevata di importazioni dalla Russia e per la rilevanza dell’industria manifatturiera, che ne fa ampio uso”.  Il governatore ha ricordato che lo scorso gennaio si prevedeva che il Pil tornasse sul livello precedente lo scoppio della pandemia intorno alla metà di quest’anno “e prefiguravamo una solida espansione, superiore in media al 3 per cento, nel biennio 2022-23”.

Ma ad aprile “valutavamo che il prolungamento del conflitto in Ucraina avrebbe potuto comportare circa due punti percentuali in meno di crescita, complessivamente, per quest’anno e il prossimo. Le stime più recenti delle maggiori organizzazioni internazionali sono simili. Non si possono però escludere sviluppi più avversi. Se la guerra dovesse sfociare in un’interruzione nelle forniture di gas dalla Russia – ha avvertito Visco – il prodotto potrebbe ridursi nella media del biennio”.

Per riassumere in breve: le cose vanno male, ma potranno andare pure molto peggio se il conflitto non avrà fine in breve tempo.

Altri passaggi della relazione degni di nota, a parte l’appello, scontato, a evitare che si inneschi la spirale inflazione, prezzi, salari. In primo luogo Visco fa un forte richiamo alla crisi demografica, ricordando che nei prossimi 15 anni porterà alla perdita di ben 5 milioni di persone in età da lavoro, cioè tra i 15 e i 64 anni, di cui la metà nel mezzogiorno, già pesantemente colpito dalle emigrazioni: un milione di giovani italiani, spesso assai qualificati, ha lasciato il paese negli ultimi dieci anni. Un problema, quello della demografia negativa, che impatta fortemente sulla crescita della produttività. In secondo luogo, ma strettamente legato al primo, il governatore denuncia il problema irrisolto della presenza femminile sul mercato del lavoro: il tasso di occupazione delle donne, pari al 55% in Italia, a fronte di una media europea del 68%, è oggi del 18% inferiore a quello degli uomini. Per ridurre il divario, sottolinea Visco,  “vanno rimossi gli ostacoli che le madri incontrano nel rientrare sul mercato del lavoro dopo la nascita dei figli”. Le misure prese nel Pnrr sono un primo passo. Ma certo non ancora sufficienti a risolvere uno dei peggiori e più consolidati handicap nazionali.

Nunzia Penelope

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Vicedirettrice de Il Diario del lavoro

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